Ha fatto arrestare un intero gruppo criminale di Milano e si è ritrovato a pagare i debiti lasciati dalla cosca. «Lo stato mi ha tradito e i boss non dimenticano»
«Una mattina mi sono svegliato, mi ha chiamato la banca e non avevo più un soldo». Ci sono molti modi di morire di mafia. C’è chi rimane stramazzato a terra con una pallottola addosso, chi scompare senza nemmeno lasciare un corpo e chi rimane vivo, appeso a un filo disperato. Carlo B. è vivo, ma consunto. Con le sue denunce ha contribuito a sgominare il clan Valle-Lampada, uno dei più potenti in Lombardia, e in cambio ha ricevuto la condanna a pagare debiti non suoi.
Per raccontare la sua storia bisogna fare un salto indietro. Ventitré anni fa, a una festa tra amici appassionati di moto, Carlo invita Caterina a fare un giro con lui. Lei diventerà sua moglie, avranno una figlia, Valeria, si sposeranno. Ma Caterina ha un cognome pesante. È legata al clan Valle-Lampada, insediatosi fin dagli anni ’80 in Lombardia, tra Vigevano e Cisliano. Il boss Francesco Valle è attivo nella ristorazione, nell’immobiliare e nel gioco d’azzardo. Ha già una condanna per mafia che risale al 1992. Uscito dal carcere, “don Ciccio” ha trasformato la sua masseria nel quartier generale di usura ed estorsioni. Carlo ancora non lo sa. «Non sapevo chi fossero. Per me la ‘ndrangheta non esisteva», racconta. «Poi, frequentando i suoi genitori, ho notato che si vantavano, quasi per gioco».
Nel 2005 gli viene presentato Francesco Valle, che propone alla coppia di aprire un bar in zona. Carlo ha appena perso il lavoro, sembra l’occasione della vita. «Lì avevo notato qualcosa di strano. Una volta ero stato avvicinato da un cliente che mi ha raccontato una brutta storia di usura. Mi disse che io “non ero come loro”. Si mise a piangere, mi chiedeva aiuto». Lui chiede spiegazioni alla moglie. Lei nega che sia «mai accaduto qualcosa di illecito». Litigano. Siamo nel 2007. Il bar viene messo in vendita, Carlo perde il lavoro e l’amore con Caterina si sfalda.
Rimane solo, con una figlia piccola e un matrimonio naufragato. Non sa di essere la preda perfetta. «Loro ne approfittano – dice – e mi parlano della società Europlay Srl, un’azienda di slot machine da installare nei bar, offrendomi di entrarci. Io ero senza lavoro, loro mi hanno assicurato che era tutto regolare. Sembrava un’opportunità».
Ma il dubbio, con il passare dei mesi, diventa una certezza. Quell’impiego di comodo non è un “favore”. Carlo è un prestanome, di fatto, senza alcun controllo sulle spese. Firma i contratti con i bar per l’installazione delle slot, ma dietro le quinte della società c’è un ingente movimento di denaro a suo nome. A tirare le fila è Angela Valle, la figlia di don Ciccio. Ora la consapevolezza di essere dentro un sistema mafioso, tra truffatori e strozzini, è totale.
Lo racconta sua figlia, Valeria: «Quando ha scoperto che i parenti della mia mamma – da cui era ormai separato – facevano parte di un clan della ‘ndrangheta e stavano sfruttando la sua buona fede per i loro scopi, ha fatto l’unica cosa giusta che poteva fare: ha denunciato. Ha fatto arrestare 13 persone, condannate a pene tra i 9 e i 16 anni», spiega. E aggiunge: «Da allora, anziché essere tutelato dallo Stato, mio padre è stato abbandonato».
Il primo luglio 2010 vengono arrestati a Milano 15 membri del clan Valle, accusati di estorsione ai danni di imprenditori. Vengono sequestrati 138 immobili e conti correnti per un valore di 8 milioni di euro. Le informazioni fornite da Carlo si rivelano fondamentali per ricostruire gli affari del clan. Ma, per un errore, Carlo non viene inserito come parte lesa nel processo.
Da quel momento, racconta la figlia, «si è trovato sommerso da debiti che non gli appartenevano. Cartelle esattoriali su cartelle esattoriali hanno iniziato ad arrivare», raggiungendo «una cifra che oggi supera il mezzo milione di euro». Per anni a Carlo è stato pignorato un quinto dello stipendio nel tentativo di risanare un debito che ritiene «ingiusto». Ha combattuto a lungo, vincendo anche alcune cause, e per un momento sembrava che la situazione potesse risolversi.
E invece, nel 2024, racconta Carlo, «Equitalia mi ha svuotato i conti senza preavviso». Ora deve «contare i centesimi che spende». «E la cosa più brutta – mi dice – è che c’è di mezzo mia madre. Ho visto mio padre morire durante questa situazione. Mia mamma sta pagando una rata a causa mia. Finché toccano me non mi interessa, ma stanno toccando le persone intorno a me».
Ora la sua rabbia è anche verso lo Stato. «Loro sono delinquenti – dice Carlo – capivo a cosa andavo incontro facendo quella scelta, ma non mi aspettavo un comportamento del genere dallo Stato. Io avrò sbagliato, gli avvocati avranno sbagliato, ma lo Stato avrebbe dovuto intervenire».
Pochi mesi fa, Carlo ha perso la sua compagna, che l’ha sostenuto nella sua battaglia. «Quando è morta, mi hanno tenuto in vita i debiti di quei bastardi, perché li dovrebbero pagare i miei familiari», spiega.
Gli chiedo se questa storia finirà mai, se non ha paura.
Lui respira a fondo. «Loro non dimenticano. Io so come viaggiano. La minaccia era “prima pagherai a livello finanziario e poi con la vita”. Io ci penso sempre. Cerco di stare sereno». Anche la spesa per un caffè deve essere giustificata al giudice. Se vuole aiutare i figli – Valeria aspetta un bambino – deve chiedere il permesso. Il 19 febbraio il boss don Ciccio Valle è morto a 87 anni. Sull’epigrafe i suoi figli lo hanno ricordato come «esempio di amore e dedizione». E Carlo dice a Domani che non ha potuto, non può «restare in silenzio».
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