L’idea di un gruppo d’intervento operativo che dovrebbe sedare e contenere le rivolte in carcere
L’acronimo è Gio. E indica il gruppo d’intervento operativo che dovrebbe sedare e contenere le rivolte in carcere. È stato presentato nei giorni scorsi, con toni trionfalistici, dal sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro Delle Vedove, che ha indicato in quello francese il modello seguito, dimenticando le criticità emerse negli anni, la carenza di personale e anche i fallimenti che da sempre hanno segnato gli interventi di gruppi esterni negli istituti del nostro paese. Andiamo con ordine e ripartiamo dalle ragioni che hanno spinto il governo a creare questo nuovo gruppo.
«Per chiunque non abbia le lenti deformanti dell’ideologia, quanto accaduto nel marzo 2020 testimonia la necessità di avere un gruppo specializzato nel contenimento delle rivolte o per fronteggiare situazioni emergenziali», ha detto Delmastro. Senza dubbio nel marzo 2020 ci sono state rivolte violente e cruente in un contesto emergenziale per l’arrivo del Covid, con il secondo governo Conte impreparato a gestire la pandemia in carcere, affrontata con la sospensione dei colloqui, decisione che aveva scatenato le proteste.
Il sottosegretario ha parlato di lenti deformanti. Quattro anni fa da deputato di opposizione voleva premiare con l’encomio solenne gli agenti penitenziari protagonisti delle inaudite violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, il 6 aprile 2020, fatti che Delmastro raccontava in modo totalmente distorto, parlando di una «violentissima rivolta il 5 aprile (il giorno prima delle violenze, ndr)», rivolta che non c’era mai stata.
Proprio nel carcere casertano il pestaggio generalizzato è stato messo a segno da un gruppo d’intervento creato dall’allora provveditore regionale Antonio Fullone. Da chi era composto? Da aliquote di personale proveniente da altri istituti, un’esperienza che aveva ricordato, nei dirigenti dell’amministrazione penitenziaria più esperti, quanto era accaduto a Sassari nel 2000. Anche in quel caso era finita con botte e violenze, dimostrando che l’invio negli istituti di personale esterno favorisce quell’esito. Il sottosegretario ha spiegato che tutti gli agenti saranno dotati di bodycam per tracciarne la correttezza dell’operato, che prima di ogni intervento ci sarà una negoziazione, e l’uso della forza sarà solo graduale e solo in caso di estrema necessità.
Il modello francese
Ma a quale modello si è ispirato il governo? «Sarà un gruppo altamente specializzato nell’uso di tecniche operative per garantire sicurezza. Il modello è quello dell’Eris francese, abbiamo scoperto che da quando esiste sono diminuite le criticità negli istituti penitenziari del 90 per cento, come in quel modello anche Gio avrà un negoziatore», ha ricordato.
Proprio sul modello francese, in passato, ci sono stati giudizi critici da parte dell’organismo europeo che si occupa di tutela dei diritti dei detenuti. «Il comitato europeo per la prevenzione della tortura fa delle visite periodiche nei vari paesi europei nelle carceri e non solo. Alla fine di queste ispezioni realizza un rapporto che viene inviato alle autorità. In passato, sia nel 2003 sia nel 2006, c’è stato un focus proprio su Eris, ed emergevano alcune anomalie e criticità, in particolare in alcuni interventi il rapido abbandono di ogni strada improntata al dialogo. Non lo prenderei a modello per il nostro paese», dice Mauro Palma, ex garante dei detenuti in Italia, che ha fatto parte e poi presieduto il comitato internazionale.
In alcuni video di canali francesi si vedono gli agenti dei gruppi speciali all’opera. Si calano dall’alto, intervengono con decisione, e più che a un negoziato sembrano pronti alla guerra. Ma di certo saranno le lenti deformanti dell’ideologia.
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