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Impedire le delocalizzazioni “selvagge” di fabbriche sane ed evitare la “modalità atroce” del licenziamento comunicato dall’oggi al domani con un messaggio sul telefonino. Gli operai fiorentini della Gkn dallo scorso 9 luglio si sono dati questi due obiettivi di fondo.
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Il governo Draghi sembrava volerli accontentare predisponendo una legge che inchiodasse multinazionali e fondi d’investimento come il loro Melrose al rispetto di criteri minimi di responsabilità d’impresa.
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Ultimamente davanti a messaggi contraddittori di esponenti della maggioranza, hanno però deciso di fare da soli, chiedendo aiuto a studenti e professori di diritto del lavoro di tutta Italia.
Impedire le delocalizzazioni “selvagge” di fabbriche sane ed evitare la “modalità atroce” del licenziamento comunicato dall’oggi al domani con un messaggio sul telefonino. Gli operai fiorentini della Gkn dallo scorso 9 luglio, quando hanno ricevuto l’orrendo messaggino e si sono organizzati in presidio permanente davanti ai cancelli di Campi Bisenzio, si sono dati questi due obiettivi di fondo.
Il governo Draghi sembrava volerli accontentare predisponendo una legge che inchiodasse multinazionali e fondi d’investimento come il loro Melrose al rispetto di criteri minimi di responsabilità d’impresa. Ultimamente davanti a messaggi contraddittori di esponenti della maggioranza, hanno però deciso di fare da soli.
Hanno chiesto l’aiuto di studenti e professori di diritto del lavoro di tutta Italia e da giovedì scorso hanno iniziato a discutere in assemblea di temi giuridici come libertà d’impresa e sanzioni, delusi e scontenti del testo revisionato dopo l’affondo del presidente di Confindustria Carlo Bonomi, ribadito anche venerdì. «Vogliamo la legge contro le delocalizzazioni. Che sia fatta non sopra le nostre teste ma con le nostre teste», spiega il delegato Fiom-Cgil Matteo Moretti. «Quando la nostra bozza sarà pronta vogliamo sperare che qualcuno tra i tanti soggetti istituzionali e politici che ci ha espresso vicinanza ci aiuti a presentarla, se no lo faremo noi nelle piazze».
Polonia, Spagna e Francia
Dal loro punto di vista non è questione di libertà d’impresa se una fabbrica con macchinari all’avanguardia e un mercato florido improvvisamente viene trasformata in un prodotto finanziario, utilizzando l’annuncio di chiusura per rastrellare utili in borsa.
«Sappiamo che i nostri prodotti sono stati ripartiti in Polonia e Slovenia e anche in Spagna e in Francia dove il costo del lavoro non è più basso, non vogliamo vietare alle aziende di andarsene ma anche l’Europa si dovrà prima o poi porre il problema del dumping sociale che devasta interi territori, siamo coscienti che la partita è grossa, più grossa di noi, ma ci siamo dentro e andremo fino in fondo», promette a nome di tutti e 422 i compagni di lavoro.
Della bozza governativa riveduta e corretta, due sono gli aspetti che gli operai fiorentini non hanno gradito. Il primo è che siano sostanzialmente sparite le sanzioni verso le imprese che non presentano il piano per limitare le ricadute occupazionali ed economiche della chiusura del sito produttivo.
La prima bozza, infatti, ipotizzava una sanzione del 2 per cento del fatturato dell’ultimo esercizio e una black list per l’accesso dell’intero gruppo a finanziamenti pubblici e ammortizzatori sociali.
Secondo: la riduzione ai minimi termini del coinvolgimento delle parti sociali, leggi del sindacato, nella valutazione del piano di mitigazione e reindustrializzazione. Del resto neanche la sanzione del 2 per cento per loro sarebbe bastata: «Per Gkn sarebbero due milioni di euro, una mancia», sostengono.
Di tutt’altro avviso il coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani, per lui le sanzioni sono da cancellare perché «frutto di una visione socialista punitiva che scoraggia l’attrazione di imprese nel nostro paese». Uno spruzzo socialista in effetti c’è. La vice ministra Alessandra Todde ha detto di aver seguito nel primo testo il modello francese, la loi Florange del 2014, portata avanti dall’allora ministro socialista Arnaud Montebourg, per arginare la desertificazione industriale del distretto della Moselle dopo l’annuncio di chiusura di uno stabilimento ArcelorMittal.
In realtà, dimensionata sulle aziende con oltre mille dipendenti, la loi Florange è servita soprattutto a rafforzare il potere degli investitori istituzionali: prevede infatti un doppio voto rafforzato sul piano di dismissione da parte degli investitori di lungo periodo rappresentati in cda.
Difesa anche da Emmanuel Macron e dal tycoon Vincent Bolloré, concretamente finora ha tutelato solo gli operai di una fabbrica di brioche e prodotti da forno del gruppo Panavi a Limoges, redistribuiti in impianti vicini dello stesso gruppo belga e in parte ricollocati dopo corsi di formazione.
Come funziona in Europa
Altre normative, sia in Spagna che in Germania, recepiscono pari pari la direttiva europea sui licenziamenti collettivi del 1998 e stabiliscono un percorso concordato con le aziende che intendono chiudere un loro stabilimento o ridurne pesantemente la forza lavoro.
In più l’articolo 51 del nuovo Statuto dei lavoratori spagnolo impone alle imprese con un piano esuberi di oltre 50 unità di contribuire economicamente al ricollocamento degli operai licenziati per almeno sei mesi e di assicurare il prepensionamento ai lavoratori “over 55”.
Chi ha davvero provato a dare una spallata più forte è stata la Grecia, ma lo ha fatto senza una legge specifica sulle delocalizzazioni, ma solo prevedendo la consultazione dei sindacati.
Nel 2013, in piena crisi ma prima del governo di Alexis Tsipras, l’azienda francese del cemento Lafarge decide di licenziare i quasi 250 lavoratori del suo impianto di Irakli. Il governo di Atene, in un contesto di disoccupazione di massa al limite della tenuta sociale, rigetta il piano di dismissione, segue contenzioso giudiziario anche alla Corte di giustizia europea che alla fine, siamo nel 2016, dà ragione alla proprietà francese in base al trattato dell’Unione.
Norme meno dure
Secondo il giuslavorista Michele De Luca, ex presidente della Corte di cassazione, il caso greco è particolare e non è il nostro, anche perché proprio sull’apparato sanzionatorio Bruxelles lascia spazio agli stati membri, purché sia fatta salva la libertà di circolazione dei capitali e di stabilimento d’impresa all’interno dell’Unione. Finora le nostre norme appaiono quasi meno dure degli altri paesi.
Così l’ultima bozza uscita dal Mise corregge con un percorso più attento all’occupazione il Jobs act, attuando la direttiva del 1998. E il decreto Dignità introduce paletti alle aziende che beneficiano di contributi statali che molti paesi Ue hanno già da tempo.
Tra aspetti procedurali e sanzionatori, secondo De Luca, in entrambi i casi si tratta di provvedimenti pienamente legittimi.
Quanto a un rafforzamento delle sanzioni «in casi specifici possono essere istituiti particolari obblighi che condizionino l’azienda alla ricerca di acquirenti o a operare piani di ricollocamento, si tratterà sempre di obblighi strumentali da esperire per attuare la libertà di operare licenziamenti collettivi», prosegue De Luca.
Ci sono però, sottolinea, anche leggi-manifesto, quelle servono soprattutto per dare un messaggio politico senza grande attenzione alla loro applicabilità. Forse gli operai Gkn hanno deciso di farsela da soli perché se devono limitarsi ad essere un manifesto o una bandiera, preferiscono controllarne il disegno.
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