«La stanchezza c’è, è percepibile», dice Daniele Visconti, uno degli infermieri che si occupano di vaccinazioni all’ospedale di Merate, un piccolo centro all’incrocio tra le province di Lecco, Monza e Bergamo.

Dopo un anno di pandemia, il sistema sanitario italiano si trova ancora sotto una pressione senza precedenti. Il Covid non ha affatto mollato la sua presa e secondo i dati Agenas ci sono dodici regioni oltre la soglia d’allerta per numero di ricoveri in terapia intensiva e area medica.

A questo si aggiungono gli enormi ritardi accumulati nell’erogazione delle prestazioni ordinarie. Centinaia di migliaia di visite, esami e interventi rimandati a causa della pandemia. Secondo l’Osservatorio nazionale screening, solo nei primi cinque mesi del 2020 si sono persi quasi mezzo milione di esami.

Di fronte a questa situazione, ferie e permessi sono stati sospesi e a medici e infermieri è stato chiesto di effettuare turni straordinari. Dopo un anno quasi ininterrotto di emergenza, sono in molti a essere allo stremo.

Ma con la campagna vaccinale in pieno svolgimento e una crescente pressione a fare sempre più in fretta, nessuno si può ancora fermare.

Le vaccinazioni

Nonostante questa situazione, in Italia le vaccinazioni continuano a procedere spedite (anche se la percentuale di anziani vaccinati rimane più bassa che in molti altri paesi).

«A Merate le vaccinazioni sono organizzate su due linee – spiega Visconti – Due che somministrano Pfizer e Moderna e due che somministrano AstraZeneca». Martedì scorso, Visconti ha iniziato con il primo gruppo che sta vaccinando i nati nel 1937 e poi nel fine settimana è passato ad AstraZeneca.

«Domenica, nel turno del pomeriggio, abbiamo vaccinato più di 50 persone», dice. Nel gruppo che riceve AstraZeneca al momento c’è ancora qualche insegnante, ma in questo momento si stanno vaccinando soprattutto volontari che si occupano di assistenza agli anziani e trasporto dei disabili.

«C’è ancora molta confusione su AstraZeneca, non mi pare che sia stato spiegato bene perché alcuni ricevono questo vaccino e altri Pfizer o Moderna, così ogni volta dobbiamo rispiegare tutto dall’inizio», dice Visconti.

AstraZeneca al momento non è indicato per le persone particolarmente fragili, motivo per cui di solito non viene somministrato ai più anziani.

«Una cosa che rincuora»

A volte, in genere su indicazione del medico curante, anche a chi dovrebbe ricevere AstraZeneca si preferisce somministrare Pfizer o Moderna. E a volte AstraZeneca viene somministrato agli over 80. Da quando a marzo il vaccino è stato autorizzato per tutte le età, i dati mostrano che poco più del cinque per cento degli over 80 vaccinati sta ricevendo AstraZeneca.

Ma se alcuni sono ancora timorosi nei confronti del vaccino anglo-svedese, che ha effettivamente avuto diversi problemi, per alcuni invece qualsiasi vaccino è un motivo per festeggiare. «Soprattutto nella fascia dei volontari c’è molta fiducia e molta voglia di farlo: è una cosa che rincuora».

E i vaccinatori

A Merate, come nel resto del paese, il grosso della campagna vaccinale è ancora sulle spalle del personale ospedaliero. I medici di medicina generale hanno iniziato a fornire un contributo importante in molte regioni e presto altre figure, come gli odontoiatri, potrebbero iniziare a partecipare. Ma per il momento si tratta ancora di una faccenda che ospedali e aziende sanitarie devono riuscire a gestire in mezzo ad altre mille difficoltà e ritardi.

Visconti racconta che nel suo ospedale i vaccinatori sono soprattutto infermieri dell’ospedale e liberi professionisti. Lui stesso appartiene a quest’ultima categoria. È un infermiere con partita Iva, reclutato per la campagna vaccinale con un bando regionale.

Ora ha un contratto di collaborazione, che gli permette di indicare i giorni in cui è disponibile a vaccinare, lasciandogli il tempo di continuare a seguire i suoi pazienti.

I suoi colleghi ospedalieri vaccinano fuori dall’orario di lavoro, alla fine del turno in pronto soccorso o in altri reparti. Quasi tutti sono piuttosto giovani: non è facile per i più anziani sopportare il carico aggiuntivo di stress e fatica dovuto alla pandemia e in più fare anche turni extra per vaccinare.

Per aiutare gli infermieri, le direzioni sanitarie in genere distaccano anche medici, spesso psichiatri o chirurghi che per ragioni di età o altro non esercitano più come un tempo e che possono occuparsi di vaccinazioni senza rallentare troppo le altre attività dell’ospedale.

Il limite principale, però, non è la carenza di vaccinatori. «Andiamo più veloci o più lenti a seconda di quante dosi abbiamo a disposizione», dice Visconti. Non è mai accaduto che dei vaccini siano stati buttati.

L’infermiere del territorio

Gli infermieri liberi professionisti come Visconti non sono sottoposti allo stress dei loro colleghi ospedalieri, ma il loro mestiere ha comunque le sue problematiche.

Visconti e i suoi colleghi sono l’ossatura della sanità territoriale, di cui l’epidemia ha improvvisamente ricordato a tutti la fondamentale importanza. Entrano nelle case delle persone, parlano con i pazienti e con chi si occupa di loro e sono spesso un elemento essenziale per collegare il sistema sanitario al resto della società.

Molti di loro hanno vissuto la campagna vaccinale come un dovere civico, anche se temevano che la partecipazione al bando potesse impedirgli di proseguire il loro lavoro sul territorio (il che avrebbe spinto molti a rinunciare).

Le cose per fortuna sono andate diversamente e Visconti continua a fare assistenza ai suoi pazienti storici nella provincia di Monza. La sua speranza e quella dei suoi colleghi è che questa sia l’occasione affinché il loro lavoro, spesso trascurato, inizi a essere finalmente valorizzato.

 

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