Ci sono manganelli e manganelli, pensavo in questi giorni strani, in cui accadono cose che sono sempre successe, ma sembra che non siano successe mai. Perché non so se sia un problema di memoria breve o di imperdonabile distrazione, ma i manganelli sugli studenti sono una moda che non ha inaugurato Giorgia Meloni e sebbene non mi aspetti che il governo Meloni passi a reprimere le manifestazioni studentesche con rose e altri fiori profumati, ciò che ho sentito dire dall’opposizione nelle ultime ore è ipocrisia distillata.

Quello che è accaduto agli studenti che manifestavano in corteo alla Sapienza contro la presenza di un convegno con Fratelli d’Italia sul capitalismo etico (ovvero manganellate in testa e ovunque capitasse) non solo non è nulla di nuovo, ma è un prassi gravissima e puntualmente ignorata da stampa e politica negli ultimi anni, con governi diversi, in stagioni politiche diverse.

L’indignazione

Il fatto che (quasi) tutti se ne accorgano solo ora, è indignazione non solo tardiva, ma pure ridicola. Ridicola perché se è grave quello che è accaduto a Roma (e lo è), mi tocca rinfrescare la memoria quell’opposizione fino ad oggi troppo distratta da battaglie più instagrammabili di una manganellata in testa a un ragazzino.

Ricordo, per esempio, cosa è accaduto a Torino lo scorso gennaio, quando dei ragazzi che manifestavano pacificamente dopo la morte di Lorenzo, il giovane di 18 anni deceduto durante l’ultimo giorno di alternanza scuola lavoro, sono stati manganellati con una brutalità spaventosa. Ci furono venti studenti feriti, alcuni furono portati via da ambulanze, altri furono ridotti in stato di shock con traumi alla testa e al corpo.

Un poliziotto mise le mani al collo a un ragazzo con un altoparlante in mano, un ragazzo che chiedeva perché stessero manganellando dei quindicenni. E le stesse scene si erano viste a Roma e a Milano, sempre durante manifestazioni pacifiche, sempre  con l’utilizzo di una violenza spropositata nei confronti di ragazzi spesso minorenni, che al massimo tiravano qualche uova piene di vernice.

Lo so perché una manganellata se l’è presa anche mio figlio diciassettenne, durante una di quelle manifestazioni a gennaio, ed era disarmato, ben lontano dalla prima fila del corteo. Dopo cinque mesi l’ematoma alla testa non era ancora rientrato, in compenso abbiamo avuto una perquisizione in casa per due gravissime accuse: durante un corteo per l’ambiente lanciava della vernice lavabile sul muro ed esibiva uno striscione per occultare le gravi azioni degli amici alle sue spalle: attaccavano dei volantini sul vetro di una banca. Tutto archiviato per tenuità del fatto, ma perquisizione, convocazione in questura, la spada di Damocle di un processo restano.

Gli altri 

Sarò stata molto distratta, in quei giorni, ma non ricordo una particolare indignazione della politica, se si escludono Nicola Fratoianni e Marco Grimaldi di Sinistra Italiana. Ah sì, un tiepido tweet di Enrico Letta-occhi-di-tigre che rilasciò una ferocissima dichiarazione: «Sulla questione di ordine pubblico chiediamo che siano date risposte, questa è una vicenda abbastanza grave, abbiamo già chiesto e lo chiederemo». Abbastanza grave.

Dei ragazzi minorenni finiti ingessati, ricoverati, con la testa spaccata e questa era la reazione del segretario del Pd. E sia chiaro, in città come Torino sono anni che le manifestazioni giovanili vengono soffocate con l’utilizzo sportivo dei manganelli e che si ricorre a misure restrittive sproporzionate nei confronti di manifestanti giovanissimi e non violenti.

Solo a fine luglio, sempre a Torino, durante il Climate Social Camp sono stati denunciati moltissimi ragazzi per aver distribuito volantini, per aver girato dei video, per essere stati presenti mentre degli attivisti si incatenavano a un balcone con tanto di fogli di via dalla città e imputazioni ridicole che vanno dall’invasione all’invasione aggravata.

Non ho letto una grande preoccupazione, negli anni, per questa inquietante continuità col metodo Diaz.

Provocatori

E proprio in seguito alle violente cariche di gennaio, durante l’impeccabile, infallibile governo Draghi, la ministra Luciana Lamorgese fu illuminante nelle sue dichiarazioni. Parlò di “presenza di provocatori” e di “cariche di alleggerimento”. I leggerissimi manganelli sulle teste di quindicenni.

La stampa locale e nazionale, nella maggior parte dei casi, si limitò a fare copia e incolla dei comunicati della questura torinese che inventava, per esempio, la presenza di minacciosi furgoni in testa al corteo, a Torino. Ora, improvvisamente, arrivata Giorgia Meloni le cariche di alleggerimento diventano manganellate. 

«Le manganellate agli studenti sono un pessimo battesimo per questo governo, presenterò subito un’interrogazione parlamentare. È questa la nuova strategia di gestione dell’ordine pubblico?», ha twittato Chiara Gribaudo del Pd. Secondo lei questa sarebbe la nuova gestione dell’ordine pubblico, non una gestione in perfetta continuità con quella di precedenti governi di cui il suo partito faceva parte.

Dove stanno i fascisti

Ora, strumentalizzazione politica a parte, se qualcuno finalmente si accorgesse davvero di quello che da anni capita ai ragazzi che manifestano, senza che l’indignazione duri il tempo di un tweet, potrebbe essere una buona notizia. Finalmente i giovani hanno l’attenzione che meritano sulla questione. E invece no.

Perché se l’opposizione si preoccupa solo di colpire il nuovo governo fingendo che le repressioni violente siano una novità, il governo (e la finta opposizione alla Calenda) si preoccupa di colpevolizzare gli studenti, in un incredibile capovolgimento di ruoli. «Durante le cariche i fascisti erano dall’altra parte? Sì. Detesto Capezzone ma da liberare rivendico il suo diritto a parlare in ogni sede. Le cariche ci sono state perché gli studenti volevano impedire di far parlare una persona all’università e questo è inaccettabile», ha dichiarato Carlo Calenda.

Dunque gli studenti sono fascisti perché, per esempio, ritengono che questo governo sia di matrice fascista. E manifestare pacificamente a 18 anni per le proprie idee è fascista. Manganellare gli studenti invece è democrazia.

Simpatia per i giovani

Matteo Salvini, quello che a 26 anni suonati si beccò una condanna per aver lanciato pacificamente le uova addosso a Massimo D’Alema, ha definito gli studenti “un gruppo di violenti”. E non avevano neppure lanciato un uovo.

«La polizia ha fatto in modo che una manifestazione autorizzata potesse svolgersi liberamente», ha affermato il ministro dell’interno Piantedosi, aggiungendo che nessuno ha usato i manganelli. Insomma, i manganelli sono stati un’allucinazione collettiva. E pure gli ematomi. Tirando le somme: nessuno a sinistra si era mai accorto delle frequenti repressioni a colpi di manganello sulle teste degli studenti, studenti che comunque per quelli di destra sono i veri fascisti. 

Da qualunque parte la si voglia guardare quindi, dei giovani e dei loro slanci, delle loro idee quando hanno ancora la forza di esistere nelle piazze o davanti alle scuole anziché sui social, non importa nulla a nessuno. La politica li ignora o li utilizza col solito cinismo, li bolla in un attimo come delinquenti se imbrattano il vetro di un Van Gogh o se vogliono far sapere alla loro scuola che sono antifascisti e non credono nel capitalismo buono e intanto le scuole crollano, l’ascensore sociale è fermo a piano terra, mancano gli insegnanti, manca perfino la carta igienica nei bagni delle scuole.

E se tutto questo non fosse già abbastanza spaventoso, c’è anche Giorgia Meloni che manda loro una carezza: «Difficilmente riuscirò a non provare simpatia per i giovani che scenderanno in piazza contro il nostro governo», ha detto. Come no. Le saranno simpatici almeno quanto Licia Ronzulli.

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