«Sappiate che, se mi piglia un colpo, me ne vado come un commensale sazio». La leggerezza e il buonumore poetico di Lina Wertmüller in questa sua battuta per un epilogo di chi la vita l’ha vissuta, osservata, interpretata e soprattutto raccontata.

Wertmüller se ne è andata lasciandoci in dono i suoi occhiali (amati da Woody Allen) per continuare a guardare il mondo con quella profondità di spirito per camminare su una strada assolata.

La vita di Lina è la più grande lezione di bellezza e di arte, con Garinei&Giovannini ha imparato a costruire le scenografie degli spettacoli in maniera artigianale, affidandosi alla fantasia e al sudore, in un tempo in cui il teatro era una cosa seria.

Come direbbe la Merini «i poeti lavorano di notte» e la Wertmüller dormiva al massimo tre ore a notte, non per insonnia ma per respirare a pieno la vita, viverla potentemente  - «ho vissuto quasi il doppio del tempo di una persona normale».

Complice segreta di Federico Fellini, suo compagno di gioco fedele, aiuto in 8/2 per poi trovare la sua vera strada, quella della regia.

L’inizio

Gianni Riccio/Lapresse

Tutto ha inizio nel 1961, sul set di Salvatore Giuliano di Francesco Rosi. In quel viaggio nel profondo Sud, nella terra d’origine paterna, quella Lucania avvolta da un oblovomismo senza cura, in quel Meridione remissivo e permeato da un cinismo quasi poetico, accade il miracolo dei Basilischi con un budget di soli 32 milioni di lire e due settimane e mezzo di riprese nel 1963 – premio internazionale della critica al XVI Festival di Locarno.

Per Lina la Basilicata era una terra dura e splendida allo stesso tempo dove vivono «uomini piccoli e forti come tronchi d’olivo e donne dal volto greco e con occhi saraceni, dentro case bianche di calce e grigie di pietra». 

Il bambino che balla da solo il twist nella piazza deserta di San Gervasio è il riscatto della purezza del sud capace di combattere ogni retaggio da scugnizzo selvaggio, l’accidia, la fuga.

Chi meglio ha saputo raccontare la fibra rivoluzionaria di Lina Wertmüller è stato Antonio Petruzzi che nel film interpretava Antonio e che fino ad allora non aveva mai recitato prima: «Lina mi apparve tra palazzo San Gervasio e Minervino Murge come un novello Robin Hood, arrogante con i potenti e protettiva verso i deboli, vivace come uno scugnizzo, meridionalista più di Giustino Fortunato. Ma la chiave del suo fascino è la carica umana».

Lina coglie nella “controra” del sud, nel tempo sospeso, nell’ora contraria quella dolce e maledetta resa. Più che grottesco, a dir dei critici, è spietata la fotografia di quel bianco e nero che resiste ancora oggi a ogni tentativo di colorazione.

Il presagio, l’oracolo, la visione di Lina è una risposta attesa ancora oggi, in quel dialogo devastante e feroce che rompe ogni speranza in quell’incontro dalla casualità apparente, in cui le pieghe sincopate sartoriali della gonna della ragazza sono ancora una volta ossessione e prigione del tempo -  «a proposito, cercavo proprio a lei…» - «A me!?» - «Eh, avrà notato che è parecchio che l’ho notata…» - «Embè» -  «Beh, signorina io voglio sperare, beh, insomma, che non vorrà deludere il mio sogno» - «Lei è un serio ragazzo e mi piace, ma ci devo pensare, la risposta fra tre giorni».  -  «La risposta fra tre giorni».

L’amato sud

Photo by Mark Von Holden/Invision/AP

Lina è stata una grande donna del sud perché il sud l’ha raccontato senza sconti, Mimì metallurgico ferito nell’onore da inizio anche a una delle coppie più straordinarie del cinema come Mariangela Melato e Giancarlo Giannini. 

Una storia in cui i valori della sinistra combattono le illusioni protezionistiche della mafia ma che vede l’uomo in ginocchio incapace di ribellarsi al maschilismo che scorre nelle vene.

Film d’amore e d’anarchia vede ancora Mariangela e Giancarlo in stato di grazia, questa volta Lina sa commuoverci con il suo film più civile e politico dove il grottesco fa spazio all’umanità e al pensiero filosofico di Malatesta mischiato al sangue più popolare. Pasqualino Settebellezze sarà invece risarcito decenni dopo con l’Oscar alla Carriera.

Il sogno nel cassetto

LaPresse

Lina aveva un sogno, il sequel di Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto. Raffaella Pavone decide, in un momento di nostalgia, di tornare sull’isola dove ha vissuto la travolgente avventura d’amore. Mentre è assorta fra i ricordi nel bel mezzo della foresta, riceve uno schiaffone dal marinaio comunista Gennarino Carucchio: «Bottana industriale, ti ho aspettata tutti questi anni, qua dovevi tornare!».

Di Lina ci resta anche la poesia e la delicatezza del suo grande amore Enrico Job. Lei si commuoveva solo quando raccontava di quell’amore per sempre. Lina, ci sei «scoppiata dentro il cuore» – «La risposta fra tre giorni».

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