L’enorme importazione di almeno 200 milioni di dispositivi contraffatti è avvenuta con un piano perfetto. Dovrebbero pagare solo gli importatori, scudati dal “Cura Italia”, e i produttori, che però si trovano in Cina
- Le mascherine contraffatte, almeno 130 milioni di pezzi, sono finite in tutta Italia, distribuite e utilizzate dal personale sanitario, ma anche dalle residenze per anziani. Altre 65 sono state sequestrate prima della distribuzione.
- Oltre al danno, economico e sanitario, c’è la beffa, perché per questa enorme ‘truffa’ potrebbe non pagare nessuno visto che la mega importazione è stata organizzata e gestita in modo scientifico sotto il comodo cappello dell’emergenza che deroga a ogni norma, a ogni controllo e salva tutti da conseguenze penali e civili.
- Una gigantesca partita di finti dispositivi di protezione al centro di due inchieste giudiziarie con titoli di reato differenti.
Le mascherine contraffatte, almeno 130 milioni di pezzi, sono finite in tutta Italia, distribuite e utilizzate dal personale sanitario, ma anche dalle residenze per anziani. Altri 65 milioni sono state sequestrate prima della distribuzione.
Al danno economico e sanitario però potrebbe seguire una beffa: per questa enorme truffa potrebbe non pagare nessuno visto che la mega importazione è stata organizzata e gestita sotto il comodo cappello dell’emergenza che deroga a ogni norma, a ogni controllo e salva tutti da conseguenze penali e civili. Si tratta in particolare della gigantesca partita di dispositivi di protezione al centro di due inchieste giudiziarie con titoli di reato differenti. A Roma l’indagine è per traffico d’influenze, a Gorizia per importazione di prodotti contraffatti. I consorzi coinvolti sono gli stessi, come emerge dai documenti consultati da Domani. Consorzi che hanno venduto le mascherine al commissariato per l’emergenza, ai tempi guidato da Domenico Arcuri, grazie alla mediazione, retribuita con una provvigione da 12 milioni di euro, di Mario Benotti sfruttando il rapporto «di conoscenza con il commissario».
Benotti per il traffico di influenze è sotto inchiesta a Roma. I consorzi cinesi al centro dell’importazione truffaldina si chiamano Loukai Trade e Wenzhou Light. Entrambi hanno inondato di mascherine il nostro paese dall’aprile dello scorso anno. In pratica hanno raccolto mascherine da diversi produttori cinesi, in buona parte poi sequestrati dalla finanza di Gorizia perché non a norma. In tutto ne sono arrivate 800 milioni, di queste almeno 200 milioni contraffatte. Il dato interessante è che alcuni produttori sono diventati tali solo nei giorni precedenti l’attribuzione della mastodontica commessa. Loukay Trade è il primo consorzio fornitore del commissariato per l’emergenza, come emerge dalle quattro lettere di ordine del 15 aprile e del 30 maggio. I produttori di questo cartello imprenditoriale sono diversi, tra questi Anhiu Zhongnan per le chirurgiche, e Wenzhou Leikang per le FFP3. Il secondo consorzio si chiama Wenzhou Light che fornisce mascherine FFP2 e FFP3, con ordini firmati il 6 e il 15 aprile. A produrre i dispositivi esportati da Wenzhou Light sono numerose aziende sconosciute, sigle che danno i nomi ai modelli di mascherine requisite dalla Guardia di finanza di Gorizia, guidata dal capitano Enrico Caputo e dal tenente colonnello Luca Petrocchi, coordinata da Paolo Ancora, pubblico ministero della procura cittadina, retta dal procuratore Massimo Lia.
L’inchiesta di Gorizia, al momento, è contro ignoti per importazione di prodotti non conformi, ma potrebbe presto avere un altro titolo di reato: la frode in pubbliche forniture. Le perquisizioni effettuate dai militari della finanza hanno riguardato anche gli uffici di Invitalia, società che Domenico Arcuri ha continuato a gestire in qualità di amministratore delegato durante l’incarico da Commissario straordinario per l’emergenza e che ha fornito il supporto logistico al lavoro del commissariato.
Quello che adesso bisogna capire è di chi era la responsabilità di controllare la qualità e l’affidabilità delle società cinesi. Il rischio è che in realtà non paghi nessuno, perché uno scudo emergenziale protegge ogni protagonista della vicenda.
Non paga nessuno
Il provvedimento del governo “Cura Italia”, marzo 2020, introduce la figura del Commissario. Il mese è lo stesso in cui sono frequenti i contatti tra Domenico Arcuri e Mario Benotti, quest’ultimo attivissimo per offrire la soluzione cinese per ovviare alla penuria di mascherine. L’11 marzo, per esempio, Benotti si vantava di aver incontrato Arcuri: «Siamo stati insieme adesso un’ora per vedere il suo decreto e ho dato alcuni suggerimenti». Arcuri sarà nominato Commissario dopo l’approvazione, il 17 marzo, del decreto Cura Italia che contiene un salva condotto per lui, ma anche per il Comitato tecnico scientifico, il Cts, che a distanza di mesi ha un ruolo centrale nell’assenza di controlli sulla qualità delle mascherine ora risultate fallate.
All’articolo 122, comma 8 del decreto è previsto lo scudo: gli atti sottoscritti dal commissario sono sottratti al controllo della Corte dei conti e anche «alla responsabilità contabile e amministrativa». Scudo che scatta, identico, anche per il Cts. Ma allora chi paga per questa importazione? Non è responsabile il Commissario sia perché protetto dallo scudo, sia perché, come fa sapere l’ufficio stampa di Invitalia, i controlli erano in capo al Cts. Il Cts ha validato la qualità delle mascherine affidandosi a un mero controllo documentale. Le carte erano in ordine, ma le mascherine erano contraffatte. Il Cts, grazie dalla deroga prevista dal regime emergenziale si è basato sull’autocertificazione del produttore e dell’importatore, cioè i consorzi cinesi.
Pagheranno loro? Difficile, visto che hanno sede legale in Cina. Benotti ha più volte precisato che i mediatori non rispondono della qualità dei prodotti importati. Resta da capire il ruolo che hanno avuto gli organismi certificatori, che potrebbero aver validato dei dispositivi che non corrispondono a quelli requisiti. Questi organismi certificatori, però, avrebbero tutti sede all’estero.
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