Al centro dell'indagine della procura antimafia di Milano è finita anche Iren, una delle più grandi aziende energetiche italiane
Al centro dell'indagine della procura antimafia di Milano è finita anche Iren, una delle più grandi aziende energetiche italiane. La multiutility è quotata a Piazza Affari, i suoi principali azionisti sono i Comuni di Genova, Torino, Reggio Emilia, Parma e Compagnia San Paolo.
Indagando sulla società Il Truciolo (come raccontiamo nell’articolo in alto) e sulle sue esportazioni di rifiuti in Bulgaria, il sostituto procuratore Francesco De Tommasi ha scoperto un'altra cosa. Uno smaltimento di rifiuti interno all'Italia, che ha portato quasi 100mila tonnellate di spazzatura dalla Campania al Piemonte. Era materiale che andava riciclato e che, secondo il magistrato dell’antimafia, è stato invece in parte bruciato in un inceneritore e in parte portato in discarica.
Le aziende che secondo la Procura hanno commesso il reato di traffico illecito di rifiuti sono Il Truciolo e Iren Ambiente Spa. Il Truciolo è di proprietà della famiglia Zavarise-Giacomazzi, di Mariano Comense (Como). Si occupa di smaltimento rifiuti di varie tipologie, ha un fatturato annuo di circa 20 milioni di euro. Iren Ambiente Spa è la controllata del gruppo Iren che fa raccolta, trattamento, recupero e smaltimento di rifiuti urbani e speciali. Raccoglie rifiuti in 48 Comuni d'Italia e possiede 71 impianti di smaltimento.
«Processate Iren»
Il processo contro Iren Ambiente e gli altri imputati (in tutto 16 persone e 3 società) è in fase di udienza preliminare al Tribunale di Milano. Gli atti d'accusa raccolti dalla Procura iniziano dal 2017, quando Iren vince un bando pubblico della Regione Campania per smaltire le ecoballe. Per 16,4 milioni di euro l'azienda dovrà «recuperare e smaltire» 98.000 tonnellate di materiale provenienti da Giugliano.
Secondo i dati ufficiali del 2022, in Campania ci sono ancora 5,6 milioni di tonnellate di rifiuti stipati in ecoballe. Se ne ricava il Cdr (combustibile derivato dai rifiuti) che viene poi solitamente bruciato in cementifici o inceneritori.
Iren ha dunque 98.000 tonnellate di rifiuti rimasti imballati per almeno 10 anni, ottenuti dalla Regione Campania in cambio dell'obbligo di recuperarli, oltre che smaltirli. Lo fa attraverso cinque aziende, una delle quali è Il Truciolo. Ma gli investigatori hanno scoperto è che, almeno nel caso dell'azienda comasca, il recupero non c'è stato. Grazie alle intercettazioni la procura vuole provare a dimostrare che Iren e Truciolo sono state d'accordo fin dall'inizio: quei rifiuti non sarebbero stati riciclati. Buona parte doveva andare - come poi andò - in due siti di proprietà Iren: una discarica a Collegno (Torino) e un inceneritore a Parma.
Come per i rifiuti che Il Truciolo ha tentato di esportare in Bulgaria, anche qui sarebbe stato usato il trucco dei codici modificati.
Le balle immesse nella discarica di Collegno e nell'inceneritore di Parma erano etichettate come «plastica e gomma», ma in realtà era «altri rifiuti», dunque più economici da smaltire. Per il pm Di Tommasi, l'operazione ha permesso a Iren di incassare illecitamente profitti per 3 milioni di euro.
Contatta per alcune domande, la società ci ha inviato una nota: «Iren Ambiente reputa di aver operato correttamente nel massimo rispetto delle procedure interne e di legge e si è messa da subito a disposizione delle autorità competenti per tutti gli accertamenti necessari. La società ripone massima fiducia nel miglior operato della magistratura confidando che la stessa saprà, in tempi rapidi, riconoscere l'estraneità di Iren».
Il Truciolo ci ha scritto di ritenere «del tutto infondate le accuse», e come per il filone del traffico con la Bulgaria, dice di avere «piena fiducia nell'autorità giudiziaria affinché venga riconosciuta la sua estraneità rispetto alle imputazioni».
Inchiesta realizzata grazie al contributo di Journalismfund Europe
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