Nel collasso del 14 agosto 2018 sono morte 43 persone. Dopo quattro anni si celebra la prima udienza per i 59 imputati accusati di aver ignorato i pericoli che minacciavano il viadotto. Nel frattempo, le società che gestivano il ponte hanno patteggiato e sono state cedute dalla famiglia Benetton
Inizia oggi il processo per il crollo del ponte Morandi di Genova, collassato il 14 agosto 2018 causando la morte di 43 persone. Tra i 59 imputati ci sono ex vertici e tecnici di Autostrade per l’Italia e Spea (la società che si occupava della manutenzione del viadotto), attuali ed ex dirigenti del ministero delle Infrastrutture e altri funzionari.
Secondo l’accusa, gli imputati sapevano che il ponte poteva crollare, ma non hanno fatto quasi nulla perché questo accadesse. I reati che gli vengono contestato sono: omicidio colposo plurimo, omicidio stradale, crollo doloso, omissione d'atti d'ufficio, attentato alla sicurezza dei trasporti, falso e omissione dolosa di dispositivi di sicurezza sui luoghi di lavoro.
Il processo ha impiegato poco meno di 4 anni a partire, ma ci vorranno ancora mesi prima che entri nel vivo. Bisognerà attendere settembre, quando si inizieranno a sentire gli oltre 180 testimoni chiamati dall’accusa. La prescrizione intanto è in agguato. Per i reati più lievi contestati agli imputati scatterà già l’anno prossimo.
Il ponte Morandi era gestito dalla società Autostrade per l’Italia, all’epoca la più grande concessionaria stradale italiana, controllata dalla famiglia Benetton. Dopo il crollo e una complessa serie di vicende, la società è stata rilevata dallo stato e i Benetton sono stati generosamente compensati. Sia Autostrade per l’Italia che Spea hanno patteggiato per 30 milioni di euro l’uscita dal processo.
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