Com’è che si dice? “Semplice come bere un bicchier d’acqua”. Eppure, nel campo della salute e dei disturbi alimentari, sembra non esserci metafora più sbagliata, soprattutto se bere è l’unico modo in cui è possibile assumere cibo, superando ansie e timori. Secondo le rilevazioni più recenti e i dati diffusi da Aba e Istat, i disturbi del comportamento alimentare (DCA) colpiscono circa 3 milioni di persone in tutta Italia. Numeri in forte crescita rispetto a quelli registrati negli anni precedenti alla pandemia di Covid-19, sintomo di quanto il tema dei disturbi alimentari risulti strettamente correlato alle condizioni di salute e al benessere psicologico.

L’incremento dei DCA negli ultimi anni ha generato una consapevolezza sempre maggiore riguardo situazioni troppo spesso sottovalutate o, ancora, non ricondotte a un disturbo vero e proprio. È il caso dell’anginofobia, la cui radice stessa del nome richiama un senso di paura e dolore: per dirla in breve, si tratta del timore di deglutire cibo, anche in porzioni piccolissime. Insomma, non per tutti bere un bicchier d’acqua risulta un gesto così facile, anche se per chi è anginofobico la quasi totalità dell’alimentazione viene assunta proprio in forma liquida per bypassare il meccanismo psicologico che inibisce all’organismo di inghiottire bocconi solidi.

Un disturbo poco noto

Per provare a conoscere un po’ meglio questo disturbo alimentare ancora poco noto abbiamo raccolto la testimonianza di Sara Divona, 25 anni, la prima content creator motivazionale “specializzata” sull’anginofobia, di cui soffre dal 2013, anche se la consapevolezza si è concretizzata molto più tardi. Con una laurea in comunicazione e una specializzazione nel campo del marketing, Sara ha sempre utilizzato i social per raccontare se stessa e la sua vita: «Era una cosa che facevo anche prima perché mi è sempre piaciuto creare contenuti e poter essere d’ispirazione per il prossimo, poi quasi di colpo ho deciso di provare a raccontare anche questo aspetto di me, il mio rapporto con l’anginofobia». Pian piano Sara ha trasformato il suo profilo Instagram in una sorta di bacheca online con spiegazioni, spunti, consigli e aneddoti personali legati al suo disturbo, nella speranza di «poter aiutare chi si è sempre nascosto senza mai trovare la forza di prendere parola, quasi per paura, al di là di quale sia il problema».

La difficoltà più grande nel parlare diffusamente di questo disturbo risiede però proprio nel non percepirlo come tale, oltre alla possibilità concreta di confonderlo con la disfagia. «L’anginofobia è la paura di assumere cibo solido e in molti casi deriva da un trauma pregresso, mentre la disfagia è una disfunzione della zona dell’esofago che rende la deglutizione un processo meccanico e non automatico», spiega Sara.

Le cure osteopatiche e un percorso di psicoterapia le hanno permesso di tornare a deglutire in maniera spontanea, mentre l’ondata di Covid ha fatto riemergere in lei una serie di sensazioni psicofisiche come ansia, sudori freddi e tremolii legati a un trauma di ben sette anni prima.

L’episodio incriminato risale a un pomeriggio del 2013, quando a merenda un boccone di fesa di tacchino rimase bloccato nella gola di una giovanissima Sara, ostruendo il passaggio dell’aria fino quasi a soffocarla: «Ero paralizzata, avevo gli occhi di fuori e mi sentivo svenire. Se non fosse stato per mia madre non ce l’avrei mai fatta». È stata proprio la mamma a soccorrerla prima che fosse troppo tardi, riuscendo ad aprirle la bocca che nel frattempo si stava irrigidendo e asportando il bolo che si era incastrato in fondo alla gola.

Da allora il rifiuto categorico del cibo e la paura di deglutire contrapposta al senso di appetito: con la crescita Sara è riuscita a tenere sotto controllo il disturbo, benché non avvertito ancora come tale, finché la pandemia non ha riportato alla luce i sintomi e il ricordo di quel trauma.

I tentativi “fai da te” di risolvere il problema si sono rivelati poco efficaci tanto da far propendere per un lungo percorso terapeutico, che Sara ricorda così: “Dopo un primo periodo di cure verbali poco efficaci, i medici mi hanno letteralmente imbottita di psicofarmaci, di cui sono arrivata ad assumere fino a 9 dosi quotidiane”. Dallo scorso dicembre, poi, il passaggio alla terapia EMDR, che consiste in una stimolazione bilaterale alternata attraverso cui rielaborare emotivamente il ricordo dell'esperienza traumatica: «Questo ultimo percorso mi ha salvato la vita perché solo così sono riuscita finalmente a capire il mio disturbo, mentre prima il mio caso veniva trattato quasi come una malattia mentale».

Lo stress post-traumatico

Proprio come nel caso di Divona, l’anginofobia rientra fra i disturbi alimentari atipici da stress post-traumatico, le cui conseguenze possono indurre a percorsi di malnutrizione oltre a generare nelle persone una serie di difficoltà anche sul piano relazionale. «Per tantissimo tempo mi sono sentita fuori dal mondo, non compresa né appoggiata, soprattutto all’inizio, quando ho cominciato ad assumere cibo liquido. Le persone al mio fianco rimanevano spiazzate, non sapevano come affrontare la questione e questo mi faceva stare male», ricorda Sara.

Dopo tre anni e mezzo di divulgazione via social, oggi sorride al pensiero di non sentirsi più sola, avendo radunato sotto i suoi contenuti una folta community di persone che soffrono dello stesso disturbo oppure che accusano gli stessi sintomi senza però averli mai ricondotti all’anginofobia. «All’inizio non credevo che questo disturbo fosse così diffuso e allora mi sono detta “Com’è possibile che nessuno ne parla?”, trovando ancora più voglia di comunicare la mia condizione». Negli anni Sara è diventata portavoce di chi soffre di anginofobia, scegliendo di esporsi soprattutto per chi non vuole o non può farlo e per il desiderio di «far sentire le persone comprese e al sicuro».

Adesso, fra terapie e graduali adattamenti alimentari, la dieta di Sara è composta quasi esclusivamente da pasti frullati, con una costante diminuzione dei liquidi e una lenta reintroduzione di cibi cremosi o densi, dallo yogurt alla pastina, grazie anche ai progressi frutto della ginnastica tracheale per l’armonizzazione dei movimenti della gola.

Piccoli passi che testimoniano l’impegno e la costanza di una ragazza che ha scelto di schierarsi in prima linea per raccontare un disturbo odioso e difficile da capire: oltre al “classico” libro nel cassetto e al sogno di creare un’associazione per sensibilizzare sul tema dei disturbi alimentari, l’obiettivo di Sara è provare a dare vita un locale tutto nuovo, una via di mezzo tra un bar e una libreria fondato sul concept del cibo frullato e accessibile davvero a tutti:

«Nel mio caso si tratta dell’unica alternativa possibile, ma chi vieta di assumere in forma liquida qualcosa che siamo abituati a ingerire in forma solida? Sono convenzioni, e storie come la mia – anzi, la nostra - insegnano a trovare la forza di andare oltre», conclude Sara. A ben guardare, per molti versi, un gesto facile proprio come bere un bicchier d’acqua!

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