Il prestito contratto nel 2021 si è rivelato un peso troppo gravoso da gestire per la proprietà cinese. Alla scadenza dei termini, il fondo Usa sta per escutere le azioni prese in pegno, ma non sembra avere molta intenzione di gestire il club. E i suoi precedenti nel mondo del calcio non rassicurano
Appeso a un bank holiday. Oltreché frenetico, il lunedì che potrebbe essere il suo ultimo da presidente interista è stato beffardo per Steven Zhang. Era la giornata in cui scadeva il termine della restituzione a Oaktree Capital Management del prestito più interessi contratto nel 2021 (per una cifra di circa 380 milioni di euro), ma quella scadenza è stata allungata di un giorno.
Motivo: in Lussemburgo, dove ha sede la catena di veicoli societari attraverso cui viene controllata la società nerazzurra, era un lunedì festivo di Pentecoste. Dunque, istituti finanziari chiusi e nessuna possibilità di operare trasferimenti di denaro.
A Milano, invece, era giorno feriale. Vissuto pericolosamente. E quanto alla festa, quella che la sera prima si era svolta in uno stadio Meazza stracolmo per celebrare lo scudetto della seconda stella si era svolta con un retrogusto amaro. Perché lì si tracciava una riga e almeno ancora per qualche ora era meglio starsene al di qua. La prospettiva del lunedì bancario, vista dagli spalti di San Siro, era molto meno rassicurante.
Pagare pegno
Che la prospettiva di uscire dalla morsa di Oaktree fosse complicata era cosa nota. L’emergenza finanziaria che ha colpito il gruppo Suning in conseguenza della pandemia ha avuto ripercussioni immediate, seppur indirette, sulla gestione della società nerazzurra. Il ricorso al mercato finanziario è stata una carta giocata in modo azzardato dalla proprietà, tanto per la cifra del prestito (275 milioni di euro da restituire entro tre anni) quanto e soprattutto per il tasso d’interesse: dodici per cento.
Un tasso così elevato era già un segnale di quali fossero le difficoltà della famiglia Zhang. E ancor più secco è stato il messaggio giunto quando si è scoperto che la proprietà cinese, come pegno del debito, ha dato le quote della società lussemburghese che controlla l’Inter, Grand Tower Sarl.
Si è così approntato uno schema che ricalca quello da cui è derivato il passaggio di proprietà del Milan dal cinese Yonghong Li a Elliott Management. Dunque si replica con la situazione del cinese che s’indebita oltremisura con l’americano e infine paga pegno. E nel mezzo, fra l’inizio di questa storia e un epilogo già scritto, si è assistito a una totale scissione fra le sorti della squadra, che sul campo è riuscita a tornare vincente, e quelle di una società la cui proprietà era sempre più chiaramente in affanno.
L’affondo dalla Cina
Nel frattempo la famiglia Zhang è sparita. Il giovane presidente Steven non si fa vedere in Italia da un anno. La stagione dello scudetto della seconda stella se l’è vissuta da remoto. Molto si favoleggia sui motivi per i quali il giovane presidente non esce dai confini cinesi. Di sicuro c’è la questione di un altro debito non restituito, quello da 320 milioni di euro contratto con China Construction Bank.
Assieme alla famiglia Zhang è sparito ogni altro possibile finanziatore. Compreso Pimco, altro fondo Usa la cui iniezione di denaro era stata data per certa. Sicché si ritorna alla casella di partenza: Oaktree. Ma cosa farà il fondo californiano se dovesse annettersi il club nerazzurro? Le indiscrezioni dicono che non ci sia molta voglia di gestire l’Inter. Meglio vendere appena possibile.
Fra l’altro, la precedente esperienza di Oaktree col calcio europeo non è esaltante. Il Caen, squadra della B francese di cui il fondo è stato proprietario dall’estate 2020 allo scorso marzo, è arrivato a rischiare la retrocessione in terza serie nella prima stagione sotto il fondo.
Né tanto meglio è andata al Cardiff, di cui è proprietario uno dei cofondatori di Oaktree (Steve Kaplan), nella B inglese. Non c’è molto di che stare allegri.
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