Da Ekstedt, a Stoccolma, tutto viene cucinato su griglie, fuoco vivo, sotto la cenere e su di una cucina a legna come quella dei nostri trisavoli. Sicuramente tra tutte le preparazioni da fare in un ristorante del genere, quella del dessert è la più complicata
In cucina, il mondo dei dolci è, in ogni ambito – da quello stellato a quello casalingo –, un universo fatto di più o meno assoluta precisione. Ingredienti, misure, lavorazioni, tecniche di cottura e temperature è bene che spacchino il minuto secondo per un risultato non solo perfetto, ma il più delle volte solo decente.
Chi fa dolci di mestiere, nell’ambito dell’alta cucina, è curiosamente scambiato dai clienti non esperti come una figura geniale, che si eleva al di sopra della volgare brigata per portare in tavola, subito dopo un banale pezzo di carne, creazioni colorate, divertenti, con le quali ogni tanto si può anche, letteralmente, giocare.
Chi è un pochino più avvezzo sa, però, che quella del pastry chef è una figura simile a un direttore del marketing: vuole a tutti costi essere considerato creativo ma, il più delle volte, segue solo regole predefinite che abbellisce in questo caso con glasse, spume e fiori. A dirla tutta, il più delle volte chi ha la fortuna di mangiare in questi ristoranti teme il momento del dolce, che può rovinare un intero percorso.
Naturalmente non è sempre così e ci sono casi di dolci alla fine di innumerevoli portate complicate che sono pura goduria. Ma rimane sempre quel filo sottile a ricordare una precisione che si può definire bella (o almeno per alcuni), ma poco romantica.
Da Ekstedt tutto – dall’amuse-bouche al dessert - viene cucinato su griglie, fuoco vivo, sotto la cenere e su di una cucina a legna come quella dei nostri trisavoli.
Il percorso inizia in piedi, nella cucina, dove i giovanissimi e le giovanissime chef ti piazzano in mano una capasanta appena buttata sul fuoco e finisce con una torta fritta di fragole di stagione. Si mangia di fronte a quelli che non sono chef, in pratica, ma fuochisti che dominano il fuoco, in una danza che è vita primordiale. Fuoco e vita, vita e godimento.
«L’idea e l’apertura di Ekstedt è avvenuta 14 anni fa» spiega lo chef Niklas Ekstedt. «Era l’inizio dell’era della cucina nordica, quella del NOMA di Copenaghen e del Fäviken qui in Svezia, il ristorante più remoto d’Europa. Tutti gli chef nordici stavano abbracciando quel tipo di approccio, ma invece di focalizzarmi sugli ingredienti, ho deciso di focalizzarmi sulla tecnica che è stata sempre la cosa che più mi ha affascinato».
La tecnica, nel caso di chef Niklas Ekstedt, doveva essere interessante e estrema, tradizionale e mai vista. «Per questo mi sono focalizzato sulle antiche tecniche di cottura svedesi. Ed è stato molto difficile trovare dei documenti in cui si parlava di legna da usare e tecniche ancestrali». Passo dopo passo, ricerca dopo ricerca, ne è uscito fuori un ristorante interessante perché con una filosofia netta, senza compromessi. Qui praticamente tutto viene fatto con il fuoco in tutte le sue forme di cottura, non importa quanto difficile possa essere.
Ricerca di precisione
Sicuramente, però, tra tutte le preparazioni da fare in un ristorante del genere, quella del dessert è la più complicata. Appunto perché il fuoco si può più o meno controllare, ma farlo in maniera precisa è totalmente un’altra storia. «Ho cambiato moltissimi pastry chef» racconta chef Ekstedt. «Vengono da me elettrizzati dalla novità, unica, di una cucina senza punti di riferimento tecnologici. Ma dopo due settimane scoprono sempre quanto gli mancano quegli strumenti di precisione e di cottura millimetrica che li fanno sentire al sicuro».
Cucinare dei dolci come delle semplici crostate alimentando un forno che prende calore da pezzi di legno di faggio e non avere delle manopole per regolare i gradi esatti di cottura è, come si può immaginare, non solo complicato, ma anche un po’ folle. Soprattutto in un ristorante stellato Michelin, dove non importa cosa si stia cucinando, ma che ci sia dietro la perfezione assoluta. «Per tre volte a servizio ci mettiamo a fare da zero i dolci con una cucina e un forno alimentati a legna come nell’800. E non c’è niente da fare, per usarli devi essere coraggioso e paziente, perché se qualcosa va storto – e in un dolce è facile che vada storto -, bisogna ricominciare tutto da capo».
Dopo diverse portate di goduria pura come gli scampi all’olio di pino e salsa di spumante svedese o il pane imburrato di burro fatto in casa e intinto in un brodo di pollo (o, ancora, una bistecca di vacca da latte con purè di aglio orsino, nasturzio e cerfoglio spagnolo), svariati calici di vino e fermentati di radici e frutti svedesi, arriva il momento temibile del dolce. Una doppia rivelazione di pura stagionalità: crema pasticcera al latticello, yogurt gelato al ribes nero, granita di foglie di pino e ribes nero come pre-dessert e, subito dopo, fragole e lamponi freschi e sciroppati, gelato alla calendula, crema inglese all'asperula e torta fritta alle fragole. Un assoluto di ingredienti nordici concepiti che esplodono in bocca prima dell’inevitabile domanda, inevitabilmente fatta ad alta voce: «Come diavolo avete fatto a fare un dolce usando solo fuoco vivo e griglie?»
Dominare il fuoco
«Esattamente come si può pensare» risponde lo chef Ekstedt. «Cercando di dominare il fuoco con gli strumenti di una cucina normale. Non con un termometro, ma con gli occhi e le mani, che si affinano sempre di più, si allenano sempre di più. Gli sciroppi di fragole e lamponi vengono fatte in pentole che toccano la ghisa pura. La crostata nel forno incandescente, il tutto condito dall’elettricità del tocco umano di controllare qualcosa che non puoi davvero controllare, che devi in qualche modo sentire».
La cucina di Ekstedt segue chiaramente i trend della cucina nordica, per cui la stagionalità è tutto, ma anche la creatività e la fusione. Per questo nel mio caso il dessert era a base di fragole e lamponi, ma in questa stagione si trova anche un soufflé di funghi con créme anglais. «Adoro il contrasto dolce e sapido» dice ancora lo chef Ekstedt. «Lo metti in bocca ed esplode. Ma ancora di più adoro mettermi alla prova: il soufflé è uno di quei dolci che ha bisogno assolutamente di precisione millimetrica perché venga come si deve. Immaginate ora di farlo in un forno i cui la temperatura è regolata da uno dei ragazzi aggiungendo o togliendo della legna. È divertentissimo, non riesco a smettere di cucinare così».
Tutti sono in effetti divertiti nel lavorare lì dentro: le facce dei cuochi e delle cuoche, dei camerieri e delle cameriere sorridono costantemente per una strana e atavica connessione con il calore, il fuoco e le facce da orgasmo provocate dai piatti escono dalla cucina a vista. Ultimo, ma non per importanza, il boccone del dolce, a cui il fuoco pieno dona sfumature difficili e puntute.
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