I telefoni di Tommaso Verdini e il taccuino custodito in un faldone in cassaforte. Riunioni, incontri e strategie nei messaggi WhatsApp. Il leghista (non indagato) ha condiviso con il cognato di Salvini un documento “nomine”. La cena con il colosso cinese, cliente dei Verdini
Le chat su WhatsApp e un’agenda cartacea. Le cene e gli incontri riservati appuntati nel taccuino da custodire nella cassaforte dell’ufficio di Inver, la società di Tommaso Verdini al centro dell’inchiesta per corruzione della procura di Roma e della guardia di finanza.
Gli ultimi segreti del Sistema Verdini si trovano in questi due forzieri pieni di informazioni ora in mano ai pm, che indagano su Tommaso Verdini (ai domiciliari), figlio di Denis e fratello di Francesca, la fidanzata del ministro delle Infrastrutture e leader leghista, Matteo Salvini.
Tutto ruota attorno proprio all’ambito amministrato da Salvini: lavori pubblici, grandi opere, nomine in Anas e Ferrovie dello Stato. Nuovi documenti nei quali ancora una volta il partito più citato dagli indagati è proprio la Lega. In particolare il sottosegretario all’Economia Freni, il quale ricopriva il medesimo ruolo anche nel governo Draghi, all’epoca dei messaggi e degli appunti ritrovati nell’agenda segreta di Verdini jr.
L’inchiesta ha come protagonista Tommaso, Denis Verdini, l’ex potente senatore berlusconiano già ai domiciliari per due condanne diventate definitive, e il socio di Inver, Fabio Pileri. Attorno una pletora di manager di stato, che hanno fatto carriera nel mondo delle Infrastrutture, da Anas e Fs. È indagato, per esempio, Maurizio Simonini, amministratore delegato di Anas fino alla fine del 2021. Il dirigente, emerge delle indagini, si era affidato ad Inver per ottenere la riconferma o un’alternativa degna del suo curriculum.
La cassaforte e Huawei
Come ha scoperto Domani, tra i clienti più prestigiosi di Verdini c’era il colosso cinese delle telecomunicazioni Huawei. Un rapporto iniziato nel 2019 e proseguito finché Verdini jr non è finito ai domiciliari. Sulla base di un sostanzioso contratto di 10mila euro al mese più bonus, Verdini e Pileri hanno garantito a Huawei incontri istituzionali ai massimi livelli anche con esponenti del governo in carica.
Tra questi, aveva svelato Domani, troviamo Salvini e Freni. I due, contattati, avevano preferito non commentare. Ora però i meeting trovano ulteriore conferma nelle carte in mano ai magistrati.
Infatti, nell’agenda trovata dai finanzieri nella cassaforte di Verdini jr e custodita all’interno di un «faldone rosso denominato “Viking”» alla pagina del 16 novembre 2021 è scritto «19.30 incontro Huawei» e subito dopo «ore 20 cena Huawei – Fede».
Dove per Fede si intende Federico Freni. Non è un dettaglio di poco conto. Per due motivi: il leghista era sottosegretario all’Economia; in quel periodo Huawei era al centro di sospetti incrociati dell’intelligence americana e italiana per la partita della rete 5G; e soprattutto il governo di Mario Draghi da lì a breve avrebbe deciso di azzoppare il colosso cinese facendolo fuori dalla corsa per il 5G. Perché dunque Freni incontrò Huawei? Domanda per ora senza risposte.
Santo Freni
Nelle ultime informative della guardia di finanza il ruolo di Freni, seppure non sia indagato, sembra più definito. Un rapporto con Verdini che va oltre il generico «si è messo a disposizione» pronunciato da Pileri dopo un incontro avuto con Freni. Appare molto più stretto di quello che ha voluto far credere con le repliche delle settimane scorse. Le chat WhatsApp sequestrate a Verdini jr e al manager Simonini lo confermano.
Il 17 novembre 2021 Verdini jr scriveva al sottosegretario: «Non paga il licenziamento di Simoni, non lo merita a detta di tutti». Il lobbista di Inver faceva peraltro notare che fare fuori Simonini avrebbe comportato costi elevati, al contrario una riconferma avrebbe fatto risparmiare Anas.
«L’interlocutore», cioè Freni, chiedi lumi sulla cifra in ballo: «Poco più di 1 milione di euro», rispondeva Verdini nel spiegare la soluzione “low cost” immaginata dagli indagati. E Verdini invitava il sottosegretario a muoversi in tal senso: «Se riesci a impostare questo ragionamento col Mef (ministero dell’Economia, ndr) per Massimo (Simonini, ndr) sarebbe ottimo».
Anche perché, proseguiva Verdini jr, «quello che non si capisce è da dove venga l'idea di cambiare Simonini e il perché». Freni non voleva forse deludere il lobbista e rispondeva: «Why not». Perché no, scriveva il leghista.
Due giorni più tardi è Freni a contattare Verdini, al quale inviava una foto su WhatsApp con «le nuove nomine dell’A.D. e del presidente di Anas, da formalizzare mediante “cda interno”». Tale documento non sembrerebbe essere di dominio pubblico, piuttosto ha l’aria di un’anticipazione offerta all’amico lobbista. Verdini ne approfittava e chiedeva anche di un’altra nomina in Fs: «Lo Bosco non ce l’ha fatta?». Freni rispondeva di no. Incassando comunque la soddisfazione del figlio di Denis: «Abbiamo fatto il possibile».
Il tentativo di favorire Simonini, però, non ha fine. Lo stesso manager inviava un messaggio al sottosegretario: «Ciao Federico, mi serve il tuo supporto... mi dicono da Fs che il Mef dovrebbe In qualche modo fare una nota che sostanzialmente dica che nonostante non sia più AD di Anas posso mantenere l’incarico di commissario straordinario dei due interventi a me attribuiti (EE78 e SS106 Jonica). Mi chiedono di farmi scrivere dal Mef che gli incarichi sono ancora validi».
Si tratta di due opere strategiche di cui Simonini era commissario, incarichi che credeva di perdere dopo il siluramento in Anas. Freni «fa percepire la propria disponibilità» e aveva risposto «certo». L’assalto alla diligenza è diretta come sempre dalla coppia Pileri-Verdini: «Sollecita subito Freni...gli risponda e dia una mano (...) cerchiamo almeno di fargli tenere queste (...)».
Simonini con Freni ha avuto diverse interlocuzioni dirette sulla questione. In un altro messaggio al leghista chiedeva supporto per una nomina in una controllata “minore” di Fs: «Ciao Federico come va? ... mi hanno detto che Fs ha fatto richiesta al Mef per la mia nomina ad amministratore delegato di CREW, una piccola società di Italferr, per ora mi adatterò a questo». Freni gli risponde che era al corrente di tutto.
Simonini è ancora commissario di entrambe le opere di cui ha discusso con Freni, Pileri e Verdini. Salvini l’ha lasciato al suo posto. E prima della bufera giudiziaria, il ministro (cognato di Verdini jr) ha stanziato 3 miliardi che il commissario per la 106, cioè Simonini, potrà usare per accelerare con gli appalti e completare la più grande incompiuta d’Italia.
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