- Gravina aveva costituito un asse col presidente milanista Paolo Scaroni, cui avrebbero dovuto prendere parte le tre di Superlega e altre fra cui il Toro di Urbano Cairo. Ma secondo indiscrezioni la Juventus si sarebbe tirata indietro.
- Con Lotito trionfano De Laurentiis (Napoli) e Joe Barone (braccio destro di Rocco Commisso, Fiorentina). Quest’ultimo avrebbe contribuito a spostare verso Casini il voto dei club “americani”.
- Adesso le due anime contrapposte ai vertici del calcio nazionale dovranno decidere se cooperare o continuare a farsi la guerra. Ma l’appuntamento degli spareggi mondiali potrebbe essere fatale al presidente Figc.
Eletto a maggioranza semplicissima. Da ieri il quarantacinquenne Lorenzo Casini è il nuovo presidente della Lega di Serie A ma soltanto grazie allo scarto minimo, reso possibile perché si era giunti alla terza votazione.
Lo hanno infatti votato appena 11 delle 20 società che compongono l’assemblea della cosiddetta Confindustria del calcio italiano. Che così hanno evitato il commissariamento da parte della Figc, cui si sarebbe giunti in caso di mancata elezione entro il 24 marzo. Ma a che prezzo viene raggiunto questo risultato? E con quali prospettive?
Allievo di Cassese, voluto da Lotito
Classe 1976, romano, docente di diritto amministrativo e capo di gabinetto del ministero della Cultura, Casini può vantare due padrini, uno culturale e uno calcistico.
Il padrino culturale è il professor Sabino Cassese, di cui Casini è stato allievo. Il padrino calcistico è invece Claudio Lotito, proprietario e presidente della Lazio, quello che se c’è da trascinare la partita sulla tattica e sul piccolo-medio cabotaggio risulta imbattibile. E poiché il cabotaggio dell’attuale calcio italiano è ai minimi storici, ecco che Lotito si trova perfettamente nel suo elemento.
L’elezione di un presidente di Lega con uno scarto minimo è a suo modo un trionfo del lotitismo, con sconfitta del fronte faticosamente costruito sull’alleanza fra il presidente federale Gabriele Gravina e il presidente milanista Paolo Scaroni.
Quel fronte, che avrebbe dovuto aggregare le grandi società del nord, era in realtà molto più fragile di quanto si pensasse. Avrebbe dovuto reggersi su un’anima forte, costituita dai tre club che un anno fa hanno tentato la sciagurata avventura della Superlega, con l’aggiunta di un Urbano Cairo sempre lieto di essere la zanzara che si pone in scia al casino degli elefanti e di altri che potessero aggregarsi.
E invece è finita malissimo. Perché almeno due voti non accreditati si sono aggiunti ai nove che alla vigilia erano dati come dote certa per Casini (oltre a quella della Lazio erano conteggiate le preferenze di Empoli, Genoa, Fiorentina, Hellas Verona, Napoli, Sampdoria, Spezia e Udinese).E c’è chi giurerebbe che uno di quei due voti appartenga alla Juventus, che dunque avrebbe rotto il fronte superleghista del nord.
Sicché è possibile indicare vincitori e vinti di questa partita. Nella lista dei primi, oltre a Lotito, vanno annoverati Aurelio De Laurentiis (presidente e proprietario del Napoli) e Joe Barone, braccio destro di Rocco Commisso (presidente e proprietario della Fiorentina) cui si accredita un lavoro importante per convincere le proprietà americane a convogliare i voti sul candidato di Lotito.
Fra i perdenti, oltre alla coppia Gravina-Scaroni, c’è il solito Urbano Cairo. Che non ne azzecca una e ormai è un predittore certo degli eventi politico-calcistici: a seconda di dove si schiera, il vento tirerà dalla parte opposta.
Conflitto o cooperazione?
Per il neo-presidente si tratterà comunque di una missione complicata. Dovrà governare un duplice fronte conflittuale, sia quello interno (dove le società litigano su tutto, facendo e disfacendo alleanze) che quello esterno.
Quest’ultimo riguarda i rapporti con la Figc, che adesso si trova un presidente di Lega espresso dal “nemico” Lotito. Gravina avrebbe voluto che quella poltrona andasse a Andrea Abodi, ex presidente della Lega di Serie B e attualmente al vertice dell’Istituto per il Credito Sportivo. Le cose sono andate diversamente. Inoltre, la mossa dello stesso Abodi di tenersi lontano dalla votazione di ieri nella speranza che fallisse anche quella per presentarsi da candidato forte alla successiva, non è piaciuta a molto.
E dunque spazio a Casini. Che non è “l’altro Casini” (Pierferdy, che un mese fa veniva dato fra i papabili per guidare la Lega di Serie A) né il presidente della vera Confindustria, Carlo Bonomi (altro nome bruciato nel calderone). Inoltre il nuovo presidente dovrà rompere la sequenza dei presidenti dimissionari dopo soli due anni di mandato, come i predecessori Gaetano Micciché e Paolo Dal Pino.
Di sicuro non ha molto da perdere e vista la giovane età potrebbe anche portare una ventata di innovazione. Ma a patto di non lasciarsi stritolare dalla litigiosità dei suoi presidenti o dalle contrapposizioni con Gravina. Che dal canto suo adesso è in posizione molto delicata. E in vista dei playoff mondiali di fine mese, con la nazionale che rischia la seconda assenza consecutiva dalle fasi finali, suda freddissimo. Perché se ai nemici ringalluzziti si aggiungeranno i rovesci storici, la sua sorte sarà segnata.
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