- La Guardia costiera per Matteo Salvini è cosa sua, tutto ha inizio quando l’ex ministro dell’Interno ha fatto la guerra a Fratelli d’Italia, all’atto della formazione del governo, per prendersi la delega ai porti, agli sbarchi e all’immigrazione.
- Aveva rischiato, in passato, anche il processo quando aveva tenuto per cinque giorni sulla nave Gregoretti della Guardia costiera 131 migranti poi è stato prosciolto.
- Per una nave lasciata in mezzo al mare, la ong catalana Open Arms, invece, è a processo per sequestro di persona.
La Guardia costiera per Matteo Salvini è cosa sua. Tutto ha inizio quando l’ex ministro dell’Interno ha fatto la guerra a Fratelli d’Italia, all’atto della formazione del governo, per prendersi la delega ai porti, agli sbarchi e all’immigrazione.
Aveva rischiato, in passato, anche il processo quando aveva tenuto per cinque giorni sulla nave Gregoretti, imbarcazione proprio della Guardia costiera, 131 migranti, ma poi è stato prosciolto. Per una nave lasciata in mezzo al mare, la ong catalana Open Arms, invece, è a processo per sequestro di persona.
La mutazione degli equilibri tra soccorso e operazioni di polizia inizia proprio quando Salvini è al Viminale. Ora vediamo le conseguenze, con la Guardia costiera che rimane a riva mentre i naufraghi muoiono davanti alle coste della Calabria.
L’Interno domina
«Il quadro organizzativo è cambiato da quando Salvini è diventato ministro dell’Interno, nel primo governo Conte, da allora la Guardia costiera è costretta a collocarsi in uno scenario diverso dove nel salvataggio dei migranti c’è una prevalenza delle operazioni di polizia rispetto a quelle di soccorso.
L’organizzazione ricade sotto il controllo del Viminale, mentre prima il rapporto tra Guardia costiera e l’Interno era invertito. Anche nel decreto Piantedosi c’è scritto che le navi ong di rientro in porto non devono riferire alla Guardia costiera, ma alla polizia. È una rivoluzione copernicana, in peggio», dice l’ex ammiraglio, Vittorio Alessandro. Ora Salvini controlla i porti e al Viminale c’è il suo ex capo di gabinetto, Matteo Piantedosi.
Dopo la strage di Steccato di Cutro, Salvini ha defeso la Guardia costiera e minacciato querele. Ma perfino i suoi stessi alleati di governo chiedono risposte.
Per capire l’effetto Salvini sulla GUardia costiera bisogna tornare a qualche mese fa. «La competenza dei porti è del ministero delle infrastrutture», diceva Salvini a fine ottobre per allontanare la remota possibilità di cedere la delega. Tra i primi atti da ministro incontra l'ammiraglio Nicola Carlone, comandante generale della Guardia Costiera. In una nota si legge che « è stato un lungo e proficuo incontro per fare il punto della situazione, anche a proposito di immigrazione: attualmente in area Sar libica ci sono due imbarcazioni ong».
Chi comanda lo ribadisce anche a dicembre quando spiega che il corpo delle capitanerie di Porto-Guardia costiera dipende dal suo ministero.
La retorica del ministro
Il registro retorico è sempre lo stesso, già usato per la Polizia di stato e la penitenziaria, difesa anche in quel caso in maniera indistinta perfino quando c’erano agenti indagati per tortura, corpo poi destinatario di tagli negli stanziamenti decisi proprio dal governo Meloni.
Anche con la Guardia costiera il leghista ha recitato lo stesso spartito: «Sono orgoglioso di presentare qualcosa che rappresenta 11 mila donne e uomini, per i quali sono e sarò a totale disposizione, della cui professionalità, generosità e autonomia sarò custode e portavoce geloso», diceva mentre partecipava alla presentazione del calendario.
L’ultimo atto della campagna di immedesimazione arriva dopo la tragedia di Steccato di Cutro, Salvini ha trovato vergognoso che i giornali di sinistra «scarichino le colpe sulle donne e gli uomini in divisa, sono abituato alle menzogne contro di me, ma non accetto infamie su chi da sempre, tra enormi sforzi e sacrifici, salva vite umane».
Il leader leghista nulla risponde nel merito sull’inerzia della Guardia costiera, dopo la segnalazione di Frontex e dopo quella, a tarda notte ma prima della tragedia, della Guardia di finanza. Inerzia sulla quale indaga la procura di Crotone che ha aperto un’indagine per capire cosa non è andato nella catena dei soccorsi.
Le minacce di querele del ministro non cancellano i fatti. Gli atti a disposizione dell’autorità giudiziaria confermano quanto Domani ha ricostruito su quelle ore. L’agenzia europea Frontex, alle 22:30, segnalava un’imbarcazione ed evidenziava «una significativa risposta termica dai portelli aperti a prua e altri segni che potrebbero esserci persone sotto il ponte». La Guardia di finanza è andata in mare con due imbarcazioni, alle 2:20, prima di fare ritorno per l’impossibilità di affrontare il mare. Essendo un’operazione di polizia di frontiera, questo è il nodo, le fiamme gialle hanno aspettato l’arrivo del barchino all’interno delle 12 miglia.
Alle 03:40 circa la sala operativa della Guardia di finanza comunicava all’autorità marittima di Reggio Calabria, che le due unità navali erano costrette a interrompere la navigazione per avverse condizioni meteo marine e chiedevano alla medesima autorità l’intervento, ma senza ricevere riscontro.
Prima Frontex, poi la finanza, ma la Guardia costiera non si è mossa. Poco dopo il caicco si è schiantato con la morte di uomini, donne e bambini.
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