- È durato mezza giornata il viaggio del rappresentante dell’alto commissariato dei diritti umani dell’Onu, Marcos A. Orellana, attraverso le terre del Veneto inquinate dai Pfas.
- Obiettivo ufficiale della visita quello di indagare la gestione degli interventi sull’emergenza causata dallo sversamento di questi composti nell’acqua potabile di oltre 90 comuni, come anche la violazioni di alcuni diritti umani fondamentali.
- Nonostante l’indagine sia appena iniziata, e i risultati non saranno pronti fino al prossimo anno, in Veneto si ipotizza una violazione dei diritti umani.
È durato mezza giornata ieri il viaggio del rappresentante dell’alto commissariato dei diritti umani dell’Onu, Marcos A. Orellana, attraverso le terre del Veneto inquinate dai Pfas. L’obiettivo ufficiale della visita era di indagare la gestione degli interventi sull’emergenza causata dallo sversamento di questi composti nell’acqua potabile di oltre 90 comuni, con l’eventuale violazione di alcuni diritti umani fondamentali.
La visita è iniziata dall’ospedale di Montecchio Maggiore in provincia di Vicenza, dove ha sede uno dei maggiori centri per la cura del cancro al seno in Italia, per poi continuare allo stabilimento Mitemi. Qui ad attendere il rappresentante dell’Onu c’era il nucleo operativo dei carabinieri del Noe, gli attivisti che in questi anni hanno seguito la vicenda e alcuni operai dello stesso stabilimento che hanno portato la loro testimonianza. Il principale argomento dell’incontro era lo stato della barriera idraulica.
«È un crimine ambientale ancora in opera, perché la barriera non è in grado di limitare lo sversamento degli inquinanti che è stata progettata per contenere» spiega Alberto Peruffo, autore della lettera spedita a settembre all’Onu che ha attirato l’attenzione dell’alto commissariato. Al momento attorno allo stabilimento Mitemi la bonifica delle aree inquinate non è iniziata, così come la stessa caratterizzazione ambientale, passo necessario alla messa in pratica del piano di bonifica.
Acque inquinate
Terza tappa del viaggio il centro di depurazione delle acque del Chiampo, ovvero uno dei maggiori depuratori del Veneto. Qui affluiscono gran parte delle acque reflue derivanti dalle lavorazioni della concia, altro settore altamente inquinante, e che insieme ai Pfas contribuisce allo sversamento di sostanze come nitrati e cloruri nelle acque del Veneto.
A Chiampo le acque vengono mischiate, diluite e immesse a Cologna Veneta e da lì verso il centro di potabilizzazione di Lonigo: la quarta tappa del viaggio dell’alto commissariato delle nazioni unite attraverso la terra veneta dei veleni.
Il centro di Lonigo è un punto fondamentale per il trattamento delle acque inquinate, perché qui vengono trattate con un processo di carboni granulari attivi, che ha il compito di filtrare le acque della maggior parte dei comuni contaminati. I carboni costano milioni di euro e sono a carico della collettività, e fino a poco tempo fa nessuno dei gestori dell’acqua locali aveva messo a conoscenza la collettività della pulizia delle acque.
Secondo Peruffo si tratterebbe dell’ennesima violazione dei diritti umani, e in particolare del diritto all’informazione. Nonostante i gestori sapessero fin dal 2013 che l’acqua era inquinata nessuno lo aveva mai comunicato ai cittadini.
Rifiuti da smaltire
Quinta tappa del viaggio, e forse la più impressionante, il canale Leb in provincia di Verona, dove le acque dell’Adige vengono mescolate e diluite alle acque reflue proveniente dallo stabilimento Miteni. E da qui nuovamente immesse nel Fratta Gorzone, un canale artificiale tra i più inquinati d’Italia che attraversa le province di Padova e Venezia. «Uno dei crimini ambientali più impressionanti, cose che non accadono neppure nel cosiddetto “terzo mondo”» spiega Peruffo.
Il viaggio termina a Legnago allo stabilimento Chemviron, che tratta i carboni attivi usati per depurare le acque dei comuni contaminati. Tema della tappa è il ciclo dei rifiuti. L’obiettivo dell’azienda infatti è di depurare dalle alte concentrazioni di inquinanti i carboni. Tuttavia, spiega sempre Peruffo, non è chiaro come vengano smaltiti questi reflui e c’è un’indagine in corso. A Legnago termina il sopralluogo, la visita però continua con la parte emotivamente più dura: le testimonianze dei cittadini contaminati.
Diritti umani
Questa parte del sopralluogo è stata la più importante. L’indagine dell’alto commissariato delle Nazioni unite non riguarda infatti tanto l’ambiente, ma la presunta violazione dei diritti umani avvenuta in Veneto. Ovvero le conseguenze dell’inquinamento ambientale sulla popolazione.
Come ha ricordato lo stesso rappresentante Orellana, «le conseguenze ambientali hanno un significativo impatto sulla vita delle persone, con i segmenti più vulnerabili della popolazione che pagano un prezzo sproporzionatamente alto».
In particolare la violazione riguarda alcuni articoli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e in particolare: il diritto alla vita e il diritto a un ambiente sano, il diritto all’informazione del livello di inquinamento, ma anche il diritto a un rimedio effettivo all’inquinamento provocato dalla Mitemi, così come dal comparto produttivo della concia.
Una giornata importante
«È stata una giornata importante» ha detto ieri Maria Chiara Rodeghiero di Medicina Democratica «l’Onu porterà a livello internazionale la conoscenza del crimine ambientale perpetrato nelle nostre terre: nessun negazionismo, nessuna "tuta mimetica" potrà ora tenere sotto traccia un delitto ambientale come il nostro, tutto verrà a galla, dimostreremo come da noi i diritti dell’uomo, con l’inganno che credevano perpetuo, sono stati calpestati».
L’indagine è appena iniziata, ma già per il 13 dicembre è attesa a Roma una conferenza stampa in cui verranno comunicati i primi risultati. La relazione completa invece verrà presentata il prossimo anno a Ginevra.
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