Il sistema di reclutamento spagnolo sembra favorire la crescita dei campioni: otto calciatori su undici schierati in finale contro l’Inghilterra si sono fatti le ossa nelle seconde quadre dei loro rispettivi club. Ma anche in quel mondo ci sono segni evidenti di decadenza, e non da oggi
Otto giocatori su undici della Spagna che è scesa in campo contro l’Inghilterra nella finale di Euro 2024 sono cresciuti e si sono fatti le ossa nelle seconde squadre dei rispettivi club. Dal Villarreal B di Rodri, al Bilbao Athletic di Unai Simon, Laporte e Nico Williams, dalla Real Sociedad B di Le Normand – e Oyarzabal, autore del gol decisivo –, al Real Madrid Castilla di Carvajal e Morata, al Barcellona B di Cucurella.
Scritto così vuole dire tutto e niente, come se guardassimo la formazione dell’Italia eliminata dalla Svizzera per vedere in quali settori giovanili hanno giocato e in quali squadre in prestito si sono fatti le ossa gli azzurri. Resta un fatto, comunque, che nella rosa della Spagna campione del mondo nel 2010 venti dei ventitré convocati erano passati dalle seconde squadre; così come Zidane che prima del Real Madrid ha allenato il Real Madrid Castilla, con suo figlio tra i giocatori.
Le seconde squadre spagnole che, come visto, possono assumere nomi diversi, devono essere iscritte a una categoria inferiore alle prime e se queste retrocedono è retrocessa d’ufficio pure la seconda. Il sistema, alcuni anni fa, si era allargato alle squadre C, senza alcun limite di età e la possibilità di trasferimenti fuori dal mercato a patto che siano per giocatori under 23 o under 25 se con contratto professionistico. E, ovviamente, durante la stagione agonistica si può passare dalla squadra B alla A e viceversa senza veti.
La Spagna, inoltre ha una settantina di centri federali, di cui la metà di proprietà, mentre la Figc ne voleva aprire 200 entro il 2020. Attualmente in Italia i CFT sono 49, qui operano gli staff delle AST – Aree di Sviluppo Territoriale – sotto il coordinamento di un responsabile organizzativo, ospitando, tra le altre, le sedute di allenamento di selezioni maschili (U14 e U13) e femminili (U15) del territorio. E l’Italia ha circa 10 milioni di abitanti in più.
Il sistema, però, sta scricchiolando anche in Spagna e non da oggi. La sentenza Bosman ha portato in Liga tanti giocatori stranieri, aumentando la competitività e facendo scendere di categoria gli spagnoli e con loro le seconde squadre, tanto che, tra quelle citate solo il Villarreal B è in Segunda Division, mentre le altre sono in Primera Federacion, la terza serie del calcio spagnolo. Sono lontani i tempi in cui il Real Madrid Castilla disputava la finale di Coppa del Re e partecipava alla Coppa delle Coppe; eliminata ai sedicesimi di finale dal West Ham United ai tempi supplementari.
Una volta la maturazione era più lenta, si stava più anni nelle serie inferiori, mentre adesso se possono avere un contratto professionistico i calciatori non vogliono rimanere nelle seconde squadre, così queste si svuotano presto dei talenti migliori. Di contro è vero che molti allenatori li buttano prima nella mischia rispetto a un tempo, esercitando un controllo più diretto sui settori giovanili. E se la nazionale spagnola gode ancora dell’onda lunga del sistema delle seconde squadre, vedremo tra cinque, dieci anni, al di là del talento intrinseco dei calciatori, se questo cambiamento e queste trasformazioni avranno un impatto negativo o meno sul calcio spagnolo.
Di contro il campionato Primavera italiano resta poco competitivo ed è evidente a tutti che il gap con la Serie A è troppo grande per tanti, sottolineando un aspetto che molti scout e molti tecnici ripetono come un mantra: settori giovanili e prime squadre sono due sport diversi, pensare quindi di travasare senza filtri è inutile e dannoso. Insomma l’idea di portare l’Under 17 campione d’Europa in Nazionale è ridicola, considerando che quando Vicini promosse, quasi in toto, l’Under 21 quei giocatori erano già tutti titolari in Serie A.
Uno dei grandi elettori delle seconde squadre italiane, al momento ce ne sono solamente tre – Atalanta, Juventus e Milan –, è stato Demetrio Albertini. Un lascito che, evidentemente, non ha attecchito, un trapianto rifiutato da un calcio, quello italiano, di provincia e che in questo humus ha scovato per decenni il talento necessario. Perché alla fine non si può trapiantare un sistema in un altro, essendo il primo frutto di lavoro, accorgimenti e di una cultura calcistica e sportiva diversa.
Inoltre, in questo calcio globale, c’è un tema sottaciuto, quello delle seconde generazioni. In Italia non si va oltre gli oriundi, mentre senza le migrazioni la stessa Inghilterra scenderebbe in campo completamente diversa; per non parlare della Spagna. E questo è anche il frutto di chiare volontà politiche.
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