Chi è sano ma deve restare a casa perché è entrato in contatto con soggetti positivi non è equiparato al lavoratore malato e dunque può (e deve) continuare a svolgere le sue mansioni, quando possibile
- La quarantena dei “contatti stretti” con casi accertati di COVID-19 non è automaticamente malattia, lo ha stabilito l’Inps, con messaggio n. 3653, ha confermato l’interpretazione che avevamo dato.
- La quarantena non determina un’incapacità tale da impedire in assoluto lo svolgimento dell’attività lavorativa, ma è finalizzata a evitare rischi di contagio. Perciò, il legislatore tutela solo chi non può “andare a lavorare”, con una equiparazione di tale stato alla malattia.
- L’assimilazione alla malattia non vale, invece, per chi non possa andare a lavorare poiché si trova in aree ove un’autorità amministrativa abbia limitato la circolazione: manca un atto dell’autorità sanitaria.
La quarantena degli individui che hanno avuto contatti stretti con casi accertati di Covid-19 non è automaticamente malattia. Lo avevamo scritto il 22 settembre scorso, voce isolata nel panorama dell’informazione, e anche del diritto. Il 9 ottobre scorso l’INPS, con messaggio n. 3653, ha confermato l’interpretazione. Serve parlarne di nuovo, anche in considerazione dell’attuale diffusione del virus, nonché della circostanza che il tracciamento dei “contatti stretti” pare fuori controllo e i tamponi non sono fatti a tutti coloro ai quali servirebbero o sono fatti con ritardo.
La conseguenza è che, per contenere la circolazione del virus Sars-CoV-2, molti sono destinati a restare chiusi in casa e le aree più a rischio potranno diventare “zone rosse”.
Il nuovo atto dell’Inps chiarisce il trattamento dei lavoratori in questi casi. Il presupposto è che, dall’inizio della pandemia, con l’incentivazione di «modalità alternative di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, come lo smart working», si è voluta «assicurare continuità nell’attività lavorativa e al tempo stesso di ridurre notevolmente i rischi per la trasmissione Covid-19». Quindi, la prosecuzione dello svolgimento del lavoro, se ricorrono certe condizioni, è la “ratio” delle scelte compiute nei mesi scorsi.
L’Inps afferma che la quarantena del lavoratore “contatto stretto”, così come pure la sorveglianza precauzionale del lavoratore “soggetto fragile”, «non configurano un’incapacità temporanea al lavoro per una patologia in fase acuta tale da impedire in assoluto lo svolgimento dell’attività lavorativa (presupposto per il riconoscimento della tutela previdenziale della malattia comune), ma situazioni di rischio per il lavoratore e per la collettività».
Perciò, il legislatore ha predisposto un’apposita tutela esclusivamente per chi non può “andare a lavorare”, «equiparando, ai fini del trattamento economico, tali fattispecie alla malattia». Mentre chi non deve “andare a lavorare”, perché può lavorare a distanza, e non ha sintomi di malattia – situazione che “determina l'incapacità lavorativa” – malato non è, e pertanto può continuare a svolgere la propria attività.
Solo provvedimenti amministrativi
L’Inps precisa pure che “non è possibile ricorrere alla tutela previdenziale della malattia o della degenza ospedaliera nei casi in cui il lavoratore in quarantena (…) o in sorveglianza precauzionale perché soggetto fragile (…) continui a svolgere, sulla base degli accordi con il proprio datore di lavoro, l’attività lavorativa presso il proprio domicilio”. Questo passaggio conferma che la messa in quarantena non fa scattare automaticamente la malattia: anche in quarantena possono proseguire «forme di lavoro alternative alla presenza in ufficio».
Il messaggio dell’Inps è importante anche per un altro profilo, che torna ad essere attuale data l’evoluzione dei contagi negli ultimi giorni e ordinanze restrittive che cominciano a essere adottate. Nei casi in cui «la pubblica autorità abbia emanato provvedimenti di contenimento e di divieto di allontanamento dal proprio territorio, disponendo l'obbligo di permanenza domiciliare in ragione dell'emergenza epidemiologica da Covid-19» e, quindi, i cittadini siano «impossibilitati a raggiungere il luogo di lavoro», essi non possono ottenere «il riconoscimento della tutela della quarantena (…) in quanto la stessa prevede un provvedimento dell’operatore di sanità pubblica».
La spiegazione è che, mancando un atto dell’autorità sanitaria – c’è solo quello di un’autorità amministrativa - l’impossibilità di recarsi a lavorare non può essere equiparata alla malattia e, quindi, non si può fruire di analoga tutela previdenziale (ma solo di altre forme di garanzia eventualmente previste). La stessa conclusione vale pure per «i lavoratori assicurati in Italia recatisi all’estero», che siano oggetto di provvedimenti di quarantena da parte di autorità del Paese straniero, poiché anche in questi casi manca un atto delle competenti autorità sanitarie italiane.
I tempi attuali sono molto confusi, ma almeno per il profilo trattato l’Inps ha fatto finalmente chiarezza.
© Riproduzione riservata