Due delle autrici premiate a Bruxelles per l’inchiesta pubblicata anche su Domani raccontano la cerimonia e il senso del premio intitolato alla reporter maltese uccisa. L’inchiesta ha rivelato che almeno 51.433 minori migranti non accompagnati sono scomparsi dopo essere arrivati nei paesi europei
Queyn e Hieu sono due giovanissimi vietnamiti che, una volta arrivati in Olanda, vengono intercettati da un’organizzazione internazionale di traffico di esseri umani mentre sono accolti in un centro per minori stranieri non accompagnati. Un mese dopo, il 23 ottobre 2019 vengono ritrovati morti assieme a una decina di connazionali nel container frigo di un camion in Essex, UK. Nel mezzo una rete criminale, ma anche il disinteresse delle autorità che avrebbero dovuto proteggerli.
Quella di Queyn e Hieu è una delle prime storie seguite e raccontate da Lost in Europe, il progetto di giornalismo cross border che ormai da anni si occupa di quelli che in Italia chiamiamo minori stranieri non accompagnati, MSNA, minorenni migranti che arrivano da questa parte del mondo senza famiglia.
Il progetto di giornalismo transfrontaliero ha appena vinto il premio Daphne Caruana Galizia per il giornalismo 2024 con la sua inchiesta, pubblicata in contemporanea in diversi paesi europei, che ha rivelato che almeno 51.433 minori migranti non accompagnati sono scomparsi dopo essere arrivati nei paesi europei tra il 2021 e il 2023.
La cerimonia si è svolta a Strasburgo, con la presidente del Parlamento Ue Roberta Metsola. Presente alla premiazione anche il figlio di Daphne Caruana Galizia, Matthew.
Dall'inchiesta, condotta con la collaborazione di un gruppo di media in Germania, Italia (con l’agenzia di stampa Ansa e con Domani), Grecia, Paesi Bassi, Belgio, Irlanda e Regno Unito, è emerso che 47 minori migranti al giorno semplicemente svaniscono nel nulla in tutta Europa. Se ne perde traccia. Uscendo dai circuiti ufficiali, sono proprio loro a divenire prede privilegiate di reti criminali, di sfruttamento lavorativo e anche sessuale. O anche solo, semplicemente, di perdersi. È nel loro confronti che le istituzioni europee mancano, perché dei loro destini avrebbero la responsabilità.
Oltre 300 giornalisti e giornaliste hanno partecipato al premio con lavori da tutta Europa: il numero più alto di sempre per questa quarta edizione del premio dedicato alla giornalista maltese uccisa il 16 ottobre 2017, poco tempo dopo i Panama Papers e la pubblicazione di inchieste che hanno scosso dalle fondamenta l’intera politica maltese.
Sono passati 7 anni da allora. «Il parlamento ha deciso di continuare a far sentire la voce di Daphne Caruana Galizia. Il suo costante impegno contro la corruzione», ha detto ieri la presidente Roberta Metsola nel corso della cerimonia. «L’impatto del suo lavoro non è stato fermato. Ogni giorno dobbiamo essere all’altezza del suo sacrificio. Per tutti i giornalisti e le giornaliste sotto attacco in Europa e nel mondo». «Vorrei che questo premio fosse dedicato ad altro», ha aggiunto Metsola, «e che Daphne fosse qui con noi».
Il premio viene destinato al “giornalismo di eccellenza che promuove o difende i valori fondamentali dell’Ue” e viene assegnato ogni anno intorno al 16 ottobre, data dell’assassinio della giornalista. Come “antenne” italiane del gruppo Lost in Europe, che ormai conta 28 reporter in 14 paesi europei, siamo, con i nostri colleghi e colleghe, onorate. Anche incredule.
Basta scorrere tra le inchieste finaliste per trovare, davvero, lavori di giornalismo di eccellenza: questo riconoscimento all’inchiesta di Lost in Europe è quindi un’eredità ancora più pesante. Alcune sono state citate nel corso della cerimonia: quella in Estonia, che racconta il potere russo nel manipolare la popolazione a partire dall’indottrinamento di bambini e bambine nelle scuole. Si parla del Mare Nostrum come l’epicentro della crisi climatica, delle negoziazioni europee nel mercato della salute e farmacologico, di Libia, discariche, mine, pedopornografia. O ancora, per restare in tema migratorio, dell’esclusione di persone migranti qualificate dai posti di lavoro di cui l'Europa ha più bisogno per prevenire il declino economico, o dei fondi europei per l’immigrazione che arrivano al nord Africa, proprio nei paesi in cui le persone rifugiate vengono portate nel deserto e semplicemente lasciate morire.
Quale giornalismo, quale Europa?
L’inchiesta che ha vinto l’edizione dell’anno scorso, d’altro canto, raccontava di tutte le omissioni di soccorso della guardia costiera greca nel naufragio del peschereccio “Adriana”, avvenuto il 14 giugno 2023 al largo della costa di Pylos, in Grecia.
Questo premio porta contraddizioni e sfide. Sbatte in faccia interrogativi cruciali. Qual è la gestione europea del tema migratorio?
La Fortezza Europa viene costantemente raccontata dalla società civile ma anche dai fatti, e da un giornalismo che prova a ricostruirli.
Nessun respingimento, da parte dell’Europa, men che mai di minorenni in paesi non sicuri: un passaggio di diritto europeo che, per il momento, resiste. Ma soldi, e tanti, alle istituzioni e alle (sedicenti) guardie costiere dei paesi a cui abbiamo esternalizzato la gestione dei confini, e che spesso sono quegli stessi paesi non sicuri in cui nessuno dovrebbe essere respinto. Respinto no, intrappolato (anche) a spese dell’Europa sì?
Le parole che vengono usate, i toni sono quelli che servono a polarizzare l’opinione pubblica: è per questo che la sfida non è solo politica, ma anche giornalistica, ed è l’altra contraddizione che questo premio racconta. Inchieste come quella di Lost in Europe, di Solomon, inchieste come quelle di Daphne Caruana Galizia costano. Ci vuole tempo, ci vogliono risorse per raccontare sul campo. Molti di questi progetti (tutti) vanno avanti con grant europei e con varie e variegate modalità di autofinanziamento pubblico e privato. È vero, abbiamo trovato partner editoriali entusiasti del lavoro e delle storie che abbiamo provato raccontare, ma sono pochi i media outlet che avrebbero le risorse e di conseguenza la volontà di dedicare il tempo necessario a un’inchiesta del genere.
Quindi: qual è il giornalismo che vogliamo? E in quale Europa lo vogliamo?
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