Prima un decreto con le linee guida poi un articolo del decreto semplificazioni allungano la vita alle trivelle dismesse o inutilizzate e l’elenco delle piattaforme da dismettere è diventato un fantasma
- Viviana, Ada, Diana, Elena, Emilio 3, Fabrizia e Jole. Sono i nomi delle piattaforme offshore inutilizzate che sono ancora in mezzo all'Adriatico. Sul destino delle trivelle mai entrate in funzione o improduttive da almeno dieci anni, in Italia, si gioca una partita economica che è diventata politica.
- Prima le linee guida, approvate nel 2019, e poi un articolo del decreto semplificazioni proposto dai grillini consentono ai proprietari delle piattaforme, l'Eni su tutte, che ne possiede il maggiore numero, di evitare la dismissione attraverso il riutilizzo.
- Alla fine scompare l'elenco delle 34, ma c'è la possibilità del riutilizzo ispirata «alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità»
Viviana, Ada, Diana, Elena, Emilio 3, Fabrizia e Jole. Sono i nomi delle piattaforme offshore inutilizzate che sono ancora in mezzo all’Adriatico. Sul destino delle trivelle mai entrate in funzione o improduttive da almeno dieci anni, in Italia, si gioca una partita economica che è diventata politica. Il M5s, da sempre contrario alle trivelle, ha prima spinto per la dismissione poi qualcosa è cambiato. Un articolo del decreto Semplificazioni proposto dai grillini consente infatti ai proprietari delle piattaforme, l’Eni su tutti che ne possiede il maggiore numero, di evitare la dismissione attraverso il riutilizzo (parchi solari, centri di ricerca, impianti eolici), opzione che preoccupa le associazioni ambientaliste visto che gli incidenti sono frequenti.
Ad esempio a dicembre è scomparsa, inabissata nelle acque croate dell’Adriatico, la piattaforma Ivana D, di proprietà di una compagnia petrolifera croata. La dismissione è una procedura lunga e costosa che prevede la rimozione della struttura e la messa in sicurezza. Il costo è variabile, ma si aggira intorno ai 25 milioni di euro per ogni piattaforma.
L’emendamento e il riutilizzo
«C’era un elenco che individuava le piattaforme da dismettere. Erano 34, il 70 per cento era dell’Eni. Qualche attore coinvolto ci ha ripensato, che cosa è successo al ministero, ai petrolieri?», si chiede Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace. Nel 2018 al ministero dello Sviluppo economico c’era aria di novità. Erano arrivati i grillini e l’ambiente era tra i loro cavalli di battaglia. Il confronto inizia subito anche perché si tratta di portare avanti una trattativa, già avviata in precedenza, con le organizzazioni ambientaliste e Assomineraria, l’associazione che rappresenta i petrolieri. Obiettivo: elaborare un piano di dismissione delle piattaforme offshore. Al tavolo l’allora sottosegretario del Mise Davide Crippa del M5s. Viene anche organizzata anche una conferenza stampa per illustrare l’esito dei lavori, ma poi salta e cala il silenzio.
Le associazioni ambientaliste non vengono più convocate e pubblicano il documento dove ci sono 34 piattaforme da dismettere «sin da subito», 25 sono dell’Eni, nove di Edison. Che fine ha fatto questo elenco? «La lista è diventata un fantasma», dice Greenpeace. «Non sono più al ministero, ma il piano è andato avanti, quello era solo elenco iniziale, sulla riconversione quella sicuramente è una possibilità se l’infrastruttura è sicura», dice Crippa che sull’iter interrotto e il cambio di strategia non chiarisce.
Il piano è andato avanti, vero, arrivano le linee guida contenute in un decreto interministeriale nel febbraio 2019 che apre alla possibilità del riutilizzo per scopi diversi da quelli estrattivi. Scompare l’elenco delle 34 piattaforme, ma c’è la possibilità del riutilizzo ispirata «alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità». Il “regalo” si completa a settembre 2020 con l’approvazione del decreto Semplificazioni. L’articolo 50 disciplina le procedure di valutazione di impatto ambientale e, alla fine, grazie a un emendamento del M5s, si parla anche di «piattaforme petrolifere in disuso» per l’installazione di impianti rinnovabili.
La proponente è Virginia La Mura, senatrice grillina. «Guardi io non ho pensato alle conseguenze politiche, quando devo fare battaglie contro l’Eni le faccio. Ci sono programmi di ricerca per farci altro, visti i costi di dimissione, noi avremmo bisogno di spazio per realizzare ad esempio parchi eolici offshore, la dismissione produce rifiuti e impatta sull’ecosistema, se c’è una possibilità di riutilizzo in sicurezza è una strada da valutare». A giudicare pericoloso quell’articolo sono le associazioni ambientalisti e i Verdi. «Questa norma, va incontro alle decennali richieste dell’Eni e delle società petrolifere di non rimuovere e bonificare i siti delle piattaforme dismesse, che insolitamente evidenzia una visione comune tra M5s e Italia viva considerato che entrambi hanno presentato emendamenti nel decreto legge Semplificazioni poi approvati. C’è un’estesa lobby trasversale che sacrifica la costa adriatica romagnola alle trivelle», dicono Angelo Bonelli e Sauro Turroni dei Verdi.
Dal ministero dell’Ambiente spiegano che hanno introdotto per le nuove trivelle sistemi autorizzativi più rigidi. E per quelle vecchie, i catorci del mare? Dal ministero dello Sviluppo economico ci arriva una risposta che conferma la possibilità di riutilizzo anche per quelle famose 34. Quell’elenco iniziale è stato suddiviso in due parti, nella prima figurano 19 trivelle vicine alla dismissione che possono essere riutilizzate a fronte di una serie di prescrizioni, tra queste anche la presentazione di una fidejussione bancaria e sempre dopo l’autorizzazione della parte pubblica. Il riutilizzo si riferisce unicamente alla «struttura reticolare in acciaio installata sul fondo marino ed emergente in superficie» fanno sapere dal ministero.
Tra quelle avviate al riutilizzo, se arriva un progetto entro luglio, c’è anche Armida, risalente al 1973, di proprietà dell’Eni. «Nel 2019 e nel 2020 Eni ha avviato gli iter autorizzativi presso il ministero dello Sviluppo economico per la dismissione di cinque piattaforme», dice l’azienda. Il piano complessivo parla di dodici trivelle con un impegno di 250 milioni di euro. Non 25 come scritto nell’elenco iniziale. Per quanto concerne poi le iniziative di riutilizzo di strutture offshore per fini diversi dall’attività estrattiva, spiegano dall'ufficio stampa di Eni, è stata individuata la piattaforma Viviana nell’ambito del progetto di ricerca e sviluppo denominato PlaCE che prevede l’utilizzo a riconversione della piattaforma per la realizzazione di un parco scientifico marino a scopo itticoltura. Nell’elenco fantasma delle 34 trivelle da dismettere pubblicato dalle associazioni ambientaliste prima che il M5s sposasse la strategia del riutilizzo c’era anche una Viviana. Edison, intanto, ha ceduto le piattaforme (con il settore esplorazioni) alla società Energean che si dice interessata ai progetti di riutilizzo e ha programmato sei dismissioni nei prossimi quattro anni, ma deve ancora avviare il processo autorizzativo. C’è ancora vita per Viviana e le altre.
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