Condannato a 12 anni, il boss albanese Dorian Petoku era entrato in un programma di riabilitazione, con due giorni in spiaggia. La distrettuale antimafia di Roma si era opposta alla comunità. Ora è latitante, nella struttura aveva ripreso i contatti con i suoi sodali
Quest’estate a Baia Domizia, località marittima in provincia di Caserta, c’è stato il tutto esaurito. Tra i turisti, seduto in riva a quel mare adulato anche dagli imperatori romani, c’era un villeggiante particolare: Dorian Petoku, di mestiere trafficante di droga. Di Petoku, Domani si era già occupato un mese fa rivelando la decisione di inviarlo in un’altra struttura dove aveva ritrovato vecchi sodali del crimine, picchiatori e boss della droga.
Una decina di giorni dopo la nostra inchiesta, in concomitanza con la decisione di pentirsi di Fabrizio Capogna, signore della droga romano, Petoku è sparito. Oggi è latitante, ha ritrovato la libertà dopo aver scontato solo pochi mesi di carcere.
Perché era al mare?
Ma perché era addirittura in riva al mare? Petoku, uno degli esponenti di spicco dalla malavita albanese, era in comunità perché ritenuto incompatibile con il carcere nonostante la condanna a 12 anni rimediata dal tribunale di Roma in primo grado.
E così, sulla scorta di un intenso programma di riabilitazione per la documentata dipendenza da cocaina, la stessa che traffica da anni, la corte d’Appello della capitale, presidente Bruno Scicchitano, lo ha autorizzato a «allontanarsi dalla sede della comunità San Pio ove è ristretto agli arresti domiciliari nei giorni di martedì e giovedì nei mesi di luglio e agosto 2023 per recarsi presso il tratto di mare antistante la comunità di San Pio nell’ambito dell’attività pedagogiche e ricreative esterne comprese nel programma di recupero», si legge nell’ordinanza di luglio 2023.
Il trafficante Petoku
La dipendenza era stata verificata attingendo alla documentazione fornita dalle autorità albanesi e da una perizia di parte. La madre del boss è in rapporti con una clinica di cure private. La dipendenza e la follia sono le ragioni che più spesso hanno consentito a boss e criminali romani di evitare il carcere.
Per presunti illeciti nei percorsi di accertamento della dipendenza e della pazzia esiste anche un’indagine della magistratura: a processo ci sono un carabiniere e un medico, il tribunale di Roma stabilirà eventuali responsabilità. Un dibattimento che non incrocia il percorso di Petoku, ma quello di suoi sodali nello scacchiere criminale romano. La malavita albanese è una delle strutture criminali più temute non solo in Italia, ma dalle autorità giudiziarie di tutto il mondo.
«L’Albania è un paese produttore di marijuana, ma anche di transito per l’eroina proveniente dall’Asia centrale e dall’Afghanistan e destinata al mercato dell’Europa occidentale (la “rotta balcanica”)», si legge in un recente rapporto della direzione nazionale antimafia.
«I napoletani e gli albanesi è una cosa… Questa è gente di merda!! Questa è gente cattiva», diceva un pregiudicato al telefono, intercettato nell’inchiesta Mondo di mezzo della procura di Roma. Farsi scappare così un signore della coca racconta molto del livello di attenzione rispetto ai fenomeni criminali. Una decisione, quella di mandarlo in comunità, assunta dall’autorità giudiziaria con il parere contrario della distrettuale antimafia di Roma.
Operazione Brasile
Petoku era stato raggiunto dall’ordinanza di custodia cautelare in carcere nell’ambito dell’operazione della guardia di finanza, ribattezzata Brasile low cost, coordinata dal procuratore Michele Prestipino e dal pubblico ministero Giovanni Musarò, che aveva coinvolto proprio Dorian Petoku, Salvatore Casamonica, Silvano Mandolesi e Tomislav Pavlovic.
L’Italia ha dovuto chiedere ripetutamente l’estradizione dall’Albania e quando l’ha ottenuta Petoku è finito in comunità con una condanna a 12 anni. Ora è in corso l’appello. Come denunciato da Domani a metà novembre, lì aveva ritrovato vecchi sodali come Kevin Di Napoli, picchiatore della batteria di Fabrizio Diabolik Piscitelli, ucciso nell’agosto 2019 dall’incrocio d’interessi tra camorra e alcuni capi delle piazze di spaccio romane, ma anche Simone Ciotoli. Faceva parte della banda di Andrea Buonomo, detto il profeta, vicinissimo a Diabolik e agli albanesi.
Ciotoli, per qualche tempo, è stato anche latitante in Spagna. È spuntato anche nella vicenda del ferimento di Davide Centi, raggiunto per errore dai proiettili nel quartiere Tufello. Una vicenda che racconta perfettamente Roma, capitale del crimine nel silenzio generale.
Ciotoli, Petoku e Di Napoli sono immortalati in una foto che racconta perfettamente l’armonia ritrovata in comunità, dove si trovava un altro picchiatore albanese, Yuri Shelever. Ora Petoku ha abbandonato la comunità, si è liberato del braccialetto elettronico e ha fatto perdere le sue tracce. Potrebbe essere all’estero. Dubai è una meta molto frequentata dai latitanti, non sembra più raggiungibile.
La sua storia racconta la fragilità del sistema di contrasto oltre che la frustrazione delle forze dell’ordine, impegnate in turni massacranti per garantire alla giustizia boss come Petoku, per poi dover ricominciare tutto da zero. Ora il signore della coca potrebbe trovarsi in qualche lussuoso albergo a godersi il mare dopo essersi immerso, con permesso di stato, in quello di Baia Domizia.
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