Secondo i dati di Anaao- Assomed, tra i direttori di struttura complessa, solo il 17,2 per cento è donna, percentuale che sale al 34,7 per cento per le strutture semplici. E la parità resta un miraggio raggiungibile tra secoli
«Abbiamo ancora una scarsissima rappresentazione di donne in figure apicali e dunque decisionali, di management. Gli ingranaggi del sistema hanno ancora un margine ampio di discrezionalità delle scelte. Spesso si verificano dinamiche di passaggio di testimone che lasciano troppo spazio a fenomeni di passaggio di ruoli di potere che avvengono tra gruppi ristretti formati da uomini, con dinamiche da branco, per detenere e spartirsi il potere medico. Dinamiche di potere di stampo patriarcale che si succedono, in un club elitario». Queste le parole di Beatrice Sgorbissa, medica in igiene e salute pubblica.
Sanità maschile
Un allarme confermato anche dai dati Anaao- Assomed: tra i direttori di struttura complessa, solo il 17,2 per cento è donna, percentuale che sale al 34,7 per cento per le strutture semplici. Nell’area universitaria delle scienze mediche, le donne ordinario, nel 2020, ricoprivano il 19,3 per cento delle posizioni, le associate il 33 per cento e le ricercatrici circa il 40-55 per cento. Complessivamente, nel 2023, le donne erano ancora una minoranza del personale medico. Questo dato sale al 52 per cento se si considerano solo quelli sotto i 69 anni e continua a crescere osservando mediche e medici più giovani.
La medicina è troppo spesso declinata al maschile e il peso del mancato cambiamento lo pagano le donne. Nel settore sanitario, le donne mediche vivono ancora situazioni di abuso e discriminazione, spesso trovandosi a non poter accedere a ruoli apicali, pur avendone a pieno i requisiti. Il tutto continua ad accadere mentre la riforma del ministero della salute ha cambiato la propria struttura organizzativa, facendo accomodare solo uomini nei ruoli di dirigenza.
Secondo il report del Global gender gap 2023, ci vorranno 131 anni per raggiungere la parità di genere e le scelte politiche, non solo tra le corsie degli ospedali ma anche al Ministero della salute, non stanno andando verso un'ottica di cambiamento dello status quo. La politica sanitaria continua a essere gestita in larga maggioranza da uomini, sia nelle aziende sanitarie locali, che al ministero.
Quando si parla di carriera, inoltre, i numeri scendono in modo allarmante: secondo Openpolis, «nei primi mesi del 2024 sono stati rinnovati ben 115 incarichi, ma solo il 29 per cento di questi sono stati attribuiti a delle donne: un dato persino più basso, anche se sostanzialmente in linea con quello complessivo».
La quota delle donne nei diversi incarichi di vertici delle aziende sanitarie e ospedaliere, con i dati di marzo 2024, mostra che il 42,5 per cento di donne sono direttrici amministrative e il 36,14 direttrici sanitarie ma, via via, scendiamo al 25 per cento di direttrici generali fino ad arrivare al 21,88 per cento di donne commissarie: percentuali non uniformi, segno di grandi criticità sul mancato accesso ai ruoli apicali.
L’appello del sindacato Anaao-Assomed al governo è quello di sanare questa situazione il prima possibile, perché si possa garantire un impegno concreto a sostegno di una parità delle retribuzioni e nelle carriere, per politiche a favore della conciliazione lavoro–famiglia, per la flessibilità degli orari di lavoro e di nuovi modelli organizzativi in sanità. Sandra Morano, responsabile nazionale dell’area formazione femminile di Anaao-Assomed, afferma che «le mancate sostituzioni delle maternità all’interno del SSN diventate una regola, un SSN in cui definanziamento e decapitalizzazione del lavoro professionale hanno portato a un clima organizzativo fatto di demansionamento e mobbing, fattori di frustrazione capaci di portare anche al suicidio».
Oltre a questo, si aggiungono le numerose aggressioni subite dal personale sanitario: «Subiamo un sistema sanitario che si guarda bene dal predisporsi ad accogliere il sorpasso di genere, negando il riconoscimento, formale e sostanziale, di un lavoro sempre più gravoso e rischioso, in particolare per le mediche».
Visione diversa
Se la medicina occidentale è strutturalmente patriarcale, diventa fondamentale attuare un processo di decostruzione delle scelte politiche e delle pratiche in ottica femminista, come sostiene Sgorbissa: «La visione della salute è molto maschile. Ci sono tentativi quotidiani per portare la medicina di genere al centro delle priorità sanitarie, da un punto di vista femminile ma, su tutto, femminista - che non sono la stessa cosa - ma entriamo in un circolo vizioso in cui la considerazione scientifica sulla salute delle donne rimane ancora una lotta».
Una medicina, dunque, che si differenzi per sesso e genere, con attenzione e cura delle persone della comunità Lgbtqia+ dato che «su questo siamo molto indietro», racconta Sgoribssa. Esiste, infine, un sessismo strutturale «non è più ad azione intenzionale ed esplicita ma radicato nello stesso sistema. Pratiche cliniche, priorità sanitarie e allocazioni di risorse verso la medicina di genere sono eccezioni». Spesso le iniziative sulla medicina di genere sono «motivo di vanto» perché viste come eccezione alla norma di una medicina sempre declinata al maschile.
Per cambiare questo paradigma bisogna partire dal ripensamento della pratica medica, fare in modo che sia rivolta all’ascolto e alla cura di tutte le soggettività, che abbandoni discriminazioni e soprusi, sia nella clinica che nell’accesso alle carriere. Senza dimenticare che se, come ora al ministero e nei ruoli apicali della medicina, ci saranno quasi solo uomini ai vertici, il potere decisionale dell'evoluzione medica - cosa finanziare, cosa depotenziare, chi e come proseguirà il proprio lavoro e quale ruolo verrà o non verrà attribuito - sarà, appunto, solo loro.
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