- Chi si ricorda più del mite Mariano Rumor, democristiano di Vicenza che faceva parte della corrente dorotea, uomo grigio, a tratti incolore, eppure capace, determinato e molto coraggioso com’ebbe a dimostrare in alcune circostanze?
- Un libro importante e molto documentato, agile e scorrevole, di Stefania Limiti, L’estate del golpe, è stato da poco pubblicato da Chiarelettere.
- L’attentato è mirato contro Rumor perché da presidente del Consiglio s’era rifiutato di firmare lo stato d’assedio dopo la strage di piazza Fontana.
Chi si ricorda più del mite Mariano Rumor, democristiano di Vicenza che faceva parte della corrente dorotea, uomo grigio, a tratti incolore, eppure capace, determinato e molto coraggioso com’ebbe a dimostrare in alcune circostanze? Chi si ricorda della strage davanti alla questura di Milano il 17 maggio 1973 quando esplose un potente ordigno che nelle intenzioni dell’attentatore avrebbe dovuto ucciderlo?
Lui si salvò, ma rimasero uccise quattro persone e 45 rimasero ferite. Sono trascorsi esattamente cinquant’anni e sembrano fatti relegati in un passato che non interessa più a nessuno, incapaci di parlare alla sensibilità del presente.
E invece non è per niente così. Ce lo dimostra un libro importante e molto documentato, agile e scorrevole, di Stefania Limiti, L’estate del golpe, da poco pubblicato da Chiarelettere. L’attentatore è un certo Gianfranco Bertoli che viene immediatamente catturato e subito urla: viva Pinelli, viva l’anarchia. Insomma, ha fatto l’attentato per vendicare la morte di Giuseppe Pinelli, l’anarchico che entrato sulle sue gambe in questura a Milano ne uscì dentro una bara. E il nome di Pinelli ci riporta subito a piazza Fontana, data d’avvio della strategia della tensione.
Un progetto politico
È un legame stretto tra i due fatti come mostrano altre circostanze inquietanti e di grande interesse. In entrambi i casi vengono coinvolti gli anarchici; prima Pietro Valpreda, e adesso Bertoli. Solo che Valpreda, il mostro sbattuto in prima pagina, nulla aveva a che fare con piazza Fontana, e Bertoli è un finto anarchico. Entrambi i casi fanno parte dello stragismo fascista, e i due fatti sono attribuiti agli anarchici e non hanno una rivendicazione.
Chi sta dietro le due stragi non le rivendica, anzi fa di tutto per scaricare la colpa su altri. Sono talmente orribili questi misfatti da doversene vergognare? Si, sono orribili, ma non se ne vergognano, e non li rivendicano perché hanno in mente un progetto politico.
Altre stragi si verificano in quegli anni Settanta, ma gli autori si firmano: sono le Brigate rosse. Il terrorismo rosso rivendica quello che fa, lo stragismo fascista no. E non è una differenza da poco perché questa caratteristica durerà negli anni fino alla definitiva sconfitta delle Brigate rosse e all’esaurimento dello stragismo che avviene con la strage fascista di Bologna del 1980.
L’attentato è mirato contro Rumor perché da presidente del Consiglio s’era rifiutato di firmare lo stato d’assedio dopo la strage di piazza Fontana. Le bombe erano state messe proprio per creare paura e determinare una reazione popolare che reclamasse uno stato forte. Accadde esattamente il contrario e lo si capì il giorno dei funerali quando i milanesi, compatti come non mai, accompagnarono i feretri delle vittime con un potente ed eloquente silenzio.
La più fasulla delle teorie
Via via che ci si addentra nella lettura ci imbattiamo in un mondo opaco dove agiscono nell’ombra personaggi inquietanti legati a Ordine nuovo, alla Rosa dei venti, al Movimento di azione rivoluzionaria in combutta con uomini dei servizi segreti che depistano, inquinano le prove, impediscono che i colpevoli vengano individuati e condannati. Occupano la scena gli uomini del Sid e del Sismi, si scopre che Bertoli è negli elenchi di Gladio, diramazione italiana di stay behind tenuta a battesimo dal democristiano Paolo Emilio Taviani che non a caso stabilirà i nessi e i collegamenti tra i fascisti e gli apparati.
Fa la sua comparsa la maggioranza silenziosa dell’avvocato Adamo Degli Occhi, si sentono gridare slogan anticomunisti, si fanno le riunioni nella sede del partito monarchico e sotto il ritratto di Umberto II troviamo un giovane Ignazio La Russa.
Ci sono i giornali come il “Candido” di Giorgio Pisanò e il “Borghese” di Mario Tedeschi che fanno le loro campagne. C’è il 1970 con la rivolta di Reggio Calabria e la città messa a ferro e fuoco dagli uomini del Msi di Almirante, da altre frange nere e da uomini della ‘ndrangheta mentre lo Stato fu costretto a mandare i carri armati.
Dirà un caustico Giorgio Bocca: «In un paese civile in cui la legge è rispettata, uno come Ciccio Franco sarebbe in galera e non a palazzo Madama». C’è il tentato golpe dell’Immacolata, poi rientrato all’ultimo momento, e ci sarà poi quello dell’ambasciatore Edgardo Sogno, che era un fiero “paladino dell’anticomunismo militare”. C’è anche l’attività di un altro campione dell’anticomunismo, il materassaio Licio Gelli, capo della P2. Viene lanciata quella che Limiti giustamente definisce «la più fasulla delle teorie, quella degli “opposti estremismi”» che un uomo molto avvertito e dentro le questioni cruciali del tempo, Taviani, straccerà come una carta falsa.
Argine alla sinistra
C’è una notazione molto interessante di Limiti. «Tutti i golpisti di questo scorcio degli anni Settanta contano sui militari che invece, stando ai report della Cia, sono piuttosto indolenti, per quanto di destra». Ma questo nulla toglie alla loro pericolosità e al loro avventurismo che sono costati morti, tensioni politiche, distruzione di vite di tanti giovani che avevano creduto in quelle fantasie e nelle illusioni di una destra stragista.
L’ossessione di tutti, compresa la Cia e il presidente della Repubblica, il socialdemocratico Giuseppe Saragat, era impedire lo “scivolamento verso sinistra”; così disse uno dei protagonisti del tempo, il generale Gianadelio Maletti. E in questa stagione «il dinamismo della segreteria Almirante aveva riportato in piazza la violenza organizzata neofascista» e nel contempo entravano in scena i potenti democristiani da Rumor a Taviani, a Moro, a Fanfani, ad Andreotti e s’infittivano le discussioni sul centro sinistra.
Sullo sfondo gli americani con le loro logiche e le loro preoccupazioni sull’Italia espresse da Graham Martin che rimprovera la Dc per non essere stata capace di contenere la forza del Pci che invece di diminuire aumentava. Finché l’accordo di palazzo Giustiniani del 5 giugno 1973 non mise d’accordo tutti perché, conclude Stefania Limiti, «nel caos delle correnti l’attentato a Rumor ebbe una funzione aggregante».
Tutto ciò non è roba del passato perché spezzoni di quella destra sono sopravvissuti a quella stagione, si sono riciclati e hanno continuato ad inquinare i pozzi. Perciò è bene sapere e ricordare, perché è sempre bene guardare in faccia la realtà di ieri e di oggi.
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