- Di nuovo c'è solo la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, per il resto la conferenza stampa di fine anno è un rito stanco, una formula consumata che si apre con un discorso del presidente dell'ordine dei giornalisti che si ripete ciclicamente.
- Carlo Bartoli ha messo in fila i problemi della professione: la precarietà, i salari, i cronisti minacciati e le querele bavaglio.
- Peccato che proprio Meloni abbia portato a processo scrittori e giornalisti, compreso il nostro giornale, a differenza dei suoi predecessori che hanno sospeso ogni procedimento giudiziario contro la stampa.
Di nuovo c'è solo la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, per il resto la conferenza stampa di fine anno è un rito stanco, una formula consumata che si apre con un discorso del presidente dell'ordine dei giornalisti che si ripete ciclicamente.
Carlo Bartoli ha messo in fila i problemi della professione: la precarietà, i salari, i cronisti minacciati e le querele bavaglio.
Sono sempre gli stessi e la presidente Meloni, come i suoi predecessori, si è detta disposta a parlare e affrontare le questioni sollevate anche con iniziative governative, peccato che proprio Meloni abbia portato a processo scrittori e giornalisti, compreso il nostro giornale.
Ma di questo non si è parlato, nel corso delle tre ore Meloni ha affrontato i temi di attualità senza grandi acuti, difendendo la legge di bilancio appena approvata e rassicurando sul Covid mentre in Cina ci sono milioni di contagiati in più al giorno.
I monologhi infiniti
La conferenza stampa di fine anno prevede una formula che ha fatto il suo tempo, domande stringate senza possibilità di replica e lunghi monologhi della presidente del Consiglio con risposte già sentite e comizi interminabili. Nella prima ora, Meloni ha risposto a otto domande, una media di sette minuti per ogni risposta.
Al quesito su come abbia fatto il governo a rispettare gli obiettivi del Pnrr, la presidente del Consiglio ha risposto in cinque minuti evocando addirittura l'impero romano: «Noi duemila anni fa costruivamo ponti in dieci giorni e ora dobbiamo dimostrare che qualche opera riusciamo a farla anche oggi».
Di slogan è piena la mattina di Meloni, molti già sentiti. «Sulla riforma del catasto si può fare una mappatura per migliorare le costruzioni italiane, ma non partirà mai una tassazione sulla prima casa che non è pignorabile, non tassabile, grazie», dice.
Ovviamente la revisione catastale, annunciata e mai realizzata dal governo Draghi, non prevede alcuna tassazione aggiuntiva, ma spaventa chi ha realizzato volumetrie, immobili, vani senza autorizzazioni e che, se scoperto, dovrebbe pagare il dovuto allo stato italiano. E anche chi da anni paga troppo poco, senza considerare la rivalutazione dell’immobile.
Ma l'idea di paese di Giorgia Meloni è quella più volte enunciata, proteggere la rendita e lasciare mano libera a chi produce senza preoccuparsi del come e del perché.
Viva la prescrizione
Meloni conferma che ci sarà una riforma della giustizia, come chiesto dal pregiudicato alleato Silvio Berlusconi, e che il governo è favorevole alla revisione della prescrizione per cancellare la legge Spazzacorrotti, voluta dall'ex ministro M5s Alfonso Bonafede.
«La prescrizione è un fondamento dello stato di diritto, non ci possono essere indagati a vita», dice Meloni confermando la fiducia in Carlo Nordio, il ministro della Giustizia che ha collezionato errori e scivoloni.
Quella degli indagati a vita è una bugia visto che i processi, quando il soggetto è imputato, vengono già tagliati dall'improcedibilità introdotta dal governo Draghi.
Anche per il mercato del lavoro l’approccio è simile, la formula utilizzata per le imprese è «abbiamo tolto vincoli e cavilli, non vogliamo disturbare chi vuole fare, l'introduzione dei voucher riguarda alcune tipologie di lavoratori, segnatamente quelli stagionali, è meglio che ci siano piuttosto che rischiare che quel lavoro sia fatto in nero».
I nemici sono sempre gli stessi, uno in particolare, il presidente dei Cinque stelle Giuseppe Conte, che Meloni sembra individuare come il vero leader dell’opposizione. Lo attacca per difendersi dai condoni finiti in manovra e dai primi provvedimenti sulla giustizia che aiutano corrotti e corruttori, «non accetto la morale da chi oggi è all'opposizione ma quando era al governo ha liberato boss al 41 bis, ha impedito alla corte dei conti di controllare i soldi per fronteggiare il Covid», dice.
Sempre di Conte parla per ribadire l’aumentare dei fondi per gli armamenti, lo irride rispetto alle ultime posizioni pacifiste espresse dal leader del M5s, ringraziandolo «perché, durante il suo mandato, ha aumentato di tre miliardi le spese militari».
Meloni ha un progetto pronto anche per l'Africa, rilancia «il piano Mattei», parla di un collegamento elettrico con la Tunisia, dell'utilità delle rinnovabili nel mezzogiorno e di altre ovvietà.
Quando, però, deve rendere conto dell'annunciato blocco navale anti-migranti aziona la retromarcia: «La mia risposta è una missione europea in accordo con le autorità europee per impedire le partenze dei migranti irregolari».
Nella conferenza stampa, Meloni affronta anche il tema della repressione in Iran annunciando la convocazione dell'ambasciatore e di possibili misure da adottare con gli alleati e l'Europa.
Quell'Europa che torna protagonista, non più nemica, per ogni risposta complessa e articolata dal Covid all'immigrazione, dai fondi del Pnrr al conflitto in Ucraina.
Una conferenza mal digerita anche dal ministro Matteo Salvini che aveva avvertito tutti, il giorno prima, che proprio alle 11 e 30 sarebbe stato impegnato nella presentazione di un libro sui mercati rionali romano. Evento tramesso in diretta sui canali social del ministro delle Infrastrutture alla presenza di tutto lo stato maggiore della Lega.
Meloni, però, rassicura tutti «mi fido dei miei alleati» e promette «un giorno tornerò a fare la giornalista».
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