La procura di Milano ha concluso le indagini sulle aziende di food delivery in Italia e le ha costrette a pagare ammende per 733 milioni di euro, oltre a chiedere l’assunzione per 60mila di loro. Secondo i procuratori, i rider sono da considerare lavoratori dipendenti e non autonomi
Duro colpo alle società di servizi che operano nella gig-economy. Dopo mesi di indagini, la procura di Milano ha comminato ammende per oltre 733 milioni di euro nei confronti delle aziende di food delivery che operano in Italia. Secondo i procuratori, le società hanno considerato erroneamente i rider delle consegne di cibo a domicilio come «lavoratori autonomi o occasionali» e hanno obbligato loro ad assumerne circa 60mila.
L’inchiesta è nata dopo una serie di «gravissimi incidenti» avvenuti a Milano e si è estesa in tutto il territorio ascoltando oltre mille rider «per capire se quello che avveniva a Milano in realtà accadeva nel resto d’Italia», ha dichiarato Antonino Bolognani, colonnello dei carabinieri del nucleo tutela lavoro che ha condotto le indagini con la procura.
Il risultato dell’inchiesta
Secondo Bolognani «è necessaria una riqualificazione del rapporto di lavoro, che deve prevedere le garanzie previste dalla legge per il lavoro subordinato». Questo significa accedere a tutta una serie di benefit come ferie pagate, malattia, salario minimo che prima non erano garantiti ai rider. Inoltre, i procuratori hanno inviato una serie di prescrizioni alle aziende per costringerle ad adottare nuove misure di sicurezza fornendo visite mediche e attrezzature adeguate ai suoi futuri dipendenti. Le società di food delivery dovranno adeguarsi alle prescrizioni e pagare le ammende «affinché i reati riscontrati si possano estinguere», ha affermato Bolognani. Le piattaforme avranno 90 giorni di tempo per assumere gli oltre 60mila rider attualmente impiegati sul territorio nazionale.
Gli indagati
In totale sono sei le persone indagate dalla procura di Milano. «Si tratta di figure inquadrate come i datori di lavoro o i legali rappresentanti in Italia» delle società Foodinho (la società italiana che segue il servizio di Glovo), Uber Eats, Just Eat e Deliveroo, hanno spiegato il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e il pm Maura Ripamonti, che hanno coordinato le indagini. I sei rappresentanti sono stati iscritti nel registro degli indagati per aver violato il decreto legislativo 81 del 2008 in tema di sicurezza del lavoro. Nell’inchiesta sono state coinvolte anche Inps e Inail a supporto degli inquirenti.
«La cosa che mi ha colpito – ha dichiarato il procuratore capo Francesco Greco durante la conferenza di presentazione delle indagini – è che la maggior parte di questi rider controllati sono tutti risultati con permesso di soggiorno e in maniera regolare in Italia. Non è un approccio morale al tema, ma giuridico che è necessario. Non è più il tempo di dire che sono schiavi, è il tempo di dire che sono cittadini che hanno bisogno di una tutela giuridica».
Il sindacato metropolitano dei rider, Deliverance Milano, ha accolto con soddisfazione la notizia: «È una notizia bomba, era ora che ci fosse un’indagine così articolata e completa sul nostro settore. Adesso aspettiamo di vedere i contratti», ha dichiarato Angelo Avelli del sindacato. «Finora quello che è accaduto in Italia nel settore delle consegne a domicilio è degno della peggiore serie televisiva di Netflix – ha aggiunto –, non si sa mai che cosa possa accadere».
Dura invece la risposta di Assodelivery (Deliveroo, Glovo e Uber Eats) che in una nota scrive: «Le piattaforme, pur nelle specifiche differenze, hanno operato in questi anni nel rispetto delle normative vigenti, compreso l’inquadramento dei lavoratori e le normative in materia di sicurezza sul lavoro. Non concordiamo dunque con il quadro illustrato oggi».
Uber Eats
Nei confronti di Uber Eats è stata avviata un’indagine «fiscale» come dichiarato dal procuratore Francesco Greco, nel corso della conferenza stampa di presentazione dell’indagine sui rider. L’obiettivo è quello di riportare a tassazione redditi prodotti in Italia dai rider. «Sono emersi – dichiara Greco – pagamenti fatti online e non sappiamo dove vengono recepiti, ma il rapporto di lavoro e l’organizzazione dei rider è guidata sul territorio italiano».
Uber Eats, già al centro di un’indagine per «caporalato», era stata “commissariata” proprio per il trattamento riservato ai rider che consegnavano i pasti a domicilio. Secondo l'accusa, i rider venivano sottoposti a condizioni di lavoro degradanti e venivano pagati a cottimo con tre euro a consegna. Per i pm, i lavoratori venivano anche derubati delle mance che i clienti lasciavano loro e venivano puniti attraverso una arbitraria decurtazione del compenso pattuito, qualora non si fossero attenuti alle disposizioni impartite.
Just Eat
Recentemente Just Eat Italia ha fatto sapere che avrebbe iniziato ad assumere i suoi rider in alcune città italiane, considerandoli come dipendenti dell’azienda a tutti gli effetti. Ciò permetterà ai lavoratori di ottenere un salario minimo e tutta una serie di benefici contrattuali impensabili fino a qualche mese fa. Inoltre, la nota società di food delivery ha anche dichiarato che metterà a disposizione dei suoi lavoratori mezzi di trasporto ecologici e tutta l’attrezzatura di sicurezza necessaria per prevenire o mitigare eventuali incidenti durante le consegne.
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