Lynne O’Donnell, storica reporter dall’Afghanistan per Ap e French press, è stata minacciata di finire in prigione se non avesse ritrattato pubblicamente il contenuto di alcuni suoi articoli. Dopo averlo fatto ha potuto lasciare il paese
In Afghanistan la situazione per i giornalisti stranieri e locali sta diventando ogni giorno più complicata, soprattutto per le donne. La corrispondente australiana Lynne O’Donnell, che scrive per Foreign Policy ed altre testate, lo ha raccontato giovedì in un articolo dal titolo “I Talebani mi hanno trattenuto a causa del mio lavoro. Non potrò mai più tornare indietro”. Ha raccontato di essere stata costretta a ritrattare pubblicamente il contenuto di alcuni suoi articoli per non finire in prigione.
La giornalista era tornata nel paese la settimana scorsa per la prima volta dall’agosto del 2021, quando le truppe americane avevano lasciato l’Afghanistan. O’Donnel ne seguiva le vicende fin dall’invasione americana nel 2001. Tra il 2009 e il 2017 è stata a capo dell’ufficio di corrispondenza a Kabul per l’Associated Press e l’agenzia di stampa francese Afp.
La reporter è stata minacciata e scortata dai Talebani armati e ha dovuto pubblicare prima un tweet e poi un video per ritrattare due articoli usciti tra il 2021 e il 2022 che avevano particolarmente infastidito i nuovi governanti dell’Afghanistan.
Questo il tweet che è stata costretta a scrivere.
Gli articoli riguardavano la minaccia di matrimoni forzati da parte dei combattenti Talebani e la violenza che devono affrontare le persone Lgbtq che vivono in Afghanistan.
Nell’articolo in cui racconta la vicenda scrive che un agente dei servizi segreti che la scortava ha detto che «non esistono gay in Afghanistan», mentre un suo collega ha risposto che se ce ne fossero li ucciderebbe.
Una volta rilasciate le dichiarazioni in cui ritratta i suoi articoli, la giornalista ha deciso di lasciare il paese. Nell’articolo ha scritto con amarezza che non tornerà più in Afghanistan, non essendoci i presupposti minimi di sicurezza e che l’epoca dei media indipendenti nel paese è ormai conclusa.
Il rapporto delle Nazioni unite
A certificare la situazione difficilissima in cui si trova la libertà di stampa nel paese c’è un report delle Nazioni unite rilasciato mercoledì.
Sarebbero almeno 173 i giornalisti e operatori dei media che sono stati oggetto di violazioni dei diritti umani, come arresti, torture e minacce. Sei giornalisti sono stati uccisi in quel periodo, cinque dei quali da militanti dell’Isis e il sesto in circostanze poco chiare.
Nessuno passa inosservato nel paese
Un episodio meno grave, ma indicativo del clima nel paese, ha coinvolto un reporter italiano. Il giornalista e analista dell’Ispi Giuliano Battiston, storico corrispondente dall’Afghanistan per il Manifesto, ha infatti raccontato come nel maggio scorso, una volta atterrato a Kabul, ha ricevuto in albergo la visita dei servizi segreti afghani, che mal sopportano la presenza di giornalisti stranieri.
La situazione per le giornaliste afghane
Secondo un sondaggio dell’Unione nazionale dei giornalisti afghani, pubblicato a marzo e citato da Al Jazeera, il 79 per cento delle giornaliste afghane ha affermato di essere stata insultata e minacciata sotto il governo talebano, con minacce di tipo fisico e verbale. Nel frattempo, il 60 per cento delle giornaliste afghane intervistate ha affermato di aver perso il lavoro dopo l’acquisizione del potere dei Talebani ad agosto.
Un report di Reporters without borders, realizzato subito dopo la presa del potere dei Talebani, mostra come siano solo 100 le donne rimaste a lavorare nei media. «Delle 510 donne che lavoravano nei media televisivi e cartacei, solo 76 (di cui 39 giornaliste) stanno ancora lavorando», è scritto nell’articolo, in cui si nota anche che «le giornaliste stanno scomparendo dalla capitale».
Intervistate da Al Jazeera molte giornaliste sottolineano le difficoltà nel continuare a fare il loro lavoro. Raccontano di come abbiano sempre meno possibilità di uscire sul campo a ricercare notizie e dell’ostruzionismo degli uomini nel dargli informazioni.
«I funzionari del ministero non condividono interviste o informazioni. Quando ci avviciniamo a loro con domande, rispondono chiedendoci perché non indossiamo l’hijab o perché abbiamo indossato i tacchi, o dove sono i nostri calzini. Chiameresti questa libertà dei media?» dice Mahira, una delle intervistate.
L’uso del velo integrale
Dal 19 maggio 2022 poi è entrato in vigore l’obbligo di vestire il velo integrale per le donne quando sono in pubblico. Il decreto ha coinvolto anche le conduttrici televisive, lanciando un fortissimo segnale sul nuovo corso del regime talebano.
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