Dopo il caso di Bari dove un neonato è stato trovato morto per ipotermia, e per cui la madre rischia di essere accusata per abbandono di minore con l’aggravante della morte, si torna a parlare delle “culle per la vita”. Per la ginecologa Elisabetta Canitano sono: «Una forma di ipocrisia». La psicologa Federica di Martino: «Questi presidi così delicati non vengono gestiti dalla sanità pubblica, ma diventano strumenti di ideologizzazione da parte di realtà e movimenti che li vedono come alternative alla possibilità di abortire»
Il 2 gennaio, nella culla termica posta nella chiesa San Giovanni Battista di Bari, è stato ritrovato un neonato senza vita a causa dell'ipotermia. Il tappetino della culla su cui era stato adagiato il bambino, non avrebbe fatto scattare l’allarme collegato al telefono del parroco. La procura di Bari ha iscritto nel registro degli indagati per omicidio colposo il parroco, don Antonio Ruccia, e il tecnico che riparò la culla dopo un blackout.
Un lato della vicenda che desta timore è che si sia aperta un'inchiesta relativa al reato di abbandono di minore, con l’obiettivo di identificare la madre del bambino o chi lo avesse lasciato alle cure di chi gestiva la culla termica. Questa novità delle ultime ore porta alla colpevolizzazione della donna o della persona che ha deciso di affidare il bambino nel posto che riteneva più sicuro per la sua incolumità.
Il parto in anonimato è un diritto
Le culle termiche oggi attive sul territorio italiano, per la mappa presente sul sito “Culle per la vita”, sono 62. Non esiste, al momento, una legislazione o normativa specifica per questi presidi, spesso installati non solo negli ospedali pubblici ma soprattutto nelle sedi delle associazioni anti scelta del Movimento per la Vita, del “Centro di aiuto alla vita” o nelle parrocchie. Alcune regioni, come il Piemonte nel 2023, hanno approvato un Odg per «programmare una campagna di informazione capillare sulle “Culle per la vita” che coinvolga anche i Comuni e per collocare uno di questi dispositivi in ogni struttura sanitaria piemontese in cui sia presente un reparto di neonatologia e pediatria».
Per quanto concerne il parto in anonimato, invece, la legge italiana consente alla madre di non riconoscere il bambino e di lasciarlo alle cure dell’ospedale in cui è nato, affinché sia assicurata l’assistenza e anche la sua tutela giuridica. Nel Lazio, è da poco stato approvato un ordine del giorno della consigliera regionale per il polo progressista Alessandra Zeppieri, che mira a una campagna di informazione pubblica sul percorso libero e autonomo di chi sceglie di portare avanti la gravidanza di conoscere la possibilità del “parto in anonimato”. Zeppieri ha dichiarato: «Si parla troppo spesso di “culle per la vita” e poco della possibilità, per le persone gestanti, di poter portare a termine la propria gravidanza all’interno di strutture ospedaliere in totale anonimato. Questo purtroppo aumenta i fattori di rischio e quanto accaduto lo scorso 2 gennaio in Puglia ne è la triste conferma».
Più laicità e campagne per i presidi pubblici
La Uaar, l’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti, commenta il fatto che la procura ha aperto un’indagine contro ignoti con l’aggravante della conseguente morte e che ora, a rischiare è la donna che ha lasciato il bambino. «Ma donne e minori in difficoltà hanno diritto a un’assistenza continua, nel rispetto della propria dignità, in strutture sanitarie attrezzate e con personale formato – anche dal punto di vista umano – e il parto in anonimato è ammesso dalla legge. Perché nel nome della sussidiarietà clericale il sistema sanitario consente che a parrocchie e associazioni confessionali, che non possono garantire professionalità e continuità, venga appaltata una questione così delicata come l’accoglienza dei neonati lasciati dalle madri?».
Elisabetta Canitano: «La culla termica è una forma di ipocrisia»
La ginecologa e presidente dell’associazione Vita di donna Odv, Elisabetta Canitano, racconta a Domani: «La culla termica è una forma di ipocrisia: al loro posto potresti mettere un cartello con scritto “Porta il tuo bambino in ospedale”. Noi, all’ingresso della sala parto dell’ospedale, avevamo dei cartelli con la spiegazione di come funzionasse il parto in anonimato». Per Canitano: «Invece che comunicare alle donne che per la loro sicurezza e per la sicurezza del neonato possono lasciarlo alle cure dell’ospedale, sussiste una controinformazione velenosa da parte di queste chiese a favore della culla termica. Per il bambino, inoltre, può essere pericolosa la mancanza di assistenza immediata».
Questo, per la dottoressa, è un paese in cui «noi assistiamo tutte le gestanti, senza distinzioni e discriminazioni, ma loro lo devono sapere. Ci vorrebbe una campagna a livello nazionale che dica: “Il parto in anonimato è un diritto e gli ospedali pubblici sono pronti ad accogliervi”».
Federica di Martino: «Le culle termiche sono strumentalizzate ideologicamente»
Federica di Martino, psicologa e curatrice del progetto “Ivg, ho abortito e sto benissimo” si è occupata della vicenda fin dalle prime ore. A Domani racconta: «Ci troviamo di fronte all’ennesima strumentalizzazione ideologica di un dispositivo precario che ci interroga molto rispetto alle condizioni che possono spingere una donna e una persona ad affidare il proprio bambino ad una soluzione così estrema. Su questo dovremmo porci delle domande: da un lato su quanto sia favorita la libertà di scelta e di autodeterminazione rispetto al portare avanti una gravidanza. Dall’altro, su quanto venga sostenuta, promossa e resa una soluzione concreta quella che riguarda il parto in anonimato. Quanto ci si interessa delle condizioni in cui le donne accedono a questo tipo di strumenti?».
Per di Martino: «Il parto può avvenire non in sicurezza, a casa o in altre condizioni, e rischia di mettere a repentaglio la vita delle donne. Questi presidi così delicati, inoltre, non vengono gestiti dalla sanità pubblica ma diventano strumenti di ideologizzazione da parte di realtà e movimenti che da sempre vedono questa come alternativa alla possibilità di abortire». Di Martino ricorda che sul sito della parrocchia di Bari, nella descrizione della culla termica, «ci sono delle dichiarazioni che riguardano il fatto che si abortisca con troppa facilità e che questo rappresenterebbe uno strumento a favore della vita, al contrario dell’aborto».
Ancora una volta «ci troviamo di fronte a un potere che viene agito da parte di gruppi e movimenti che da sempre sono contrari alla libertà di scelta delle donne e delle persone che indirizzano queste ultime alla culla termica come unica alternativa rispetto all’aborto e alla libertà di scelta». Non possiamo pensare, conclude di Martino, che «questo paese continui a essere ostaggio di questi gruppi e realtà che da anni continuano ad essere lautamente finanziati per i loro progetti. Continuiamo a vederli gestire presidi delicati e precari di cui sarebbe lo Stato a doversi assumere la responsabilità».
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