Il rumore provocato dall’ennesimo scandalo nel mondo del calcio si è già attutito. Spese parole di circostanza, stigmatizzate le poche mele marce, tutto sembra destinato a rimanere inalterato. Forse per una volta si poteva aprire una discussione sulle nuove generazioni di calciatori e il contesto pedagogico nel quale sono stati immersi prima di arrivare ai campi della Serie A. Capire come si fossero trovati ad affrontare alcune questioni che vanno al di là della performance sportiva.

Sarebbe stato utile per comprendere come funziona nel nostro paese l’avvicinamento alla pratica del calcio, chi si incarica di selezionare i più dotati tra tutti quei ragazzi, e quali esperienze si ritiene necessario affrontino quelli così promettenti da cullare il sogno di diventare giocatori professionisti.

Il discorso sull’introduzione al calcio e allo sport, a differenza di altri paesi, non è stato mai considerato compito della scuola. Questo determina fin dai primi anni una propensione alla selezione e alla cura del gesto tecnico molto più che a una crescita complessiva, anche etica e valoriale, dei bambini che diventano adolescenti, e adulti, senza un adeguato patrimonio culturale alle spalle.

Benché, in anni più recenti, alcuni importanti documenti come le Indicazioni nazionali per il curricolo, abbiano operato dei cambiamenti, lo spazio delle attività fisiche, del corpo, e dello sport (che non è la sola ma certo una importante dimensione in cui il corpo è al centro della relazione educativa), è risultato essere molto limitato e di fatto insufficiente. Ancora oggi di fatto scolarizzare significa, nella nostra scuola, insegnare a stare seduti e fermi.

Sempre un passo indietro

Se la scuola fa sempre un passo indietro, di fatto è nei campi delle società sportive private, che i bambini hanno imparato a confrontarsi con le proprie abilità motorie, balzi e giravolte, salti e rotolamenti, afferrare una palla al volo, lanciarla e bloccarla.

È nei circoli sportivi privati che bambini e bambine hanno dovuto elaborare il loro personale rapporto con la sconfitta e con la vittoria, con il successo e l’insuccesso, con il proprio sogno di affermazione e di notorietà, con le naturali esigenze di primeggiare e superare agli altri.

Quali dispositivi psicologici, didattici, culturali sono stati messi in piedi in questi contesti per accompagnare i bambini nel processo di costruzione delle risposte necessarie ad affrontare queste sfide educative? Quale percorso è stato pensato per accompagnare i pochissimi che riescono a raggiungere un’abilità atletica che potrebbe farli diventare dei professionisti?

Promuovere la crescita

Non è così per il calcio? Ci si focalizza sula formazione dell’atleta in una direzione tutta disciplinare, centrata solo sulla tecnica, e si rinuncia a promuovere una crescita che riguardi anche gli aspetti extra-sportivi. Sarebbe importante invertire la tendenza e far sì che si chiedesse alle scuole calcio di allargare il campo delle esperienze che offrono a chi le frequenta. Perché non leggere delle storie ad alta voce alle fine degli allenamenti o alla fine delle partite insieme agli avversari, tutti seduti a centrocampo?

Come possiamo pretendere che i giovani calciatori si indignino per una svastica allo stadio, che si rifiutino di continuare una partita quando qualcuno in campo viene offeso con insulti razzisti, se prima non hanno mai affrontato un momento di riflessione su questi temi?

Se gli educatori con cui hanno condiviso un numero enorme di ore a inseguire un pallone non gli hanno mai proposto di fermarsi, di lasciar rotolare lontano la palla e concentrare l’attenzione su un argomento come la discriminazione o la violenza?

Edoardo Galeano diceva che non era colpa del calcio se il popolo non pensava. Il calcio è utile alle classi dominanti per costruire quell’egemonia culturale che perpetua nella società gli stessi squilibri economici e politici, è sì uno strumento di distrazione di massa; ma, come diceva Galeano, ci sono ancora tutti i margini per recuperare terreno e riconquistare spazi per una pedagogia democratica del calcio, che abbia valori e principi diversi da quelli dominanti.


Giovanni Castagno, è insegnante di scuola primaria responsabile dell’Esquilino FC

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