Riduzione dei prezzi, tempi di consegna più brevi, cambi d’ordine e allungamento dei termini di pagamento. Sono solo alcune delle problematiche emerse dal rapporto pubblicato da Fair trade advocacy office sulle pratiche commerciali sleali riguardo a una parte della filiera della moda. Lo studio chiede all’Ue di adottare una direttiva a riguardo
Il rapporto pubblicato dal Fair Trade Advocacy Office (Ftao) e basato su una ricerca sul campo condotta da Clean clothes campaign (Ccc) denuncia le pratiche commerciali sleali presenti nelle catene di fornitura della moda in Italia e in Europa.
Attraverso interviste a fornitori, esperti e rappresentanti sindacali di diversi stati membri dell’Unione europea (Bulgaria, Romania, Croazia, Repubblica Ceca, Italia e Germania) sono emerse le problematiche che riguardano parte della filiera della produzione dell’abbigliamento. Tra queste: una tendenza generale alla riduzione dei prezzi, sempre più richieste per accorciare i tempi di consegna, aumenti di cambi d’ordine e allungamento sia dei termini di pagamento che di costi “nascosti”.
Una situazione che mette in difficoltà i fornitori e la loro gestione aziendale. I contratti scritti tra acquirenti e fornitori sono rari e, quando esistono, le loro condizioni sono fortemente sbilanciate a favore di marchi e distributori. «Abbiamo voce in capitolo nelle trattative, ma spesso ci fanno pressione. Cerchiamo di resistere. Il processo di negoziazione è lungo e difficile», dice uno degli intervistati in forma anonima dallo studio.
Il rapporto si concentra sul sistema moda italiano e sulla produzione dell'Europa centro-orientale e sud-orientale. I marchi che si riforniscono dai produttori intervistati includono Asos, Metro, Ms Mode, Moncler e Otto Group. Presenti anche alcuni marchi di lusso, ma che hanno richiesto esplicitamente di non essere citati. richiesta dei partecipanti alla ricerca.
Come si decidono i prezzi
Durante la fase di contrattazione è una delle voci più fondamentali. La determinazione dei prezzi inizia con la stima del prezzo al dettaglio desiderato dal marchio o dal distributore e non considera in una prima fase tutti i materiali, la manodopera e gli altri costi di produzione. «Di conseguenza, la ricerca ha rilevato un divario tra quanto viene pagato ai fornitori per la manodopera e quanto sarebbe necessario per coprire i costi dei datori di lavoro, compresi i contributi previdenziali obbligatori e le tasse», si legge nel comunicato finale dello studio. In Italia questo significa 18 euro all’ora pagati ai fornitori contro i 24 euro all’ora del costo lordo per i datori di lavoro.
In alcuni casi, i fornitori accettano prezzi bassi solo per mantenere la relazione o per sopravvivere, a volte senza realizzare alcun profitto. Inoltre, quando i fornitori dipendono fortemente da un solo acquirente, il rischio di fallimento è molto alto, è il caso di una fabbrica croata che è stata costretta a chiudere dopo che un marchio tedesco ha ritirato tutti i suoi ordini.
Le raccomandazioni
La crisi di Covid-19 ha acuito gli squilibri di potere tra acquirenti e fornitori. «Molti marchi hanno annullato o sospeso gli ordini lasciando lavoratori e lavoratrici senza reddito, soprattutto nei paesi con reti di sicurezza sociale estremamente deboli», si legge nel comunicato.
I fornitori chiedono quindi soluzioni per eliminare pratiche commerciali sleali come: il pagamento degli ordini entro 60 giorni; prezzi che coprano i costi di produzione e garantiscano salari dignitosi per i lavoratori; un indennizzo per i cambiamenti degli ordini; una chiara definizione dei termini di rischio e della proprietà dei beni.
Il rapporto lancia anche un appello all’Unione europea affinché adotti una direttiva in materia e crei una normativa in grado di tutelare l’intera filiera. Di questo si parlerà all’evento Fair Fashion Day che si terrà al parlamento europeo il prossimo 25 aprile e che sarà ospitato dalle europarlamentari Delara Burkhardt e Saskia Bricmont.
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