In questo articolo, Mario Francese riporta le parole dell’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino, che si difende dall’accusa di essere un mafioso rivoltagli dall’ex senatore Girolamo Li Causi. L’ex primo cittadino, uno dei principali referenti politici dei “corleonesi”, rimane zitto durante il processo, ma all’uscita dall’aula chiosa: «Ero quasi tentato di rispondergli, in maniera suggestiva: sì, sono un mafioso, ma non per i motivi che dice lui»
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Anche su uno dei principali referenti politici dei “corleonesi”, l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, Mario Francese scrisse un caustico articolo, nel quale si ponevano in risalto le domande che, nel processo sorto da una querela presentata dal Ciancimino, erano state poste a quest’ultimo sulla sua qualità di mafioso e su alcune gravi condotte di abuso amministrativo addebitategli. L’articolo, pubblicato sul "Giornale di Sicilia" dell’8 aprile 1975, è di seguito trascritto:
Il processo Ciancimino - Li Causi. “Insomma lei è un mafioso?” L'ha chiesto all'ex sindaco l'avvocato Tarsitano - Il tribunale non ha ammesso la domanda
L'udienza di ieri del (processo alla terza sezione del tribunale) promosso dall'ex sindaco Vito Ciancimino all'ex senatore Girolamo Li Causi, accusato di diffamazione, per una parte, è stata caratterizzata da un nuovo «scontro» a distanza tra l'avv. Lorenzo Pecoraro e lo stesso Ciancimino e, per il resto, dalla seconda parte della deposizione del capogruppo consiliare della DC che, com'è noto, sin dal 21 marzo scorso ha chiesto ed ottenuto di illustrare il suo lungo curriculum di amministratore comunale. Anche ieri, come nella precedente udienza, Ciancimino è stato sottoposto ad una trafila di domande di cui una a bruciapelo di uno dei difensori di Li Causi, avv. Fausto Tarsitano, il quale ha chiesto alla parte lesa: «Lei è mafioso, oppure la polizia, i carabinieri e gli altri si sono sbagliati sul suo conto?». La domanda, per l'opposizione del pubblico ministero Geraci, non è stata posta al teste, ma Ciancimino, uscendo dall'aula, ha così commentato la richiesta di Tarsitano: «Ero quasi tentato di rispondergli, in maniera suggestiva: si, sono un mafioso, ma non per i motivi che dice Li Causi». Ha poi aggiunto: «Domani dimostrerò al tribunale che non sono né mafioso né un colluso».
Ad inizio di udienza, il presidente Agrifoglio ha dato lettura di una lettera inviata al tribunale dall'avv. Lorenzo Pecoraro, il quale ha dichiarato di volersi querelare (come poi in effetti ha fatto) per alcune affermazioni di Ciancimino nell'udienza del 21 marzo. In particolare, secondo la lettera, l'ex sindaco, in quella occasione, avrebbe dichiarato: «Questo Pecoraro è uno sciocco che fa falsi grossolani, avendo fatto comparire di avere la disponibilità di 5000 metri quadrati di terreno, mentre ne aveva molti di meno». La lettera di Pecoraro illustra quindi l'iter della pratica per la concessione alla società Aversa di una licenza di costruzione e conclude affermando che tale licenza gli venne rilasciata solo dopo che egli «ritrattò le accuse (che avevano formato oggetto di procedimento penale) nei confronti di Ciancimino».
Invitato sul pretorio per la seconda parte della sua deposizione, Vito Ciancimino ha chiesto ed ottenuto di esibire al tribunale copia di un giudizio, già agli atti, espresso dall'on. Giuseppe Alessi in sede di commissione Antimafia sull'avv. Pecoraro («secondo me è un avvocato che disonora la toga per essersi rivolto ad un capomafia, Cola Di Trapani, per ottenere una licenza di costruzione»). In proposito ha annunciato di riservarsi di denunciare l'avv. Pecoraro per calunnia, precisando che la società Aversa, di cui era socio Pecoraro, «presentò un piano di legittimazione dichiarando di avere una disponibilità di terreno che gli consentiva di costruire edifici per 20 mila metri cubi mentre, in effetti, poi risultò che l'estensione era inferiore a quella dichiarata».
PUBBLICO MINISTERO: La ritrattazione dell'avv. Pecoraro fu spontanea?
CIANCIMINO: A parte il fatto che lo stesso Pecoraro dichiara nella lettera di averla rilasciata su sollecitazione dei suoi soci, io non avevo alcun motivo per richiederla, in quanto in quel periodo avevo avuto l'archiviazione della denunzia presentata da Pecoraro e ritengo che la decisione del giudice, adottata su conforme richiesta del pubblico ministero, sia molto più autorevole della ritrattazione di chicchessia.
Chiusa la parentesi Pecoraro, si è entrati nel vivo del processo Li Causi, con una domanda dell'avv. Tarsitano che, con Salvo Riela, difende l'ex parlamentare comunista.
TARSITANO: Il 29 novembre 1959, il principe Lanza di Scalea presentò richiesta per la demolizione della villa Deliella (piazza Croci). La licenza gli venne concessa lo stesso giorno e durante la notte la villa fu demolita. Quali vantaggi ha ricavato Ciancimino dal rilascio della licenza?
CAMPO (patrono di parte civile): Si specifichi la natura di questi vantaggi.
CIANCIMINO: La domanda è offensiva. Comunque, su questa licenza sono stati dati precisi chiarimenti nelle controdeduzioni al rapporto Bevivino che sono allegate a questo processo. Specifico che il vincolo era stato revocato dal ministero della Pubblica Istruzione. Aggiungo che fui io a fare imporre il vincolo sull'area risultante dalla demolizione. La mia decisione fu preceduta da un regolare esame da parte della sezione competente e, comunque, una volta tolto il vincolo dal ministero, avrei commesso un abuso se avessi negato l'autorizzazione.
TARSITANO: E' vero che furono approvate varianti al "piano regolatore" per rendere edificabili alcuni terreni appartenenti a mafiosi?
CIANCIMINO: Questa domanda si rifà ad un libello stampato dal Partito Comunista. Rispondo: si tratta di cinque o sei casi, di fronte ai 1.800 di cui si occupò il consiglio comunale. Aggiungo ancora che, in consiglio comunale, nessun consigliere, di nessuna parte politica, sollevò eccezioni o fece rilievi sui ricorrenti che chiedevano modificazioni al "piano regolatore".
A questo punto la bruciante domanda finale dell'avv. Tarsitano («E' lei mafioso?» non posta dal presidente il quale ha rinviato il proseguimento della causa a stamane.
La sentenza in questione è quella della Corte di Assise di Palermo, presidente Leonardo Guarnotta, contro Salvatore Riina +9.
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