- In questa vicenda il riferimento ai fatti è stato un cadavere eccellente, sul quale hanno ballato gli esternatori di opinioni fuorvianti e i semplificatori della complessità che hanno semplificato a modo loro.
- Si è arrivati a sostenere che punire la Juventus andrebbe contro l’interesse generale del calcio italiano, con un’argomentazione che peraltro contiene un senso esattamente contrario: se l’interesse di uno assorbe l’interesse di tutti, allora il sistema è profondamente malato.
- E poi ci sono i tweet invecchiati male. Come quelli che elogiavano la cosiddetta “manovra stipendi” e la indicavano come una via che il calcio italiano avrebbe dovuto seguire.
Tutto fuorché il merito dei fatti. Il prossimo lunedì 22 maggio la Corte federale d’appello della Federazione italiana gioco calcio (Figc) si esprimerà sull’ipotesi di nuova penalizzazione da comminare alla Juventus riguardo alla vicenda delle plusvalenze incrociate. E questo è un fatto sul cui merito si può discutere.
Ma in questa storia il rispetto dei fatti e la necessità di far tenere loro un rapporto equilibrato con le opinioni è un cadavere eccellente. E quando un giorno verrà messa la parola fine, sui piani della giustizia penale e di quella sportiva, bisognerà pur fare una riflessione sul modo in cui la vicenda è stata trattata dai media e confezionata a beneficio dell’opinione pubblica.
Che sarà anche un’entità vaga e pressoché mitologica, ma non corrisponde affatto all’idea del parco buoi da manipolare e evangelizzare che ne hanno certi esternatori d’opinioni (gli opinionisti sono altra cosa). Fra chi legge, o ascolta, c’è anche molta gente capace di ragionare con la propria testa. E di documentarsi qualora lo ritenga necessario, mostrando pure dimestichezza con la ricerca delle fonti e l’interpretazione dei reperti.
Ecco, dire a gente così che la vicenda della Juventus debba andare a finire in un tal modo anziché in tal altro perché sarebbe in ballo “il bene del calcio italiano” significa fare un insulto all’intelligenza.
La propria, ovviamente, perché quella altrui ha difese sufficienti per arginare l’idiozia. E altrettante difese mostra verso i colpevolisti a prescindere, così come verso i radiati e prescritti che cavano da chissà dove le pen drive cariche di “verità alternative” (che poi sarebbe anche un’altra formula della post-verità) rispetto a fatti per niente connessi con quelli di cui si parla adesso. Ma così vanno le cose, in una vicenda che ha scatenato passioni disordinate e legittimato i più spinti terrapiattismi calcistici.
Con la cosiddetta critica (ma possiamo ancora chiamarla così?) che, invece di provare a analizzare e chiarire gli aspetti più complessi d’una vicenda in cui proprio la complessità è la cifra più rilevante, si è lanciata sovente nell’arena della dialettica più scomposta. Con effetti devastanti esclusivamente per sé stessa.
L’interesse del sistema
Precisiamo immediatamente: avere un’opinione su quanto accaduto e esternarla sono cose normali. E noi di Domani lo abbiamo fatto a più riprese, sostenendo che la Juventus e tutte le altre società coinvolte in questa storia (unitamente alle persone fisiche) hanno commesso cose non regolari e per questo dovrebbero pagare. Si tratta di un’opinione che riteniamo legittima, allo stesso modo in cui riteniamo legittime le opinioni di chi al contrario sostiene che in queste condotte non vi sia alcuna irregolarità e provi a argomentarlo. Normale dialettica, quella su cui si dovrebbe reggere il dibattito pubblico rispetto a qualsiasi questione. E la vicenda delle plusvalenze incrociate è esattamente questo: una questione d’interesse pubblico che riguarda un eminente fenomeno culturale di questo paese (ciò che il calcio è) e che per questo andrebbe trattata con accortezza, tanto più per via dei menzionati profili di complessità.
Invece è successo che proprio i profili di complessità si siano trasformati in uno strumento per procedere alla semplificazione. Che di per sé non sarebbe nemmeno una condotta negativa, poiché rendere comprensibili gli aspetti complicati di una vicenda dovrebbe essere parte del mestiere di chi informa, un’azione indispensabile per ampliare il raggio del dibattito pubblico. E invece è andata a finire che la semplificazione è stata utilizzata come uno strumento per deviare dal focus del dibattito, e trasformato i cosiddetti esperti (in verità spesso autonominati) in agitatori della distrazione e equilibristi del benaltrismo. Con uso di argomentazioni il cui effetto è stato quello di spostare il dibattito dal terreno dei fatti verso altri terreni non fattuali.
Per esempio, il terreno del realismo politico. Battuto con l’argomentazione secondo cui «far male alla Juventus significherebbe far male all’intero calcio italiano». Un’argomentazione che non abbiamo mai nemmeno provato a comprendere, tanto è infondata e capziosa. Ma che nonostante la totale inopportunità è circolata ampiamente e è stata persino presa sul serio.
Chi dà la ricchezza
Il bene di uno come bene di tutti. Basterebbe questa constatazione per portare a un punto logico che è l’esatto contrario dell’effetto di legittimazione che si intende perseguire con l’uso di questa argomentazione. Perché se il bene di un sistema dipende dalle sorti di un suo solo soggetto, significa soltanto che quel sistema è gravemente malato. E che la sua guarigione può essere raggiunta soltanto separandola dalle sorti di quel singolo soggetto.
Purtroppo c’è che di rappresentazioni della situazione dall’analogo tenore ne sono circolate diverse. Un’altra è stata quella che ha fatto coincidere l’arresto della spesa juventina sul mercato dei trasferimenti con la crisi definitiva di liquidità per questo settore in Italia. Cosa di cui in effetti si è avuto prova durante la finestra di calciomercato invernale dello scorso gennaio, quando con la società bianconera impossibilitata a spendere per ovvie ragioni la circolazione di risorse finanziarie si è quasi arrestata. E ciò è stato usato come un argomento che sottintendeva un: «Visto? Peggio per voi, così imparate a punire la Juventus».
Ma ancora una volta, tale penuria di liquidità è segno di una malattia di sistema che non si risolve certamente perpetuando uno tra gli effetti perversi della malattia, cioè mettendo al riparo dalle proprie eventuali colpe l’uno o i pochi che garantivano le risorse finanziarie. Molto più probabile che la penuria definitiva forzi gli attori del sistema a darsi finalmente delle regole di governo (e auto-governo) più virtuose, pena la loro sparizione assieme al sistema complessivo. Cosa che forse sta già cominciando a avvenire.
L’esemplare manovra
E poi ci sono anche gli infortuni comunicativi. Quelli che avvengono per eccesso di zelo, o per una voglia di elogiare a tutti i costi anche nei casi in cui nulla vi sia da elogiare. Come quando si etichetta come “esemplare”, o la si fa passare come qualcosa che andrà a incrementare il benessere del sistema, un’azione che in realtà serve soltanto a salvaguardare un interesse di parte e la propria sopravvivenza. L’esempio da manuale è la cosiddetta “manovra stipendi”, che a due riprese ha permesso alla società bianconera di rimettere in linea di galleggimento i conti grazie a un’azione presentata come taglio di alcune mensilità di stipendio ai calciatori ma che nella realtà era soltanto un loro differito pagamento.
Che si trattasse di un differimento, se ne sarebbe venuti a conoscenza soltanto dopo la pubblicazione sui media dei documenti raccolti durante l’indagine Prisma della procura della Repubblica di Torino. Cionondimeno, nel momento in cui la cosa avveniva e pareva si trattasse effettivamente di un taglio secco alle retribuzioni dei calciatori, sarebbe stato opportuno non lanciarsi in elogi sperticati verso la società bianconera, come se stesse indicando una via di svolta e moralizzazione al calcio italiano.
Sarebbe stato meglio evitarlo non soltanto perché in seguito è venuta fuori tutta un’altra verità su quella manovra (al punto che certi tweet, scritti un po’ troppo d’impulso e con enfasi estrogena, sono come si dice in gergo “invecchiati malissimo”), ma soprattutto perché si mancava completamente il senso dell’operazione. Se anche si fosse trattato di un taglio di stipendi senza se e senza ma, la Juventus lo avrebbe operato non già per «indicare una strada al calcio italiano», ma soltanto per salvare sé stessa come azienda e dunque i propri interessi. Insomma, per sopravvivere.
E cosa ci sarebbe mai di così esemplare, e meritevole di enfatizzazione, nell’esercizio di istinto naturale qual è quello di sopravvivenza? Specie se dettato dalla necessità di aggiustare una situazione resa precaria già prima dalla pandemia, per via della dissennata scelta di investire una quantità incompatibile di risorse per l’acquisizione di Cristiano Ronaldo?
Forse un giorno si potrà parlare serenamente di tutto ciò. Separando finalmente i fatti dalle opinioni. E le opinioni dalle militanze mimetizzate.
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