Rebecca Welch ha 40 anni. Il capo degli arbitri inglesi, Howard Webb, di lei dice che è una persona calma e concentrata, autorevole, suscita rispetto. Sabato 23 dicembre sarà la prima di sempre in una partita di calcio inglese: Fulham contro Burnley. Il percorso, i guadagni, i test, l’alimentazione. Cosa spinge verso il ruolo più odiato nel calcio
Benvenuta signora Rebecca Welch, ma adesso si faccia raccontare cosa l’aspetta. Benvenuta nel mondo di chi giudica e viene giudicato. Il posto è Londra, distretto di Fulham, un feudo laburista pieno di case vittoriane molto costose, il pezzo di Inghilterra con il più alto tasso di adulti single.
È qui che sabato prossimo diventerà la prima donna nella storia ad arbitrare una partita di Premier League, il campionato di calcio più ricco e cool al mondo, Fulham contro Burnley, la decima in classifica contro la penultima, sembra un’emozione da poco invece sarà una cosa storica.
Rebecca Welch ha 40 anni. Il capo degli arbitri inglesi, Howard Webb, di lei dice che è una persona calma e concentrata, autorevole, suscita rispetto, buona gestione dei giocatori. Ha un atteggiamento simile a quello di Stéphanie Frappart, l’arbitra francese che nel frattempo è arrivata fino in Champions League.
Era stata convocata pure ai Mondiali di un anno fa, ma l’hanno tenuta a fare quello strano lavoro oltre la linea laterale, alzare i tabelloni, contare i minuti di recupero, calmare gli allenatori più esagitati.
«Spero che altre donne vedano questi esempi di successo e pensino che l’arbitraggio potrebbe fare al caso loro» dice Webb, quello di Kill the referee, il documentario sulla categoria girato durante gli Europei del 2008. Webb aveva fischiato un rigore per l’Austria negli ultimi istanti della partita contro la Polonia, era finita con un pareggio, e per questo aveva subito minacce di morte da alcuni tifosi. Perfino il primo ministro Donald Tusk aveva sbottato: «Lo ucciderei».
Benvenuta, signora. Questa è la vita da arbitri. Certe passioni sono inspiegabili. Rebecca Welch per molto tempo ha alternato il calcio al suo lavoro nell'amministrazione del servizio sanitario nazionale. Ha detto al Times di non aver mai sperimentato sessismo da parte dei giocatori.
«Sono un’arbitra e ogni mia decisione sarà sempre impopolare per 11 uomini presenti in campo, ma non ho mai visto qualcuno criticarmi perché sono una donna». Da qualche anno la federazione inglese ha lanciato un nuovo piano di sviluppo per l'élite. Ne fa parte pure Sam Allison, il primo arbitro nero in Premier League dai tempi di Uriah Rennie, era il 2008.
Allison ha 42 anni e ha lavorato come pompiere prima di darsi totalmente al football. È la risposta che arriva da Londra nei giorni in cui di arbitri si è tornato a parlare per lo sciopero anti-violenza in Grecia e per un’aggressione vista in Turchia lunedì scorso, un pugno partito da Faruk Koca, presidente dell'MKE Ankaragücü dopo un’invasione di campo.
Perché lo fai
Uno studio spagnolo di qualche anno fa appurò che si comincia per divertimento (29,1 per cento), per seguire gli amici (16,4 per cento), per fare sport (12,7 per cento), per provare qualcosa di nuovo (11,8 per cento ), per bazzicare il mondo del calcio (6,4 per cento), qualcuno dice pure per soldi (6,4 per cento), solo che per arrivare a contarne in accettabile quantità bisogna prima passare da anni e anni di semi-volontariato.
Nel pieno di una nuova ondata di aggressione fra i dilettanti – 451 arbitri picchiati – cinque anni fa i giovani italiani denunciavano ritardi di 8 mesi nei pagamenti: un rimborso spese all’incirca di 30 euro ogni 100 km in auto.
Tra i professionisti, ai gettoni di presenza s'aggiunge un'indennità di preparazione che premia il curriculum. Bisogna passare quasi ovunque un esame sulle regole del gioco e alcune prove fisiche, scatti da 50 metri sotto gli 8 secondi, 200 metri in meno di 32, 2 km e 700 metri in 12 minuti.
Tutto per offrire la garanzia di saper prendere una decisione nel giro di due decimi di secondo. È questa la media di un fischio. La vita di un arbitro in questa minuscola porzione di tempo che sembra scorrere lentissima prima di ogni soffio dentro il Fox 40, il nome di quell’oggettino che portano al collo, di plastica, perché quelli di ferro spaccavano gli incisivi.
Scatti, ti fermi, arretri, dai una sbirciata oltre il muro delle maglie, intanto il pallone è già dall'altra parte e magari il collega in cuffia ti dice ehi, vieni a vedere al monitor cosa hai combinato. Ci sono i più anziani che ancora resistono all’idea della VAR, ci sono i giovani che ci vanno riluttanti perché temono di perdere punti sulla patente dell’autorevolezza.
Girano racconti di leggendarie mortificazioni. Paolo Casarin una volta ha raccontato d’essere giunto a Fossalta di Piave con tre ore di anticipo. Chiese al guardiano dove fossero gli spogliatoi e il custode chiamò l'amico che stava segnando il campo. «Nino, tira fora el cavalo che xe rivà l'arbitro».
In genere mangiano tre ore prima della partita, 100 grammi di pasta, pomodoro fresco, parmigiano. Qualcuno aggiunge una fetta di crostata. Ci sono carriere condizionate da una questione di centimetri.
È quello che l’ex Rosetti chiamava il dovere di decidere. Nei panni del ministro Botero, il Nanni Moretti del Portaborse si vantava di aver fatto l'arbitro in serie C, «mi minacciavano in tutti i modi, ma io non ho mai avuto paura».
L’arbitro cinematografico più indimenticabile resta Lando Buzzanca, alias Carmelo Lo Cascio da Acireale, un calco del famosissimo Lo Bello di Siracusa. Marcello Mastroianni è stato invece l’arbitro Tornabuoni in Il nemico di mia moglie. Lo insultano, gli sfasciano la Lambretta e quando torna a casa da sua moglie si sente dire: «O smetti o divorzio». Lui confesserà a un amico: «Solo sul campo mi sento qualcuno».
Benvenuta allora signora Welch. Se dopo la partita non parleranno di lei, sarà un successo.
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