- È in nome dei tempi nuovi che la chiesa in Germania chiede riforme e non sembra arretrare di un passo, come rimarca il documento del primo forum del cammino sinodale pubblicato lo scorso 22 gennaio.
- Nel sinodo, la chiesa tedesca affronterà quattro temi: potere e divisione dei poteri nella chiesa, vita del prete oggi, donne nei ministeri, amore e sessualità nella vita di coppia.
- La chiesa tedesca legge la sua crisi con un senso d’urgenza, che poco si sposa con l’approccio lento di papa Francesco. Senza dubbio, la miccia che ha spinto al sinodo è lo scandalo degli abusi, che mina la credibilità della chiesa universale.
Per i vescovi tedeschi il postulato di Francesco “il tutto è superiore alla parte” vale quanto il secondo “il tempo è superiore allo spazio”. È in nome dei tempi nuovi, infatti, che la chiesa in Germania chiede riforme e non sembra arretrare di un passo, come rimarca il documento del primo forum del cammino sinodale pubblicato lo scorso 22 gennaio.
I lavori preparatori del sinodo, che destano preoccupazione in Vaticano, anticipano l’assemblea plenaria del prossimo autunno. Nel sinodo, la chiesa tedesca affronterà quattro temi: potere e divisione dei poteri nella chiesa, vita del prete oggi, donne nei ministeri, amore e sessualità nella vita di coppia.
«Il cammino non è certo una passeggiata, ma neanche una passerella dove il singolo mette in mostra la propria opinione senza volerla minimamente cambiare» ha rassicurato Thomas Sternberg, presidente del comitato centrale dei cattolici tedeschi. Eppure, le esortazioni del papa che, nella Lettera al popolo di Dio in Germania, ha fatto leva sul sensus Ecclesiae, sono state percepite a metà tra un incoraggiamento e una frenata: «Riconoscere i segni dei tempi […] non è sinonimo di adattarsi semplicemente allo spirito dei tempi e basta» ha detto il pontefice.
Già fioccano i critici, che vedono nel documento pubblicato, in seguito messo ai voti, alcuni punti controversi, a partire da un approccio di metodo teso a coinvolgere i laici auf Augenhöhe, guardandosi alla stessa altezza, che non è piaciuto neppure ad alcuni tedeschi, primo fra tutti il cardinale di Colonia, Rainer Woelki.
Una frattura antica
Il clero tedesco ha ammesso la distanza con Roma, accelerata dalle dichiarazioni del papa emerito Benedetto XVI il quale, con toni forti, nel 2019 parlava al mensile Klerusblatt di un «collasso della teologia morale cattolica» dagli anni Settanta. Al contrario, secondo i teologi tedeschi, la colpa del papa emerito sarebbe stata quella di vedere gli abusi come la diretta conseguenza di una morale annacquata dalla liberazione sessuale.
In una dichiarazione congiunta, i teologi morali tedeschi hanno definito la posizione di Ratzinger «estranea al mondo» e agli studi sulle scienze umane e sociali. La sempre più ampia distanza con la Santa sede, però, non si esaurisce in uno scambio di battute al vetriolo. La chiesa tedesca, con le diocesi tra le più ricche d’Europa, legge la sua crisi con un senso d’urgenza, che poco si sposa con l’approccio lento di papa Francesco. Lo ha detto chiaramente il presidente della conferenza episcopale tedesca, mons. Georg Bätzing, su Herder Korrespondenz: «Il papa parla spesso di questo motivo gesuitico del discernimento degli spiriti, di cui ci sarebbe maggiormente bisogno. Ma quale istanza decide se questo processo è maturo oppure no? A un certo punto bisogna decidere».
Con questa riflessione, i vescovi desiderano decidere soprattutto a livello locale, consapevoli degli argini che Roma sta issando. Lo scorso anno, per esempio, la congregazione per la dottrina della fede ha espresso riserve sul gruppo di lavoro ecumenico avviato in Germania. Poco prima, tra gli stessi vescovi e la congregazione vaticana per il clero si erano levati malumori in merito all’istruzione per le parrocchie voluta da Roma: riunitasi a Wuerburg, la conferenza episcopale tedesca ha letto nel documento una chiusura al ruolo dei laici, che in Germania è ormai fondamentale.
Il terremoto degli abusi
Senza dubbio, la miccia che ha spinto al sinodo della chiesa tedesca è lo scandalo degli abusi, che mina la credibilità della chiesa universale. Ha destato scalpore il caso emerso nella diocesi di Spira, dove le suore di Niederbronn avrebbero favorito gli abusi di minori da parte del clero locale a partire dagli anni Settanta. I dettagli emersi dagli atti sono così raccapriccianti che l’attuale vescovo di Spira, mons. Karl-Heinz Wiesemann, si è preso un tempo di riposo per riprendersi: contattato via email, ha preferito non rispondere: «Anche io ho energie limitate per i pesi che devo portare» aveva dichiarato all’agenzia cattolica Kna.
L’ultimo scandalo riguarda il defunto Werenfried van Straaten, creatore della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre. Secondo quanto rivelato dal supplemento Christ und Welt del settimanale tedesco Die Zeit, la condotta del fondatore era ben nota sotto papa Benedetto XVI, che l’ha contrastata nel silenzio. È questo approccio omertoso, figlio di un’altra sensibilità della chiesa, che oggi i cattolici tedeschi chiedono di cambiare.
In questo senso, va letta la richiesta di dimissioni dell’arcivescovo di Colonia, il cardinale Rainer Woelki, che sarebbe colpevole di non avere informato il Vaticano sulle accuse di abusi da parte di un sacerdote: «Dev’essere chiaro chi è responsabile di cosa […]. È quanto dobbiamo pretendere da noi stessi e da coloro che ci hanno preceduti nel ministero» ha risposto mons. Bätzing a chi taccia d’intransigenza il modo di trattare i vescovi ritenuti colpevoli.
Lo studio MHG, voluto dall’episcopato tedesco, che ha scoperchiato e analizzato in modo analitico gli abusi di ieri, mostra che il numero di preti accusati di pedofilia è basso e non si discosta molto da casi che avvengono fuori dal recinto ecclesiale. Ciononostante, sottolinea i due punti essenziali della questione: l’immaturità sessuale e l’abuso di potere.
Il clericalismo
Sul tema, le istanze tedesche coincidono con quelle di papa Francesco. La linea di Bergoglio ha gradualmente trovato un riflesso anche nella semantica dei suoi discorsi in cui la parola “clericalismo”, associata agli abusi, è diventata sinonimo di “male”, “peste”, “perversione della chiesa”. Il clero tedesco fa un passo oltre e intercetta la radice del clericalismo nel passato.
In questo senso, va letta l’autocritica avviata dalla chiesa tedesca lo scorso anno in occasione dei 75 anni dalla fine della seconda guerra mondiale: che cosa rivelano le pagine buie del Terzo Reich se non una debolezza strutturale dei vescovi di allora nell’opporsi al nazismo, nonostante la condanna di papa Pio XI nell’enciclica Mit Brennender Sorge (1937)?
La lettera dell’episcopato tedesco, pubblicata ad aprile scorso, condanna senza mezzi termini quella chiesa cattolica “parte della società di guerra”. Questa riflessione, inoltre, giunge nell’anno della scomparsa di Johan Baptist Metz, l’autorevole teologo tedesco che collegava la passione per Dio all’impegno nella giustizia. Per Metz, Auschwitz era il problema teologico per eccellenza, perché lì la fede si era scollata dall’abuso di potere. È questa chiesa debole a livello istituzionale, tanto ieri quanto oggi, che il clero tedesco rifiuta.
Nel documento del cammino sinodale, l’accusa dei vescovi è pesante: «Sotto un malinteso riferimento al potere sacralizzato, la chiesa ha giocato d'azzardo non solo con il legame tra gli innumerevoli membri che se ne erano andati, ma anche con la giustificazione dei suoi discorsi sul sacro e la salvezza».
Apertura alle coppie Lgbt
Con il sinodo, la chiesa tedesca vuole fare anche chiarezza su quelle che definisce “zone grigie”, come le benedizioni delle unioni Lgbt, e i vescovi tedeschi mettono in conto che questo potrebbe voler dire anche modificare alcuni passaggi del catechismo, dove non si condanna la persona omosessuale in sé, ma l’atto. In questi termini si è espresso il vescovo di Aachen, Helmut Dieser, a capo del forum sulla partnership e la sessualità: «Dobbiamo chiedere al papa di riconsiderare i passaggi corrispondenti» ha affermato. Per parte della chiesa tedesca, laici inclusi, accogliere «con rispetto, compassione e delicatezza» le persone Lgbt non basta più.
Si tratta di un cambiamento importante, che ha di recente coinvolto tutta la chiesa d’Oltralpe. Quando nel 2019 il matrimonio egualitario è entrato in vigore in Austria, per esempio, l’arcivescovo di Vienna, Chris Schönborn, espresse il suo apprezzamento. Parole di sostegno alle benedizioni per le coppie Lgbt sono venute anche dal vescovo di Osnabrück, Franz-Josef Bode: «Silenzio e tabù non ti portano oltre e ti fanno sentire insicuro», ha detto il prelato tedesco, pur rimarcando la differenza tra le unioni civili e il sacramento del matrimonio. Anche il cardinale Reinhard Marx è dello stesso avviso, sebbene in Vaticano le sue posizioni abbiano sollevato più di qualche perplessità.
Il tema è, tuttavia, così dirimente che non manca chi, come il vescovo di Limburg, Georg Bätzing, invita alla prudenza nel timore di uno scisma più o meno dichiarato.
Soli come preti
Non è stato affrontato nel dettaglio, ma farà discutere, il quarto tema del forum sinodale incentrato sulla figura del sacerdote. Come in tutta Europa, anche la chiesa tedesca assiste a un netto calo delle vocazioni e i vescovi si stanno domandando se il ruolo del prete oggi sia ancora credibile.
Una radiografia ad ampio spettro del fenomeno l’aveva fatta nel 2019 l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, sul «pregiudizio che i cattolici non siano credibili, che abbiano interessi che non dichiarano, che la proposta di vita della comunità cristiana mortifichi l’umano, invece di esaltarlo, comprima la libertà invece che promuoverla». A novembre 2020, i vescovi francesi hanno presentato i risultati di una ricerca sulla salute psico-fisica di oltre 6mila preti diocesani: è emerso che il 54 per cento vive da solo, il 20 per cento presenta sintomi depressivi e in due casi su cinque si sviluppano dipendenze dall’alcool. In generale, impressiona che il 40 per cento dei preti intervistati si sia dichiarato poco o per nulla realizzato nella sua vita.
Sul tema, i vescovi tedeschi non hanno manifestato posizioni particolarmente progressiste, ma hanno inanellato la questione in un dibattito più ampio, sollevando il tema dell’accesso del ministero alle donne per smorzare tanto l’eccesso di potere quanto le pressioni che gravano sui sacerdoti, sempre più a rischio di sindrome di burn-out: «Anche il celibato per i sacerdoti deve essere all'ordine del giorno. Ultimo ma non meno importante, sono necessari chiarimenti per aprire l'accesso delle donne al ministero ordinato nella chiesa» si dichiara nel documento sinodale.
È appena bastato un primo incontro a Francoforte per far emergere una differenza di vedute tra la chiesa universale e quelle particolari: converrebbe chiedersi se non sia proprio la sinodalità invocata dal centro il vero limite alle spinte di periferia. Lo ha mostrato il disallineamento fra le aspettative del clero in Amazzonia e la posizione ufficiale di Roma. In questo clima, che chiede con urgenza un sinodo della chiesa italiana, vedere quanto sta accadendo in Germania potrebbe essere utile per leggere l’effetto domino che potrebbe innescare nelle chiese di tutta Europa.
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