-
Citando “minacce” da parte del movimento armato “Jihad Islamica”, sostenuto dall’Iran, il premier Lapid autorizza attacchi preventivi sulla striscia, innescando un’escalation. Oltre dieci i palestinesi rimasti uccisi, fra cui un importante esponente del gruppo armato e una bambina di 5 anni
-
Pioggia di razzi su Israele che però ne intercetta il 95 per cento con il sistema “Iron Dome”, evitando feriti
-
Lapid, il primo premier israeliano senza trascorsi militari importanti, sceglie la linea dura sulla striscia in vista delle elezioni del primo novembre.
Israele ha lanciato un attacco di vasta scala contro la striscia di Gaza citando minacce del gruppo Jihad Islamica in seguito all’arresto di un suo esponente di primo piano in Cisgiordania l’1 agosto scorso. Le vittime nel secondo giorno dell’operazione battezzata “Sorgere dell’alba” sono oltre una decina, fra cui Taysir al-Jabari, un dirigente del movimento nella striscia, e una bambina di 5 anni. Per ora il movimento Hamas, al potere a Gaza, si tiene fuori dal conflitto.
Verso le 21 di venerdì è iniziata la rappresaglia dei miliziani palestinesi che hanno lanciato oltre 200 razzi verso lo stato ebraico; solo una parte ha raggiunto Israele e di questi il 95 per cento sono stati intercettati dal sistema di difesa anti-missilistica “Iron Dome”. Non ci sono di conseguenza né vittime né feriti gravi per ora da parte israeliana. Il premier ad interim Yair Lapid ha fatto sapere che l’operazione durerà “quanto è necessario”.
L’origine dell’escalation
All’inizio del mese le truppe israeliane avevano arrestato il sessantaduenne dirigente della “Jihad Islamica” Bassam al-Saadi durante un raid nella cittadina di Jenin, nella Cisgiordania settentrionale. Durante l’ultimo anno di rara quiete sul confine con Gaza, dopo la guerra degli 11 giorni del maggio 2021, Jenin era diventata il punto di maggiore frizione del conflitto. Durante uno degli scontri a Jenin è rimasta uccisa la nota giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh, l’11 maggio scorso.
Dopo l’arresto di Bassam al-Saadi, documentato da video in cui lo si vede mentre viene trascinato a terra dai soldati, il movimento armato sostenuto dall’Iran ha promesso una rappresaglia contro Israele. Per quattro giorni consecutivi il governo Lapid ha deciso di mettere in sicurezza il perimetro della striscia di Gaza chiudendo strade, interrompendo il collegamento ferroviario e limitando le attività dei civili nella zona frontaliera. In passato gli attacchi dei miliziani di Gaza avevano preso di mira in più occasioni veicoli civili in transito lungo le strade di confine.
Infine, nella giornata di venerdì, senza che la temuta rappresaglia si verificasse, il governo israeliano ha deciso di agire in maniera preventiva. Dichiarando l’inizio dell’operazione “Sorgere dell’alba”, l’esercito ha colpito numerosi obiettivi del gruppo Jihad Islamica nella striscia uccidendo oltre una decina di militanti che sarebbero stati in procinto di compiere un attacco. Ora la portata e durata del conflitto dipendono in particolare dal coinvolgimento o meno di Hamas, le cui capacità militari sono superiore a quelle di Jihad Islamica.
Premier in cerca di voti
L’attacco sferrato contro la striscia arriva in una fase politica particolare in Israele. A fine giugno è caduto il cosiddetto “governo del cambiamento”, che aveva messo fine a 12 anni e mezzo consecutivi di leadership di Benjamin Netanyahu. Contestualmente Lapid, alleato politico dell’ex premier Naftali Bennett, ha preso le redini del Paese in vista del ritorno alle urne l’1 novembre prossimo.
Lapid è un raro caso di premier israeliano che non può vantare trascorsi militari importanti, avendo svolto il proprio servizio di leva come giornalista di una pubblicazione dell’esercito e non come combattente. Il fatto è considerato il suo tallone d’Achille in politica. È facile comprendere come il pugno duro su Gaza nei quattro mesi di governo che precedono il voto possa aiutarlo ad affermarsi in campagna elettorale.
“Israele non rimarrà inerte di fronte a chi vuole nuocere ai suoi cittadini. Questo governo ha una politica di tolleranza zero per qualsiasi tentativo di attacco, di qualsiasi genere, da Gaza verso il territorio israeliano”, ha dichiarato Lapid. “Le organizzazioni terroristiche non detteranno l’agenda nella zona a ridosso di Gaza”, ha aggiunto, alludendo al “lockdown” preventivo degli ultimi giorni.
La striscia martoriata
Nei 17 anni trascorsi dal ritiro israeliano nel 2005 e dalla successiva vittoria elettorale e presa del potere di Hamas Israele ha lanciato numerose operazioni militari contro la striscia. Le più violente hanno causato la morte di migliaia di palestinesi e provocato nuove ondate di profughi, in una regione in cui circa il 70 per cento degli abitanti discendono da rifugiati della guerra del 1948.
Nel frattempo le condizioni economico-sanitarie del territorio, tenuto sotto embargo sia da Israele che dall’Egitto, sono precipitate: già nel 2015, all’indomani dell’operazione del 2014, le Nazioni Unite avevano previsto che sarebbe divenuto “invivibile” entro il 2020. Uno delle zone più densamente popolate del mondo, Gaza conta circa due milioni di abitanti in un territorio di 365 chilometri quadrati. Acqua ed elettricità sono merci rare e secondo l’ONU oltre la metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà.
Il 12 settembre 2021 Lapid, che all’epoca ricopriva solo la posizione di ministro degli esteri, aveva proposto un piano di rilancio per la striscia. In cambio di una tregua di lungo termine e dell’adesione di Hamas ad una serie di principi, fra cui il riconoscimento di Israele, lo stato ebraico avrebbe promosso la prosperità economica e la riqualifica di infrastrutture e servizi, con l’aiuto di investimenti degli Emirati Arabi Uniti. Invece di dare seguito alla sua proposta, però, Lapid ha deciso di lanciare una nuova guerra.
© Riproduzione riservata