È un processo che ha turbato la quiete d'inizio estate di quasi tutto il tribunale di Caltanissetta, visti i rapporti che l'ex vicepresidente di Confindustria intratteneva con i capi degli uffici giudiziari del distretto. Comunque siano andate le cose confermato l'impianto accusatorio: Montante a capo di un'associazione a delinquere dedita ai ricatti, al dossieraggio, all'intimidazione.
- È un processo che ha turbato la quiete d'inizio estate non solo degli imputati ma anche di quasi tutto il tribunale di Caltanissetta, visti i rapporti che l'ex vicepresidente di Confindustria intratteneva con i capi degli uffici giudiziari del distretto.
- L’anomalo atteggiamento di alcune parti civili, molto in sintonia con Montante e contro il testimone chiave dell'accusa Alfonso Cicero, quello che aveva svelato ai poliziotti e ai pubblici ministeri gli ingranaggi più nascosti del "sistema”.
- La corda lunga concessa dalla presidente Andreina Occhipinti all’imputato fuori dai capi di imputazione contestati
Sarà stato per un colpo di calore o forse anche per una botta di stanchezza ma qualcuno a un certo punto ha detto: «Chi vuole scommettere che la presidente Andreina Occhipinti lo assolve?». Stremati dall’interminabile attesa di una camera di consiglio che non finiva mai, lungo i corridoi del palazzo di giustizia di Caltanissetta, verso il tramonto, Calogero Antonio Montante detto Antonello dai bookmakers era dato più innocente che colpevole.
Scherzi provocati dalle elevate temperature, complice anche un’incertezza causata dai giudici che non uscivano più dal segreto del loro ritiro. C’è stato pure un avvocato, particolarmente malizioso, che ha voluto offrire una spiegazione per l’imponente schieramento di forze di polizia presente fin dal mattino in attesa del verdetto per l’ex vicepresidente di Confindustria: «È possibile che il procuratore generale abbia già chiesto il suo arresto per pericolo di fuga». Abbagli estivi, divagazioni condizionate dallo svolgimento di un processo d’appello un po’ così, eccessivamente lungo – quasi tre anni – rispetto al primo grado e pure in assoluto e che udienza dopo udienza non è mai riuscito (almeno questa è la nostra sensazione) a far capire bene chi era Calogero Antonio Montante detto Antonello e quale mondo girava intorno a lui.
Calcoli e ricalcoli
Comunque siano andate le cose il processo ha confermato l’impianto accusatorio: Montante a capo di un’associazione a delinquere dedita ai ricatti, al dossieraggio, all’intimidazione. Nel maggio del 2019 era stato condannato a 14 anni di reclusione con il rito abbreviato che contempla lo sconto di un terzo della pena, ieri l’altro condannato a 8 anni. Una riduzione ampiamente prevedibile e prevista, calcoli e ricalcoli giuridici ma il risultato non cambia: l’associazione c’è, che significa che anche per la giustizia d’appello il “sistema Montante” esiste. Nel caso specifico condannati con lui anche l’ex capo della security di Confindustria Diego Di Simone e il poliziotto Marco De Angelis, prove schiaccianti sugli accessi abusivi che ordinavano o eseguivano alla banca dati del Viminale per spiare giornalisti e imprenditori e deputati della regione siciliana, tutti nemici del loro capo che nella sua villa a Serradifalco aveva un nascondiglio dove conservava tutto.
La chiamava spudoratamente «la stanza... diciamo... della legalità», un bunker colmo di carte, il tesoro informativo di quello che la giudice del primo grado Graziella Luparello aveva definito un «ricattatore seriale», un personaggio che «non solo gestiva il potere ma il potere lo creava», l’esponente più in vista di una «mafia trasparente» che ha tenuto in scacco la Sicilia per una decina di anni e che ha potuto contare su una rete di complicità negli apparati dello stato e anche nelle più alte sfere della magistratura. Con origini in ambienti di mafia (suoi testimoni di nozze il capo di Cosa nostra di Serradifalco don Paolino Arnone e suo figlio Vincenzo) è diventato il faro dell’antimafia italiana, appoggiato nella sua scalata da ministri dell’Interno come Annamaria Cancellieri che l’aveva definito «l’apostolo dell’antimafia», o come Angelino Alfano che era così in promiscuità con lui da incontrarlo pubblicamente anche quando era già finito sotto indagine per concorso in associazione mafiosa.
La quiete turbata
Ma torniamo a Caltanissetta e al processo che ha turbato la quiete d’inizio estate non solo dei diretti interessati ma anche di quasi tutto il tribunale, visti i rapporti che l’ex vicepresidente di Confindustria intratteneva con i capi degli uffici giudiziari del distretto. A cominciare dalla corte d’Appello e passando dalla procura generale, tant’è che per rappresentare l’accusa in secondo grado è arrivato un magistrato “in prestito” da Catania: Giuseppe Lombardo. In pochi mesi si è studiato tutto e ha capito tutto. Processo assai anomalo questo su Calogero Antonio Montante detto Antonello, che a tratti probabilmente ha illuso l’imputato e i suoi avvocati sulla possibilità che non fosse riconosciuta l’associazione. Naturalmente loro ci speravano, qualcuno li aveva incantati. Dietro le quinte il dibattimento ha una sua storia nascosta.
Processo anomalo anche per la posizione manifestata da alcune parte civili, in qualche udienza sembravano molto in sintonia con Montante scagliandosi violentemente contro il testimone chiave dell’accusa Alfonso Cicero, quello che aveva svelato ai poliziotti e ai pubblici ministeri gli ingranaggi più occulti del “sistema”. Manovre che forse nascondevano interessi altri. Processo anomalo anche per come l’ha condotto la presidente Andreina Occhipinti – a latere Giovanbattista Tona e Alessandra Giunta – perché ha consentito all’imputato indecenti scorrerie in aula, ore e ore di tonnellate di fango scaricate sui suoi accusatori e tutto al di fuori dei capi di imputazione contestati. Se sacrosanto è il diritto alla difesa (a Montante e a chiunque altro avrebbero potuto concedere non cinque udienze per difendersi ma dieci, quindici e pure di più) sproporzionata è stata la corda lunga concessa all’ex vicepresidente di Confindustria, il processo trasformato in un’arena per “punire” tutti i suoi nemici.
L’imputato che sembrava vittima
In certi momenti nell’aula bunker di Caltanissetta gli imputati sembravano le parti civili e l’imputato sembrava la vittima, gioco degli specchi, la realtà capovolta. Secondo alcune voci, la conduzione del processo pare sia stata oggetto di un paio di audizioni (secretate) in Commissione parlamentare antimafia, fra le parti civili c’è chi ha pure manifestato l’intenzione di inviare una segnalazione al Consiglio superiore della magistratura per la straordinaria “libertà” di cui ha potuto godere l’imputato Montante. Altri dettagli sul processo e intorno al processo. L’ex vicepresidente di Confindustria è apparso in aula nel giorno della sentenza insolitamente taciturno, visibilmente ingrassato, dopo il verdetto non ha voluto dire nulla. Anche il suo legale, l’esuberante avvocato Carlo Taormina, è finito a giudizio «per diffamazione aggravata e continuata» ai danni del teste Cicero, offesso pesantemente con dichiarazioni alla stampa. Per dovere di cronaca registriamo le assoluzioni di due imputati coinvolti nell’inchiesta: quella del questore Andrea Grassi e quella del colonnello della Finanza Gianfranco Ardizzone. Il presidente della Commissione parlamentare antimafia Nicola Morra, unico “estraneo” davanti all’aula di Caltanissetta, ha commentato: «Essendo stata riconosciuta l’esistenza del sistema Montante, si dovrà prestare ora particolare attenzione a tutti coloro che hanno beneficiato di tale sistema e che non sono stati fino a ora coinvolti giudiziaramente avendo tuttavia pesanti responsabilità politiche». Elenco molto lungo.
Gli altri guai di Antonello
Comunque sia andata, l’appello è finito e adesso toccherà alla Cassazione. Anche se i conti che Antonello Montante deve regolare con la giustizia, dopo che per una dozzina di anni lui si è presentato all’Italia come l’imprenditore siciliano senza paura che per la prima volta sfidava i boss, sono altri e anche tanti. A maggio si è aperto sempre a Caltanissetta un altro processo, dove lui è ancora a capo di un’associazione a delinquere che di fatto governava la regione siciliana. Tredici imputati, dall’ex presidente Rosario Crocetta al re della monnezza Giuseppe Catanzaro, dall’ex capo della security di Confindustria Diego De Simone al colonnello dei servizi segreti Giuseppe D’Agata. Ci sono anche due ex assessori regionali, una è Linda Vancheri, una fedelissima di Montante. E c’è anche il prefetto Arturo De Felice, un ex capo della Dia, la Direzione investigativa antimafia, per l’accusa finito nel “sistema Montante” per avere iniziato indagini dal nulla contro cinque imprenditori e giornalisti in cambio di favori. È ancora in corso invece il processo di primo grado dei coimputati dell’ex vicepresidente di Confindustria che al contrario di Montante hanno scelto il rito ordinario, sono in diciassette. Fra loro, l’ex presidente del Senato Renato Schifani, l’ex direttore dei servizi segreti civili Arturo Esposito, il caporeparto dell’Aisi Andrea Cavacece, siciliani molto noti come l’imprenditore Massimo Romano e il tributarista Angelo Cuva, il colonnello dei carabinieri Giuseppe D’Agata, il maggiore della Finanza Ettore Orfanello.
Processo che molto probabilmente sarà unificato con quello appena iniziato a maggio sui traffici e i maneggi in regione, così ha fatto capire almeno il presidente del tribunale. Infine, sulla testa di Calogero Antonio Montante detto Antonello c’è sempre la spada delle indagini di mafia. Da quel gorgo non è mai venuto fuori. I procuratori seguono piste che portano anche a Castelvetrano, il regno dell’uomo invisibile, il latitante Matteo Messina Denaro.
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