Tra il 13 e il 21 settembre 1977, alcuni articoli apparsi sul "Giornale di Sicilia" analizzavano a fondo «l’incredibile storia di appalti e delitti per la diga Garcia», come la definì lo stesso giornalista che aveva avuto accesso a un rapporto del colonnello dei carabinieri ucciso un mese prima dalla mafia insieme al suo amico Filippo Costa
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In data 13 settembre 1977 apparve sul "Giornale di Sicilia" il seguente articolo di Mario Francese:
L'incredibile storia di appalti e delitti per la diga Garcia.
Gli obiettivi della mafia in un rapporto di Russo.
È un raro documento che costituisce un censimento delle famiglie mafiose del triangolo Roccamena - Partinico - Monreale
La Lodigiani che sta costruendo la diga Garcia, non è la sola superimpresa operante nella zona del Belice. E' la sola ditta però che, proprio nella giornata inaugurale dei lavori per la realizzazione del grande invaso nelle vallate tra Roccamena e Poggioreale, ha subìto le maggiori pressioni e intimidazioni ed anche un drammatico attentato dinamitardo alla sua sede milanese.
Nella valle del Belice operano un'altra decina di medie imprese che realizzano, per conto del consorzio dell'alto e medio Belice, opere di bonifica, contenimento e forestazione. Tra Camporeale, Gibellina e Salemi poi, da diversi anni, si sono attestati supercolossi imprenditoriali: la Saiseb, la Pantalena, la Garboli, etc.
Dopo la Lodigiani, la Saiseb è l'impresa (con sede centrale a Roma) che, dopo l'uccisione a Ficuzza del colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo e del suo amico Filippo Costa, è venuta alla ribalta della cronaca. Si dice, infatti, che Russo, in procinto di lasciare l'Arma, avesse iniziato per la società romana un'attività, non si sa bene se di consulenza o di pubbliche relazioni, per cui la morte dell'ufficiale potrebbe avere addentellati con le iniziative da lui assunte nel settore imprenditoriale. La Saiseb, tra il 1969 e il 1970, cioè negli anni immediatamente successivi al sisma che ha devastato la valle del Belice, ha avuto in appalto per decine di miliardi i lavori di costruzione delle infrastrutture della nuova Gibellina, che sta sorgendo in contrada Salinella di Salemi. Nel 1974, l'impresa romana ha preso in appalto anche i lavori per la costruzione di un complesso di alloggi popolari a Salemi e per la costruzione di un complesso, nella zona: di scuole moderne e razionali. Per alcune opere in corso di realizzazione a Gibellina, per quattro miliardi, poi la Saiseb è l'unica impresa che, a lavori ultimati, ha presentato una variante per una maggiore spesa di tre miliardi e mezzo, variante che è stata approvata a cose fatte, senza contestazioni.
Completano il quadro, nella valle del Belice (triangolo Roccamena - Salemi - Gibellina): la Pantalena, che ha in costruzione (ma molto a rilento) complessi di alloggi popolari, e la Garboli. Quest'ultima ha appaltato, per svariati miliardi, la costruzione delle infrastrutture della nuova cittadina di Salemi. Opere, come quelle affidate alla Saiseb, colossali. Il gruppo esattoriale Salvo - Corleo, almeno ufficialmente, non figura nelle amministrazioni dei tre supercolossi imprenditoriali della valle del Belice: Lodigiani, Saiseb, Garboli. Ha però intensi rapporti con i direttori tecnici delle tre superimprese i quali, almeno così sostengono, hanno potuto per ora operare indisturbati. Niente minacce, niente richieste di tangenti, niente atti intimidatori. Tutti, ad eccezione della Lodigiani. Ma è da crederci?
L'impresa milanese è stata l'ultima ad arrivare nella valle del Belice mentre le altre tre, ormai, nella zona, sono di casa e sono riuscite a coagulare equilibri consistenti e, comunque, tali da consentire loro di operare indisturbate nei loro cantieri. Per la Lodigiani che è all'inizio della sua attività imprenditoriale, c'è una Saiseb che ha molte opere in fase di completamento e che quindi aspira a nuovi appalti. Il momento è favorevole: ci sono da appaltare 110 miliardi di lavori, per conto del consorzio dell'alto e medio Belice (viabilità, bonifica, contenimento a monte e a valle per la diga, forestazione): ci sono da appaltare opere per altri 110 miliardi: collegamento alla diga con i tre consorzi che dovranno trasportare acqua negli invasi dell'alto Belice, del Delia - Nivolelli e del basso Belice - Carboi. Tubazioni per convogliare acqua per irrigare 21 ettari di terreno.
Gli interessi nella zona di Garcia e nella valle del Belice sono enormi. Si è detto che il colonnello Russo, molto legato del resto ai Salvo, e quindi ai tecnici della Saiseb, aveva anche indagato sull'attentato subito il 10 ottobre 1976 (giorno di inizio dei lavori della diga) a Milano. Ma sulla mafia che gravita nell'area di Garcia e nelle zone terremotate, l'attività investigativa di Russo era stata pressante ed intensa. Uno degli ultimi rapporti dell'ex comandante il nucleo investigativo dei carabinieri costituisce un raro documento analitico del nostro retroterra palermitano: un censimento di famiglie mafiose che gravitano nel triangolo Roccamena - Partinico - Monreale. Un rapporto che, volendo fare luce sul sequestro del giovane enologo monrealese Franco Madonia, nipote di don Peppino Garda, e su quello dell'ing. Luciano Cassina, alla fine del 1975, fornisce un quadro delle forze mafiose che gravitano nella zona della costruenda diga Garcia e dei metodi di arricchimento di personaggi che, nel giro di pochi anni con "sagge" speculazioni hanno accumulato un'immensa fortuna. Un rapporto che, se da una parte, offre un saggio dello scrupolo e della straordinaria mobilità dell'allora comandante il nucleo investigativo, da un'altra dà la misura degli interessi che l'alto ufficiale ha severamente controllato negli ultimi tempi con una tenacia da certosino. Giuseppe Russo aveva scavato e trovato convincenti collegamenti tra Partinico e Corleone. I suoi accertamenti avevano, ad esempio, portato alla ribalta l'attività della Zoosicula - Risa, che operando a Partinico e San Lorenzo, aveva comprato a Corleone 11 salme di terreno a "Rocche Rao". La vasta proprietà venne data in affitto a Giovanni Grizzaffi, nipote di Salvatore Riina, luogotenente di Liggio e sposo segreto della maestrina di Corleone Ninetta Bagarella. La società, fino al dicembre 1973 - secondo gli accertamenti di Russo - aveva acquistato terreni e immobili per quasi 70 milioni, di cui non si è riusciti a spiegare la provenienza.
Se 236 possidenti erano riusciti a fare incetta di terreni, poi espropriati (800 ettari) per la costruenda diga di Garcia, altri personaggi, secondo il rapporto di Giuseppe Russo, avevano investito il loro denaro in speculazioni redditizie. Russo aveva accertato per esempio, che i fratelli Salvatore ed Erasmo Valenza di Borgetto, noti alle cronache, sin dal 1954, cominciarono il "silenzioso" accaparramento dei feudi Balata, Magna, Monaci, e San Carlo: acquisti a piccoli spezzoni, curati con pazienza per anni e per cifre irrisorie, ara dietro ara, fino al raggiungimento dell'obiettivo prestabilito. E dopo i primi quattro feudi, nel 1963, i fratelli Valenza, noti impresari di autotrasporti, cominciarono con lo stesso metodo, l'acquisto del feudo Carrubbella. Il vero scopo di quasi venti anni di accaparramenti di terreni, i fratelli Valenza lo rivelarono dal 1973 in poi, quando i feudi vennero lottizzati e venduti a spezzoni come aria fabbricabile. Uno spezzone del feudo San Carlo di 190 metri quadrati è stato venduto, per citare una delle centinaia di vendite, ai primi del 1973 dai Valenza per 1 milione. Tutto il feudo non era costato, fino al 1963, nemmeno 500 mila lire. Di Luciano Liggio, Giuseppe Russo ha illustrato i suoi legami con padre Agostino Coppola, i suoi più recenti acquisti di terreni nel corleonese, i suoi rapporti con la Gulf di Roma, i suoi rapporti con i fratelli Carmelo, Domenico e Giovanni La Barba di Corleone, i suoi pranzi con amici nella trattoria emiliana di viale Umbria di Sergio Nannini, i suoi incontri con Ignazio Arena, il suo famoso viaggio in macchina del 25 febbraio 1974 a Palermo in compagnia di Salvatore Greco l'"ingegnere", Domenico Coppola, Giovanni La Barba, con una scorta composta da Michele Zazà, Salvatore Santomauro, Alfredo Bono e Biagio Martello.
L'ex comandante il nucleo investigativo aveva individuato, nella SIFAC dei soci Emanuele Finazzo, Vito Giannola e Antonino Nania, gli obiettivi della piccola industria, patrocinato da don Agostino Coppola: forniture di materiale da cava all'aeroporto di Punta Raisi e, soprattutto, all'impresa di Arturo Cassina, appaltatore dei lavori di costruzione, allora, dell'autostrada Palermo - Mazara del Vallo, che attraversa il cuore silenzioso del retroterra palermitano e i paesi del Belice che saranno serviti dalla diga Garcia. Fatale coincidenza, il sequestro Cassina avvenne dopo la fornitura di materiale di cava, effettuato il 10 agosto 1972, dalla SIFAC all'impresa Cassina.
Fra miliardi, rapimenti e sangue
Il 18 settembre 1977 fu pubblicato sul "Giornale di Sicilia" il seguente articolo di Mario Francese:
L'incredibile storia di appalti e delitti per la diga Garcia.
Perché il Belice è un terreno minato. Vi sono in corso lavori per più di mille miliardi
Dal 1974 in poi tre sequestri e una catena di omicidi
L'inizio di massicce opere pubbliche tra Garcia e le zone terremotate del Belice ha coinciso con i primi anelli di una catena di morti ammazzati, sequestri di persona, attentati e morti per "lupara bianca". L'ultimo anello della catena è costituito dalla soppressione a Ficuzza (20 agosto 1977) del colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo e del suo amico Filippo Costa. Un omicidio quello dell'alto ufficiale, che, così com'è avvenuto, (classico sistema mafioso) e anche per la zona, quella di Ficuzza, scelta dai killer per l'esecuzione della sentenza di morte, ha fatto proiettare le indagini in una duplice direzione: vendetta "dell'anonima sequestri": pista degli appalti di superopere nelle zone terremotate del Belice, per la decisione di Russo di congedarsi dall'arma per dedicarsi ad una nuova attività come consulente di imprese colosso, di cui, negli otto mesi della sua convalescenza, avrebbe già dato un apporto.
Se è vero che il colonnello Russo aveva operato una scelta ed aveva iniziato i suoi primi sondaggi, per conto di imprese come Saiseb, la Lodigiani e la Cassina, cioè di società massicciamente impegnate in lavori nella zona del Belice, è indubbio che l'ufficiale, volontariamente si era lanciato in un "campo" minato: si sarebbe venuto a trovare, come manager di super colossi dell'imprenditoria, in una zona che, negli ultimi due anni, lo avevano visto protagonista, come comandante del nucleo investigativo dei carabinieri e coordinatore di indagini a livello interprovinciale, nell'accanita battaglia contro cosche mafiose di ben tre provincie (Palermo, Agrigento e Trapani), venute alla ribalta per i più eclatanti delitti dal 1975 ad oggi.
Una zona minata, dove si dibattono inconfessati interessi di società paravento che, favorite dal disordine e dall'egoismo degli enti pubblici e a partecipazione mista, interessati ad accaparrarsi finanziamenti e lavori, anche per motivi elettorali, trovano terreno fertile alla loro sfrenata ambizione. La costruzione della diga Garcia è una delle tante superopere in via di realizzazione nella vallata del Belice. Gli oltre trecento miliardi che, in dieci anni sono stati previsti per ulteriori opere di bonifica e di convogliamento dell'acqua negli invasi dei tre consorzi che ne hanno fatto richiesta, sono una particella degli enormi finanziamenti di opere pubbliche programmate nel Belice. La legge 178 ha stanziato ben 310 miliardi per costruzioni di alloggi popolari ed economici nelle zone terremotate, con copertura fino al 1980. Stanziamenti aggiuntivi, sempre per l'edilizia, sono stati sollecitati dalla Regione. L'ESA (Ente per lo sviluppo agricolo) ha ultimato nella zona lavori per cinque miliardi, e ne ha in corso altri per tredici miliardi ed ha in programma l'appalto per altre opere per cinque miliardi. Il CIPE ha approntato un programma di spese per 269 miliardi. Entro l'anno completerà opere stradali, che sono costate 20 miliardi, ha in corso d'appalto opere agricole per altri 53 miliardi. L'ANIC e l'ESPI sono scese nel Belice per alcune iniziative industriali: la costruzione di un cementificio e la realizzazione di un impianto siderurgico per tondini di ferro. Ancora l'ANIC e l'ESPI hanno in programma, con un partner privato, la costruzione a Salemi di un'industria di vetro-resine che dovrebbe assorbire non meno di duecento unità lavorative. L'ESPI ha pure progettato a Gibellina un complesso agro-industriale per l'allevamento in grande stile dei suini.
Una "ballata" di miliardi, nelle zone della ricostruzione del Belice e delle popolazioni disastrate dal terremoto, ma anche una ballata di miliardi che ha attirato nella valle l'attenzione di cosche spregiudicate che si combattono, si associano o si elidono, a seconda degli interessi e delle circostanze, nella corsa verso l'arricchimento. Una mafia che conferma la sua tradizione e concede, nella zona del Belice, il bis della guerra scatenata nel palermitano, tra gli anni 1958 e il 1963, epoca del boom edilizio cittadino. Interessi politici e di parte, creando attorno a così imponenti opere una babele di competenze e di attribuzioni, finiscono, come era accaduto a Palermo, col favorire i piani della mafia. Accaparramenti, con ogni mezzo, di aree di sviluppo (urbanistico, agricolo o industriale), accaparramento di vasti feudi che, desolati dall'arsura fino a ieri, domani vedranno centuplicato il loro valore dalle immense riserve d'acqua che verranno accumulate dalla costruenda diga di Garcia o dalla diga "Arancio" in corso di rilancio nell'agrigentino. Interessi che finiscono col rallentare il ritmo delle realizzazioni a vantaggio degli speculatori, che conoscono bene la legge per l'aggiornamento dei prezzi. Non si spiega altrimenti la disperazione delle popolazioni del Belice, nonostante l'imponenza dei finanziamenti e dei programmi: non si spiegano i perché di tante speranze deluse e della rabbia delle popolazioni del Belice, indignate dalla esasperante lentezza delle opere. Non sono pochi coloro che ancora, dopo nove anni dal terremoto, vivono in baracche. Non si spiega, altrimenti, l'impennata di non pochi deputati regionali, nella seduta di Sala d'Ercole del 16 febbraio scorso: un'impennata sfociata nell'approvazione di una mozione con la quale, tra l'altro, è stata sollecitata un'inchiesta parlamentare per accertare i "gravi ritardi nella esecuzione delle opere nel Belice" ed è stata suggerita l'istituzione di un ufficio speciale tecnico - amministrativo per il coordinamento delle iniziative e dei lavori. In questo quadro, che vorrebbe essere di ripresa e di ricostruzione, dal 1974 in poi, si sono inseriti tre sequestri di persona e una catena spaventosa di omicidi e di attentati. Li esamineremo.
Il colonnello Russo rifiutò il trasferimento in Calabria
In data 21 settembre 1977 apparve sul "Giornale di Sicilia" il seguente articolo di Mario Francese:
L'incredibile storia di appalti e delitti per la diga Garcia. Nel Belice la mafia al suo terzo tempo
I boss spostano l'interesse dagli enti pubblici agli appalti delle super-opere nelle zone terremotate
Il col. Russo lasciò il comando del Nucleo Investigativo mentre indagava su delitti degli ultimi anni e rifiutò il trasferimento a Reggio Calabria
L'escalation dei delitti, dal 1974, ha coinciso col boom di finanziamenti statali e di opere pubbliche tra Garcia e le zone terremotate del Belice. Dopo la tragedia di Ciaculli del 30 giugno del 1963, le organizzazioni mafiose della Sicilia occidentale hanno fatto registrare il terzo tempo della loro continua e progressiva evoluzione. Una mafia "galoppina", con settore preferito il contrabbando, fino al 1963, cioè una mafia che, attraverso appoggi elettorali, sfrutta al massimo le risorse cittadine (edilizia). I "patriarchi" si attestano nella città, abbandonando feudi e campagne e cominciano a tessere le fila di un'organizzazione funzionale a carattere interprovinciale.
Dal 1963, con la massiccia applicazione di misure di prevenzione, la mafia, sparpagliata in tutta la penisola, incomincia a darsi un volto nazionale. I boss, quelli con la "b" maiuscola, rimasti in sede, rivolgono la loro attenzione agli enti pubblici. Dal 1963, infatti, scatta l'era delle "municipalizzate" e degli enti di Stato: un pedaggio che la DC paga all'ingresso del PSI nella maggioranza governativa. E con il fiorire di enti pubblici, parallelamente, dilagano enti misti, cioè enti privati, con partecipazione finanziaria di enti pubblici. Un'epoca che ha un nome battesimale: quella dei "boss dietro le scrivanie". Ed eccoci al dopo-1970. Il dopo terremoto che ha devastato, nel 1968, molti centri del Belice, ha dato l'occasione alla grossa mafia di mutare obiettivi e di evolvere la sua già potente organizzazione. E' una corsa sfrenata alle campagne e ai feudi. Ma i programmi non sono quelli di venti anni prima. L'ansia di valorizzazione di vaste plaghe deserte e di trasformazione di colture tradizionali è solo apparente. Le espropriazioni per la costruzione della diga Garcia hanno dimostrato come 800 ettari di terreno, per secoli incolto, è stato trasformato per ricavare dallo Stato il maggior profitto possibile: un ettaro di vigneto è stato pagato, per far posto alla diga, 13 milioni. La cifra è stata raddoppiata se il proprietario ha dimostrato di essere un coltivatore diretto.
Dal 1970 quindi, abbiamo un terzo stadio evolutivo della mafia: i boss dietro le scrivanie degli enti pubblici, spostano i loro interessi nel retroterra e, in prevalenza, nelle zone della valle del Belice. Una mafia che sta alle calcagna di imprese colossali e di appalti di super - opere. Oltre mille miliardi i finanziamenti per la costruzione del Belice. E nel contempo sorgono una pletora di società private, con finalità non sempre chiare. In città resta posto per i contrabbandieri, per i rapinatori e per le piccole organizzazioni. L'evoluzione della mafia della Sicilia occidentale è costretta però a pagare un prezzo, a volte alto, nella ricerca di equilibri stabili e nella corsa all'accaparramento di privilegi e ricchezze. Ed ogni conquista lascia dietro una scia di delitti.
Abbiamo detto di una catena di agghiaccianti omicidi e di tre sequestri che hanno provocato stupore ed allarme sociale. Giuseppe Russo, la vittima di Ficuzza, piombò nella zona del Belice, esattamente a Roccamena, sin dall'8 settembre 1974, giorno in cui fu rapito il giovane enologo monrealese Franco Madonia, per il cui rilascio (15 aprile 1975), lo zio "don" Peppino Garda ha pagato un riscatto di un miliardo. Il 1° luglio 1975 fu sequestrato il docente universitario Nicola Campisi, rilasciato l'8 agosto, dopo il pagamento di settanta milioni e infine, il 17 luglio, il sequestro senza ritorno del re delle esattorie, Luigi Corleo. A questi tre eclatanti rapimenti sono seguite impressionanti catene di delitti. Si cominciò a Corleone con la soppressione di Biagio Schillaci (27 luglio 1975), si continuò a Corleone con l'attentato a Leoluca Grizzaffi.
Chi è Leoluca Grizzaffi? Un nome che non figura nel "gotha" mafioso. Eppure l'allora maggiore Russo scoprì che il Grizzaffi, era un "intoccabile". Il suo tentato omicidio aveva dunque aperto un capitolo abbastanza drammatico e senza limiti di vendetta. Leoluca Grizzaffi è, infatti, fratello di Giovanni, figlio di Caterina Riina, sorella di Totò, il fedele luogotenente di Luciano Liggio. Riina ha anche sposato segretamente (officiante padre Agostino Coppola), nell'aprile 1974, la maestrina corleonese Antonietta Bagarella, sorella di Calogero, altro luogotenente della "primula". Un affronto, quindi, al clan di Luciano Liggio. Ma i Grizzaffi, oltre ad essere nipoti, sono i più attivi collaboratori dello zio Totò. Giuseppe Russo, ad esempio, ha scoperto che la Zoosicula "Risa" (che si tradurrebbe in Riina Salvatore) aveva, tra l'altro, acquistato il feudo "Rocche Rao" di Corleone, per oltre undici salme. Il fondo fu ceduto in affitto, per un canone irrisorio e per la durata di trenta anni, a Giovanni Grizzaffi, fratello di Leoluca. Avrebbe pagato allo zio o meglio alla "Risa" trenta salme di frumento l'anno. L'attentato dell'ottobre '75 ha provocato quindi nel triangolo Corleone - Roccamena - Partinico la rottura di un equilibrio che ha portato ad una guerra, così come l'attentato di Piano di Scala, nel 1957, aveva portato a sei anni di guerra tra "navarriani" e "liggiani" nel corleonese. Sono questi gli episodi più significativi del dopo sequestro Campisi e Corleo: episodi che indussero il maggiore Russo ad ipotizzare, con maggiore convinzione, l'esistenza di un'asse Liggio - Coppola nell'"anonima sequestri". In quest'epoca si infittisce la rete di società paravento (Solitano, Risa, Sifac, etc.) che, forse intravedendo la possibilità di intrufolarsi in appalti e subappalti, aumentano improvvisamente di svariate decine di milioni i loro capitali sociali. Denaro sporco, riciclato e utilizzato per iniziative pseudo industriali. A Corleone, intanto, la lotta divampa. L'attentato di Grizzaffi fu seguito il 12 gennaio 1976 dall'omicidio dell'autotrasportatore Giuseppe Zabbia: il 13 febbraio successivo eccoci all'omicidio di Francesco Coniglio, impresario di pompe funebri, seguito dall'assassinio di Giovanni Provenzano (4 maggio), dall'omicidio di Rosario Cortimiglia (4 giugno), dalla soppressione del roccamese Giuseppe Alduino (29 agosto), di Giuseppe Scalici (9 gennaio 1977), dalla scomparsa di Onofrio Palazzo (9 luglio), dalla pubblica esecuzione di Giovanni Palazzo (23 luglio). Quindi la faida si sposta a Roccamena, da dove fugge, il 29 luglio, dopo essere scampato ad un attentato, il cavatore Rosario Napoli, in rapporti con la Lodigiani. Il 30 luglio è il turno di Giuseppe Artale, guardiano dell'impresa Paltrineri, assassinato sul ponte San Lorenzo. Il 10 agosto poi, il tiro dei killer si sposta a Mezzojuso, dove viene freddato Salvatore La Gattuta e, infine, la spirale si chiude a Ficuzza, con la duplice esecuzione del colonnello Giuseppe Russo e dell'insegnante Costa.
Una spirale apertasi a Corleone e che, nel suo vortice, racchiude l'altra catena di attentati e delitti avvenuta in parallelo nel trapanese. Il 26 febbraio 1976 sulla Mazara - Punta Raisi furono feriti il geometra - imprenditore Pietro Lombardino e il suo amico Stefano Accardo, il 5 aprile furono assassinati, a Marsala, Silvestro Messina ed Ernesto Cordio, quattro giorni dopo, a Mazara, fu il turno di Antonino Luppino. Gli ultimi omicidi sono recentissimi (del luglio e dell'agosto scorsi). A Monreale, intanto, erano stati fatti fuori Remo Corrao (dicembre 1975), il suo socio Aloisio Costa (22 gennaio 1976). Due gravi delitti seguiti dall'uccisione, a San Cipirello, di Enzo Caravà (12 aprile 1976), a Mazara, di Agostino Cucchiara (25 agosto), a Castelvetrano, di Baldassare Ingrassia (11 dicembre 1976). Delitti preceduti dalla soppressione a Partinico e Balestrate di Angelo Genovese e Angelo Sgroi.
Giuseppe Russo lasciò il comando del nucleo investigativo mentre indagava per questi delitti. Diceva di volere andare in "pensione". E' certo che rifiutò il comando del gruppo di Reggio Calabria. Si dice che durante la "convalescenza" abbia tentato la carta delle pubbliche relazioni per conto di grosse imprese impegnate anche nella zona del Belice. La sua morte ha aperto dei grossi interrogativi cui lui soltanto, forse, avrebbe potuto rispondere con certezza: è caduto per essersi introdotto in un terreno per lui minato dalle approfondite indagini che aveva fatto anche sul conto di imprese intrufolate nella costruzione del Belice? O è caduto per mano di chi si è ostinato a vedere in Russo ancora il "segugio" alle calcagna della mafia organizzata, piuttosto che il borghese, per poco ancora in divisa, avviato su strada nuova, anche se per conto di supersocietà? O piuttosto questo duplice delitto di Ficuzza, dietro la clamorosità del fatto, non nasconde una terza causale?
affiancate da forze politiche e sindacali di un ampio schieramento.
La sentenza in questione è quella della Corte di Assise di Palermo, presidente Leonardo Guarnotta, contro Salvatore Riina +9.
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