- Marzia Sabella, in attesa che il Consiglio superiore della magistratura scelga il nuovo procuratore capo di Palermo dopo la nomina di Francesco Lo Voi a Roma, reggerà per molti mesi le sorti di uno degli uffici giudiziari più strategici del paese.
- In un’inchiesta su una cinquantina di bambini abusati ha esteso l’associazione per delinquere alle organizzazioni di pedofili, una scelta che ha fatto scuola: da quel momento tanti altri magistrati italiani hanno seguito la sua strada.
- In mezzo a una mezza dozzina di colleghi maschi insegue per cinque anni le tracce di Bernardo Provenzano, il fantasma di Corleone. Poi le indagini su Matteo Messina Denaro e i misteri trapanesi.
Nella Palermo appena ferita dalle bombe abitava in un quartiere, non lontano dal tribunale, dove i vicini sapevano che era un’insegnante di religione. «Mia moglie Marzia, professoressa», la presentava Vittorio, medico otorinolaringoiatra, conosciuto sui banchi del liceo.
Era composta, silenziosa, nella città attraversata dai cortei delle blindate che scaricavano magistrati all’ingresso di quel cubo di granito e cemento che è il palazzo di Giustizia, il sostituto procuratore della repubblica Marzia Sabella veniva fermata ogni mattina dai carabinieri di guardia e invitata a esibire i documenti. Come si chiama? Perché è qui? A che piano deve andare? In quale stanza?
La stessa scena si ripeteva tutti i giorni. I magistrati che “stavano scrivendo la storia” con l’inchiesta per mafia su Giulio Andreotti entravano a passo svelto e sicuro mentre gli ultimi arrivati dovevano faticosamente dimostrare la loro identità, trattenuti con sospetto ai posti di blocco.
Quasi trent’anni fa. E quasi trent’anni dopo rieccola, seppure a tempo (forse sei mesi, forse un anno, dipenderà dalle alchimie del Consiglio superiore della magistratura dopo i devastanti effetti del caso Palamara) prima donna a ricoprire la poltrona più alta di una delle grandi procure italiane.
Non era mai accaduto a Palermo e neanche a Roma, a Napoli, a Milano o a Torino. Con Francesco Lo Voi in partenza per la capitale a sostituire Michele Prestipino dopo le sentenze del Tar e del Consiglio di stato, Marzia Sabella è stata nominata vicario, sarà lei a reggere uno degli uffici giudiziari strategici del paese.
Un po’ tempio e un po’ labirinto
La procura dei processi insabbiati o “aggiustati” degli anni Settanta, delle talpe e dei Corvi, la procura di Gaetano Costa che non guardava in faccia a nessuno, della rivolta dei sostituti contro Pietro Giammanco dopo l’uccisione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, quella di Gian Carlo Caselli con le sue indagini su Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri e quella di Pietro Grasso con la messa sotto accusa del governatore Salvatore Cuffaro, la procura della trattativa stato-mafia di Antonio Ingroia e Nino Di Matteo, la procura della “normalità” riportata dopo un a lunga stagione di faide e veleni.
Un po’ tempio e un po’ labirinto, lì dentro si conquista o si perde (e a volte anche si baratta) ciò che ancora oggi è per molti indigeni il bene più prezioso: il potere.
E dire che Marzia Sabella sognava di fare il notaio, il concorso in magistratura lo tenta «solo perché in quel momento non avevo altri impegni», supera anche gli orali e quel giorno si compra un ciondolo d’oro con la bilancia della giustizia che perderà appena qualche ora dopo.
Papà e mamma avvocati originari del paese agrigentino di Bivona, un fratello appena più grande (Alfonso) magistrato pure lui, la sua vita cambia insieme a quella di milioni siciliani con le stragi. Giura di essere fedele alla Repubblica italiana all’inizio dell’estate del 1993, prime indagini “a carico di ignoti” o contro qualche disgraziato beccato con una stecca di sigarette di contrabbando, una piccola truffa, la rapina a una rosticceria, uno spinello di troppo.
I fascicoli degli “scecchi morti”
E poi quegli altri procedimenti che lei, in un bel libro scritto una decina di anni fa per Einaudi, Nostro Onore, chiamava le inchieste sugli “scecchi morti”, gli asini morti, fascicoli ordinari che nessuno voleva sulla scrivania, casi che comunque non sarebbero mai finiti sulle prime pagine dei giornali, rogne da destinare ai più giovani, quelli che non potevano rifiutarsi di indagare sulla “munnizza”, sull’immondizia di Palermo. Ma i confini a quella latitudine sono labili, ciò che può sembrare banale in realtà può rivelarsi rilevante, basta avere fiuto, voglia di capire.
I primi anni però se ne vanno così, forsennatamente nel rotor della procura palermitana, una giostra di investigazioni come mai prima, le luci del cubo di granito e cemento accese fino a notte fonda. Testimone. Della realtà e della rappresentazione: «A me, sostituto di reati ordinari, imbarazzavano pure coloro che presero a dire Giovanni e Paolo a ogni occasione. Giovanni e Paolo, amici postumi e tardivi, d'un tratto divenuti il lasciapassare di integrità e di dignità per chi mai integrità e dignità aveva avuto. Per questo, a quel tempo, ero insegnante di religione. Semplicemente per pudore».
Gli orchi di Ballarò
A Palermo c’è mafia ma ci sono anche gli altri orrori. E Marzia Sabella, umile e impotente davanti alla storia che scorre al secondo piano del palazzo, comincia a scoprire un altro mondo. Proprio avventurandosi nei fascicoli sugli “scecchi morti”, quelli che gli altri scartano, di “quantità e non di qualità”, dicevano i senatori della procura.
Il luogo è Ballarò, rione e mercato colorato e rumoroso, tuguri, famiglie tribù, commercio di bimbi. Vittime e carnefici, Pio Pio e Nené col culo darrè, Totò 'u pacchiuni, bimbi e orchi, la miseria e la rabbia. Una cinquantina di piccoli abusati, dagli otto ai dodici anni. Uno si siede sulle sue gambe e le dice: «Sei troppo bellissima, ti voglio come mamma». È dura. Dopo la prima inchiesta sui bimbi di Ballarò, ce n’è una seconda.
Marzia Sabella estende l’associazione per delinquere alle organizzazioni di pedofili, una scelta che fa scuola, da quel momento tanti altri magistrati italiani seguiranno quella strada. Ma non ce la fa più con i bambini, troppo coinvolta. Lascia per altre indagini: «Mafia e sempre mafia».
La straordinarietà di Palermo che si mischia con una vita semplice. Gli uomini della sua scorta diventano parenti: «Ho battezzato Giulio, di Fofò. E ho battezzato Lilla, di Nino… ci tengo perché li ho battezzati con l’abito del mio battesimo. Abito di famiglia, per famiglie che si allargano». I figli dei suoi angeli custodi, la frequentazione forzata quotidiana che si trasforma in affetto profondo, radici, tradizione, il lato più commovente della sicilianità. E poi, all’improvviso, la grande caccia.
La grande caccia a Provenzano
Si ritrova in mezzo a una mezza dozzina di colleghi maschi a coordinare l’inchiesta sulla cattura di Bernardo Provenzano, che nel 2001 è latitante da trentotto anni. Piste che non portano da nessuna parte, pizzini decifrati e pizzini indecifrabili, covi ancora caldi, un incubo. Sino all’11 aprile del 2006, Corleone, contrada Montagna dei Cavalli, il vecchio padrino che cade nella rete, il casolare, la ricotta e la cicoria, il boss che appena circondato dai poliziotti sussurra: «Voi non sapete quello che fate». Che tradotto significa: non avete idea di quanto io sia potente, di quali equilibri state minacciando, dei pericoli che ci saranno senza di me libero.
C’è la conferenza stampa al Viminale, i magistrati di Palermo volano a Roma, Marzia Sabella è sull’aereo che sta per atterrare a Fiumicino e addosso ha ancora l’odore selvatico della masseria delle campagne corleonesi: «Cerco nella borsa un pettine che non c’è, un profumo che non esiste, un mozzicone di matita nera che si è perso...».
E dopo Provenzano, l’altra caccia: Matteo Messina Denaro. Complicata e misteriosa anche quella. Con il suo amico sostituto procuratore Paolo Guido, chiede al capo Francesco Messineo di spostare il rinvio di un'operazione di polizia su un mafioso agrigentino, Leo Sutera, in contatto con il fantasma di Castelvetrano. C’è chi lo vorrebbe acchiappare subito e c’è invece chi, come Marzia Sabella, sa bene che quel Sutera lo potrebbe portare a Matteo.
Il procuratore capo decide altrimenti: Sutera non c’entra niente con Matteo e così lo fa arrestare. Si confonde una traccia importante per avvicinarsi all’ultimo dei Corleonesi, seguono polemiche che arrivano a palazzo dei Marescialli, Francesco Messineo poi firmerà valutazioni negative sulla Sabella per le sue “difficoltà di adattamento” per la conduzione di un’inchiesta su alcune truffe online che le aveva assegnato.
Il ritorno in Sicilia
Una nota stonata e un procuratore con imbarazzanti legami familiari, lei per due anni se ne va da Palermo a Roma, preziosa consulente di Rosy Bindi, la presidente della commissione parlamentare Antimafia. Quando torna in Sicilia ricomincia da dove aveva lasciato.
I patrimoni ancora nascosti del sindaco mafioso Vito Ciancimino, le misure di prevenzione, la tratta di esseri umani da una sponda all'altra del Mediterraneo. Fino alla nomina a vicario, reggente della procura della repubblica in attesa delle scelte del Csm che, vedremo presto quali, segneranno la politica giudiziaria negli anni a venire nella capitale della mafia siciliana. Nel frattempo Marzia Sabella si è insediata con discrezione. Senza dire una parola. Perché ha sempre detestato le celebrazioni.
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