- Nei giorni in cui Salvini era in tour in Calabria per festeggiare la vittoria alle elezioni politiche del 4 marzo 2018, gli investigatori antimafia erano alle prese con le loro innumerevoli inchieste sui clan. Soprattutto, ascoltavano le voci di ’ndranghetisti e affiliati registrate da cimici e dai virus informatici, i trojan. Un’intercettazione più di altre ha colpito l’attenzione dei detective.
- Un presunto narcotrafficante dice di avere votato per il candidato della Lega espressione di quel territorio: Domenico Furgiuele. E aggiunge di essersi recato nell’abitazione del fratello del politico «il giorno prima che venisse Salvini». L’intercettazione letta da Domani risale al 20 marzo 2018, diciassette giorni dopo il voto delle politiche, e 72 ore dopo l'arrivo di Salvini in Calabria.
- Ma ci sono anche altri documenti ottenuti da Domani che svelano la vicinanza di altri personaggi «legati ai clan» che hanno sostenuto la Lega in Calabria e sono pronti a votarla anche alle prossime regionali.
Nei giorni in cui Matteo Salvini era in tour in Calabria per festeggiare la vittoria alle elezioni politiche del 4 marzo 2018, gli investigatori antimafia erano alle prese con le loro innumerevoli inchieste sui clan. Soprattutto, ascoltavano le voci di ’ndranghetisti e affiliati registrate da cimici e dai virus informatici, i trojan. Un’intercettazione più di altre ha colpito l’attenzione dei detective.
Uno scambio di battute in cui un uomo sospettato di essere un trafficante di droga ricordava ai suoi compari di cosca a chi avevano dato il voto. L’uomo dei clan di Lamezia Terme si chiama Antonio Pagliuso, già arrestato per droga nel 2013 ma poi liberato. Mentre le cimici della polizia lo registrano, dice di avere votato per il candidato della Lega espressione di quel territorio: Domenico Furgiuele. E aggiunge di essersi recato nell’abitazione del fratello del politico «il giorno prima che venisse Salvini». L’intercettazione letta da Domani risale al 20 marzo 2018, diciassette giorni dopo il voto delle politiche, e 72 ore dopo l'arrivo di Salvini in Calabria.
Il leader della Lega, infatti, aveva scelto questa regione per festeggiare l’eccellente risultato nazionale: oltre il 17 per cento dei voti, un boom elettorale che travolge per la prima volta anche il Sud e che gli permette di diventare forza di governo con i Cinque Stelle. Il 17 marzo, quindi, Salvini per omaggiare i dirigenti locali si era recato prima a Lamezia Terme, la città di Furgiuele diventato il primo deputato leghista della storia eletto in Calabria, e poi a Rosarno, il paese delle baraccopoli di braccianti africani. Anche lì al fianco di Matteo, che presto sarebbe diventato ministro dell’Interno, c’era il fedele Furgiuele.
Oltre l'intercettazione, Domani ha ottenuto decine di documenti giudiziari inediti che permettono di ricostruire tre anni di relazioni pericolose della Lega tra Catanzaro e Reggio Calabria. Carte che rivelano una rete di personaggi sospettati di essere vicini, o persino organici, alla ‘ndrangheta, e che sembrano assai vicini alla dirigenza calabrese della Lega.
L’intercettazione in cui un presunto trafficante di droga spiega di aver votato il Carroccio e di avere rapporti con la famiglia Furgiuele, al di là del rilievo penale tutto da valutare, pone questioni di opportunità politica. Anche perché le opacità sui voti della Lega in Calabria non si limitano alle passate elezioni politiche, ma riguardano anche le prossime regionali del 3 e 4 ottobre: verbali segreti di pentiti, fotografie che documentano la vicinanza al partito di uomini legati da parentele o in affari con i clan (in alcuni casi presenti a incontri del partito a ridosso delle elezioni europee del 2019 e delle ultime regionali 2020) e relazioni della polizia giudiziaria rischiano adesso di creare più di un problema al partito di Salvini e Giancarlo Giorgetti. La Lega è già alle prese con le inchieste giudiziarie nel Lazio su alcuni dei suoi eletti: a Latina l’europarlamentare Matteo Adinolfi è indagato per voto di scambio, mentre l’ex sottosegretario Claudio Durigon ha avuto in campagna elettorale contatti con un professionista contiguo ai clan pontini che ha pagato almeno due cene elettorali al partito. Salvini ama ripetere che «la mafia fa schifo», ma sembra quantomeno peccare di superficialità nella selezione della sua classe dirigente.
Il voto dei narcos
Partiamo da Lamezia Terme. È la città nel cui ventre prende forma la trama di questo giallo politico-criminale, con un cognome che fa da filo conduttore: Iannazzo. Così si chiama la cosca che riunisce altri casati mafiosi alle proprie dipendenze. Lamezia è una cittadina di quasi 70mila abitanti. Il territorio fa gola alle 'ndrine per motivi plurimi: l’aeroporto, la vicinanza alle località turistiche più rinomate della regione, un’economia più florida rispetto alle aree depresse circostanti. Ci sono poi grandi progetti di sviluppo per il futuro della città.
La ‘ndrangheta qui ha un dna feroce, violento, ma negli ultimi lustri ha saputo riporre la lupara per mimetizzarsi nel tessuto sociale e politico. L’intercettazione in cui gli uomini dei clan ammettono di aver votato Lega emerge in un’indagine su un enorme traffico di droga gestito da un clan di Gioia Tauro, città della provincia di Reggio Calabria e sede del porto tra i più strategici del Mediterraneo, trasformato dalle cosche in scalo mondiale della cocaina. Le informazioni e i rapporti investigativi arrivano prima alla procura di Lamezia che, preso atto dello spessore dei personaggi coinvolti, ha passato la competenza ai magistrati antimafia di Catanzaro guidati dal magistrato Nicola Gratteri.
Ritorniamo al 20 marzo 2018. In una stanza sono riuniti tre compagni di traffici. Parlano di affari e di politica. Uno di loro, Pagliuso, proviene dallo stesso quartiere di Furgiuele. Ha avuto uno zio assassinato durante una delle faide nel 1989. È lui a dire di avere votato per Domenico Furgiuele e di essere stato a casa del fratello Antonio. L’intercettazione prosegue così: «Il giorno prima che veniva Salvini…lui…mi ha detto “non ti preoccupare che ancora mi devo insediare”… mi ha detto che ha già parlato con suo fratello, gli ho detto va bene e ho aggiunto che ne ho 10 appresso a me, regolati tu». Non è chiaro, dalla trascrizione della polizia, se Pagliuso abbia parlato direttamente con il neodeputato, come sembra, o con il fratello, che del politico è da sempre braccio destro.
Alle politiche del 2018 la Lega di Matteo Salvini in Calabria ha totalizzato il 5,6 per cento. Non male per un partito che fino a cinque anni prima non esisteva nemmeno a queste latitudini. La Lega Salvini premier ha addirittura raccolto un punto in più rispetto a Fratelli d’Italia, che tra Reggio e Cosenza ha una solida base costituita da nostalgici missini e di Alleanza Nazionale. Il merito del successo va equamente diviso tra l'efficacia della propaganda salviniana e la forza elettorale di Furgiuele, dirigente con un passato nella destra sociale, ultras della squadra locale del Sambiase e con un suocero finito nei guai anche per estorsione aggravata dal metodo mafioso.
A Lamezia il partito di Salvini ha ottenuto ben l’8,4 per cento. Furgiuele è stato fin dall’inizio il punto di riferimento per Salvini in Calabria. Alcune inchieste giornalistiche sul suo passato e sulle sue parentele ingombranti hanno però convinto recentemente i vertici a togliergli la carica di coordinatore regionale, pur rimanendo il perno attorno al quale edificare il consenso elettorale delle elezioni regionali del 2020, quelle vinte dal centrodestra con Jole Santelli, sostituita, dopo la morte, dal leghista Nino Spirlì, diventato così il primo presidente leghista della regione, seppure “facente funzioni” in attesa del voto di ottobre.
Alle regionali vinte da Santelli la Lega è stata infatti decisiva: ha incassato il 12 per cento a livello regionale, ma a Lamezia ha toccato il 14,8 e nel paese vicino di Gizzeria addirittura il 56 per cento, record da provincia veneta. Al consiglio regionale è stato così eletto Pietro Raso, ex sindaco di Gizzeria, che ha raccolto quasi 5mila preferenze personali.
Lega d’Argento
Per Salvini Gizzeria è diventata simbolo nazionale del suo trionfo, a tal punto da citarla nel salotto di Bruno Vespa in una intervista concessa a Porta a Porta subito dopo il voto regionale dello scorso anno. Gizzeria come simbolo della Lega al Sud, una sorta di Pontida del Mezzogiorno. Il leader della Lega è andato a Gizzeria anche il 12 luglio 2021, all’indomani della finale degli europei vinti dall’Italia. Salvini indossava per l’occasione la maglia della nazionale. Ad accoglierlo c’era il sindaco del paese, che ha accompagnato il leader della Lega fin sotto il gazebo dove poi ha tenuto un comizio. Il sindaco si chiama Francesco Argento, detto “Ciccio”, ed è stato eletto con una lista civica. Argento per molti anni è stato il vicesindaco del leghista Raso, che lasciò il comune dopo essere stato eletto al consiglio regionale nelle file del Carroccio. Argento però è anche «cugino di primo grado», scrivono gli investigatori, del boss Felice Cadorna, conosciuto negli schedari di polizia anche come “zio Tonino”. E soprattutto viene definito nella nota della procura un «noto pregiudicato».
È indiscutibile, secondo gli investigatori dell’antimafia, lo spessore criminale di Cadorna. Come l’uomo intercettato che parla dei voti alla Lega, Cadorna è un pezzo grosso del «gruppo Pagliuso affiliato al clan Iannazzo», si legge negli atti di un’inchiesta di maggio scorso della procura antimafia di Catanzaro. Possibile che Salvini, ex ministro dell’Interno, non sia stato avvertito dei rapporti tra il sindaco e esponenti dei clan con lui imparentati? Era all’oscuro anche dell’accusa di tentata estorsione da cui deve difendersi Argento in un processo in corso? «Sul sindaco di Gizzeria so solo che è una persona onesta e perbene, ci metto la faccia», dice a Domani il consigliere regionale della Lega Pietro Raso, che ha l’appoggio di Argento in campagna elettorale.
La famiglia del primo cittadino di Gizzeria ha messo in piedi un piccolo impero dell’autotrasporto con commesse anche nazionali. Su di loro si sono stratificati molti sospetti di vicinanza alla ‘ndrangheta. Tuttavia gli indizi non hanno mai raggiunto il livello di prova di colpevolezza. Di certo però i rapporti parentali e di affari delle loro azienda riconducono spesso alla mafia calabrese. Una delle aziende di famiglia è sotto sequestro su richiesta dell’antimafia di Reggio Calabria perché coinvolta nell’inchiesta “Petrolmafie”,che ha svelato un giro senza precedenti di contrabbando di gasolio diretto dai clan della mafia calabrese. Al di là delle indagini ci sono le frequentazioni, e altre intercettazioni che parlano di incontri tra Argento, l’anfitrione di Salvini, e Carmelo Bagalà, potente capo cosca collegato alla famiglia Iannazzo di Lamezia ed egemone nei dintorni di Gizzeria, referente in questo territorio della più blasonata famiglia criminale dei Piromalli di Gioia Tauro. La forza dei Piromalli in Calabria è sintetizzata da una vicenda celebre: quando Giulio Andreotti, all’epoca ministro del Bilancio, andò a Gioia Tauro per la posa della prima pietra del V Centro siderurgico, lo portarono a prendere il caffè nell’hotel della cosca Piromalli. Il capo di allora, Gioacchino Piromalli, porse la tazzina ad Andreotti.
Intercettato Bagalà racconta di un favore elargito a Francesco Argento, e dice ai suoi interlocutori di averlo incontrato (quando era vicesindaco di Gizzeria) per parlare di uno screzio avuto con un suo gregario, tale Roberto Isabella detto “il Biondo”. In pratica, fosse vera la ricostruzione del padrino, se c’è da incontrare un boss della ‘ndrangheta o accompagnare l’ex ministro Salvini al comizio per sponsorizzare l’amico candidato della Lega, Argento è sempre disponibile.
A tracciare il profilo della famiglia Argento è anche un pentito, Gennaro Pulice, che ha dichiarato ai pm: «Non sono una vera e propria famiglia di ‘ndrangheta ma sono degli imprenditori che approfittano della conoscenza con i gli esponenti di vertice della cosca Iannazzo di Lamezia che gli procurava le commesse dei trasporti».
Il caso Bilotta
La vicinanza alla Lega di Argento è confermata da un altro verbale ottenuto da Domani. I carabinieri di Lamezia notano la presenza dell’allora vicesindaco nel piazzale del centro congressi dove si stava svolgendo un incontro politico della Lega Calabria con i vertici del partito per presentare i candidati all’europarlamento. Oltre ad Argento c’erano Furgiuele e Claudio Durigon, il sottosegretario del governo Draghi che si è dovuto dimettere per aver proposto di cambiare il parco Falcone e Borsellino di Latina in Arnaldo Mussolini, fratello del Duce. Tra i dirigenti presenti all'evento anche l’avvocato Cataldo Calabretta, vice segretario regionale della Lega e su proposta della giunta leghista regionale selezionato come commissario della Sorical, la società che gestisce il servizio idrico in Calabria.
I militari osservano Argento mentre si saluta affettuosamente con un imprenditore ed ex assessore comunale di Lamezia, avvicinatosi di recente alla Lega: si tratta dell’incensurato e insospettabile Angelo Bilotta, fondatore di una holding che si occupa di lavoro interinale, fidanzato per qualche tempo con la sorella di Furgiuele, e con legami parentali alla lontana che portano alla ‘ndrangheta, in particolare al solito Roberto Isabella detto “il Biondo”.
La cosca è sempre la stessa: i Bagalà-Iannazzo, che in questa storia è il collante tra politica e clan. I sospetti su Bilotta non sono però riducibili alla sola parentela con il boss Isabella. Di lui, infatti, ha parlato anche il collaboratore di giustizia Biagio Grasso. Un pentito originario della Sicilia, che conosce bene pure le dinamiche calabresi. Grasso è espressione di una mafia imprenditoriale di alto livello, conosce segreti di famiglie del calibro dei Santapaola e degli Ercolano, protagonisti di tutte le stagioni più oscure della mafia. I verbali di Grasso costituiscono le fondamenta di due importanti inchieste della procura antimafia di Messina. In questi documenti ecco cosa dice il pentito di Bilotta: «Iniziammo con lui una serie di trattative per delle operazioni economiche molto importanti con il comune di Lamezia… Bilotta era perfettamente a conoscenza di chi rappresentassi… Bilotta diceva che il comune (di Lamezia, ndr) lo controllavano direttamente loro».
Grasso è stato sentito nel 2019 dai magistrati calabresi della procura di Catanzaro. Oltre a confermare le sue prime rivelazioni avrebbe aggiunto che Bilotta insieme a un suo cugino, pure lui ex assessore, erano «espressione diretta delle cosche di ‘ndrangheta operanti nell’area lametina». Grasso spiega agli investigatori che la mafia siciliana di Catania era interessata all’investimento milionario su Lamezia del “waterfront” e del porto turistico.
Bilotta non è mai stato coinvolto finora in inchieste antimafia e le parole del pentito sono tutte da dimostrare. La sua passione per la Lega emerge invece dai suoi social network. Le foto lo ritraggono a cena con uno dei capi della Lega Calabria, l’avvocato Calabretta (che era tra i papabili candidati alla presidenza per volere di Salvini). Il loro rapporto è solido, non solo a tavola, i due si sono confrontati sulle dinamiche del partito. Bilotta ha appoggiato alle regionali Pietro Raso e anche alle prossime lo sostiene senza se e senza ma: «Un uomo del popolo e per bene: una certezza! Vota Raso», scrive su Facebook.
Alle europee di maggio 2019 l’imprenditore di Lamezia si è vantato in città di avere contribuito alla elezione di Massimo Casanova all’Europarlamento. Casanova non è uno qualunque, ma è il proprietario del locale Papeete Beach di Milano Marittima, diventato uno degli amici più intimi di Salvini. Bilotta, infatti, non ha nascosto il suo corteggiamento a Salvini, e agli amici più stretti ha confidato di cene da organizzare o fatte alla presenza di Casanova. L’imprenditore considerato un uomo dei clan dal pentito Grasso millantava? Di certo ci sono le fotografie, dal pranzo con Calabretta ai manifesti elettorali di Raso, in bella mostra sui suoi social. «Bilotta lo conosco, certo, ma non so nulla di cosa dicono i pentiti su di lui, e le accuse vanno poi dimostrate», dice Raso.
L’imprenditore dei misteri
Non mentono neppure le intercettazioni. Come quella letta da Domani agli atti dell’inchiesta sul boss Bagalà e il condizionamento del voto in un paese vicino a Lamezia, Nocera Terinese. La registrazione racconta di un carabiniere, poi indagato per complicità con la ‘ndrangheta, che chiede aiuto a Bilotta per intercedere con il solito Furgiuele per ottenere il sostegno della Lega di Nocera alle comunali del 2019. «Bilotta assicurava l’appoggio elettorale», sintetizzano gli investigatori.
«Questa è Lamezia», scriveva l’imprenditore di Lamezia in un post su Facebook il 16 gennaio 2020, a pochi giorni dal voto alle regionali, con la foto della piazza piena della città per l’arrivo di Salvini. Uno dei suoi follower commenta: «Amico mio siamo il top della Calabria. Grande Angelo Bilotta e Domenico Furgiuele». Il 2 febbraio l’imprenditore ha pubblicato una nuova immagine, stavolta con Raso da poco eletto in consiglio regionale. La bandiera della Lega fa da sfondo al sorriso di Bilotta, accusato dal pentito siciliano di essere espressione della ‘ndrangheta locale e che invita a votare Raso anche alle prossime elezioni di ottobre. L’appuntamento in cui la Lega di Salvini non può fallire, visto il rischio di perdere nelle grandi città dove si svolgeranno le altre amministrative.
Il candidato presidente sostenuto dai leghisti è Roberto Occhiuto di Forza Italia, che ha messo le mani avanti: «La coalizione di centrodestra che mi sostiene ha presentato all’Antimafia tutte le liste, altri – il Partito democratico, ad esempio – non l’hanno fatto. Siamo garantisti, ma vogliamo tenere altissima l’asticella dell’attenzione». Silenzio imbarazzato invece sulle relazioni pericolose dei leghisti suoi alleati con i clan. Il deputato Furgiuele contattato da Domani dice: «Non c’è nessuna replica da fare, parlate con il commissario regionale». Gli facciamo notare che la replica spetta lui per fatti che riguardano i suoi rapporti, ma lui risponde: «Fate come volete, controllate bene però, e attenti alle querele».
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