«Mi disse che in passato era stato con Michele e che adesso c’era il figlio a gestire gli affari». Si riferiscono a Vincenzo Senese, figlio di Michele ‘o Pazzo, capo della malavita a Roma, le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia messe nero su bianco nell’ordinanza della giudice del tribunale capitolino, Emanuela Attura, che questa mattina ha portato agli arresti di 18 persone con l’accusa di far parte di due associazioni dedite a estorsioni, usura, riciclaggio, autoriciclaggio e altri reati aggravati dall'aver agevolato i clan di camorra Mazzarella – D'amico, le cosche della 'ndrangheta Mancuso e Mazzaferro e, appunto, il clan Senese.

E nelle carte dell’indagine da cui è scaturita la maxi operazione della Direzione investigativa antimafia – Centro operativo di Roma e della locale Dda c’è un altro figlio d’arte, verso cui, come per Vincenzo Senese, è stata disposta la misura della custodia cautelare in carcere.

Si tratta di Antonio Nicoletti. Il padre, scomparso nel 2020 all’età di 84 anni, è Enrico, storico cassiere della banda della Magliana. Per gli investigatori Nicoletti jr ha «avuto un ruolo chiave» nell’intramontabile «intreccio tra imprenditoria, politica e mafia» che caratterizza Roma.

Una Roma criminale dove, di padre in figlio, l’obiettivo rimane quello di «esprimere un controllo sul territorio». È proprio all’ombra del cupolone che infatti «le mafie tradizionali – si legge nelle carte giudiziarie –, coinvolgendo la malavita romana, hanno cercato di mettere a frutto il potenziale criminale attraverso una rete che ha inquinato il tessuto economico-sociale».

Dalla cinematografia all’edilizia, passando per il commercio di autovetture, fino al settore degli idrocarburi. La struttura criminale messa in piedi ha cercato di prendersi tutto. «Le due associazioni attraverso una strategia di sommissione riciclavano ingenti profitti (…) e in tale contesto sono state costituite numerose società fittizie per emettere false fatturazioni grazie al supporto fornito, tra gli altri, da imprenditori e da liberi professionisti».

A questo proposito tra gli indagati c’è anche Andrea Betrò, che tra le altre cose «partecipava – scrive il giudice – all’associazione prendendo parte alle decisioni strategiche indicate (…) per conto del clan Mancuso e da Marcori Roberto (esponente della destra eversiva romana, poi legatosi a Michele Senese, anche lui arrestato questa mattina, ndc) e assumendo incarichi formali nelle società gestite dall’associazione con la piena consapevolezza degli investimenti provenienti dalla criminalità organizzata mafiosa».

Betrò, commercialista vibonese, è editore di Dillinger (la società Dillinger srl ora risulta in liquidazione), la creatura di Fabrizio Corona, sebbene l’ex re dei paparazzi all’interno della società non abbia mai ricoperto un ruolo ufficiale. E vanta anche una rete di amicizie e relazioni “eccellenti”. Tra tutti, come ricostruì Domani lo scorso anno, quella con Nicolò Pollari, potente e discusso capo dei servizi segreti negli anni di Berlusconi.

Insieme a lui nell’operazione Assedio sono indagate altre 56 persone.

© Riproduzione riservata