- Nel porto toscano di Talamone è approdata per la prima volta la Bahri Abha, nave saudita nota per il trasporto di armi e armamenti. In Italia il cargo ha imbarcato quattro container contenti materiale esplosivo.
- Sapere cosa è stato venduto ai sauditi è però difficile: non ci sono dati pubblici sul transito di materiale militare per i porti e il governo Meloni non ha ancora presentato alle Camere la relazione sulle autorizzazioni all’export bellico relativo al 2022. Il termine ultimo è scaduto il 31 marzo.
- Le industrie italiane che producono bombe e siluri sono le stesse che beneficeranno dei fondi europei per le munizioni, ma le armi rischiano di finire nelle mani di governi autoritari.
Talamone, in provincia di Grosseto, è un piccolo borgo famoso per le sue spiagge sabbiose e per la bellezza delle acque del golfo su cui si affaccia, meta prediletta dei turisti e degli amanti degli sport velici. Il paesino toscano però non è noto soltanto come località balneare. A Talamone, a poche centinaia di metri dalla zona turistica, vengono caricati e scaricati anche armi e armamenti, come successo pochi giorni fa.
Ad essersi avvicinata al piccolo porto toscano è stata questa volta la Bahri Abha, nave battente bandiera saudita nonché uno di quei sei cargo rinominati “navi della morte” che fanno normalmente scalo a Genova lungo la rotta tra gli Stati Uniti e l’Arabia. Località diversa, dunque, ma stesso copione.
Con l’arrivo della Bahri il porto di Talamone è stato massicciamente presidiato dalle forze dell’ordine e le operazioni di carico sono state monitorate dall’alto persino da alcuni elicotteri americani partiti probabilmente dalle vicine basi Nato, come riportato dagli attivisti dell’osservatorio Weapon Watch.
Sapere con precisione cosa sia stato caricato sulla nave saudita è come sempre impossibile, ma stando alle foto scattate dagli attivisti dell’Osservatorio si è trattato di materiale esplosivo proveniente con molta probabilità dal distretto della Valle del Sacco, dove si trovano Simmel Difesa e Avio, o dal polo Tiburtino, sede della Mes. Aziende da anni in affari con Arabia Saudita ed Emirati.
Infrastruttura
«Sui container che sono stati imbarcati c’erano le placche arancioni che indicano per l’appunto la presenza di esplosivi», sottolinea Carlo Tombola di Weapon Watch. «Questo spiega anche la presenza della Guardia di finanza e dei Vigili del fuoco. Talamone è classificato come un porto adibito al transito di materiali esplosivi più pericolosi, ma non è realmente adeguato per queste operazioni. A partire dal fatto che non possiede una banchina di sufficienti dimensioni per la sosta di container o imballi di grandi dimensioni in attesa di imbarco».
Il porto però è abbastanza distante dalle zone abitate da non costituire un pericolo per i residenti, a differenza di quanto accade a Genova o Livorno, altre due città interessate dal transito di armi e armamenti.
Talamone inoltre ha un fondale troppo basso per navi di grosse dimensioni come la Bahri, che non a caso ha dovuto ancorarsi al largo e usare le gru di bordo per caricare il materiale esplosivo arrivato sottobordo con apposite chiatte. Il porto di Talamone non è certo nuovo a questo tipo di traffici.
Il piccolo scalo toscano è stato storicamente utilizzato per l’esportazione di bombe, razzi, mine e siluri di produzione italiana destinati a zone di conflitto in Africa e in Medio oriente. Sempre da Talamone sono anche partite le mine prodotte dalla Valsella e vendute tanto all’Iraq quanto all’Iran negli anni Ottanta, quando i due paesi erano in guerra tra di loro.
L’export bellico
Anche questa volta i quattro container imbarcati nel porto toscano saranno stati pieni di bombe, siluri e razzi, materiale classificato come esplosivo e che rientra tra le autorizzazioni rilasciate nel 2021 dal governo.
Nel report relativo a due anni fa risulta per esempio che l’Arabia saudita abbia effettuato un pagamento pari a 21 milioni alla Simmel difesa, ma per avere un quadro più chiaro su cosa sia stato imbarcato a Talamone bisognerebbe consultare la relazione sulle autorizzazioni all’export relativa al 2022.
Ad oggi, però, questo documento non è stato ancora reso pubblico, nonostante la legge 185/90 stabilisca che il governo è obbligato a trasmettere il report alle Camere entro il 31 marzo di ogni anno. A ciò si aggiunge l’impossibilità di avere accesso ai dati sul transito di armi e armamenti per i porti italiani, non disponibili al pubblico.
In mancanza di un’analisi retrospettiva è però facile immaginare che evoluzione avrà nel prossimo futuro l’export di bombe, mine, siluri e razzi prodotti in Italia. Il governo Meloni alcuni mesi fa ha revocato il divieto di vendita di questo tipo di prodotti agli Emirati Arabi Uniti introdotto nel 2019 dall’esecutivo guidato da Conte.
Il governo aveva imposto queste limitazioni per evitare che il materiale realizzato dalla Rwm, succursale con sede in Sardegna della tedesca Rheinmetall, venisse ancora una volta utilizzato nella guerra in Yemen. Il fragile cessate il fuoco in corso da alcuni mesi nel paese del Golfo è però bastato perché Meloni riaprisse a questo tipo di commercio.
Asap e democrazia
La Rwm tra l’altro è tra le aziende che sta beneficiando maggiormente della guerra in Ucraina e che punta ad aumentare - se non proprio a raddoppiare - la produzione di munizioni pesanti e di altri tipi di munizionamento maggiormente richiesti dall’inizio del conflitto. La fabbrica negli ultimi anni ha anche ampliato i suoi stabilimenti, ma il Consiglio di Stato a inizio anno ha definito abusive le operazioni della Rwm, sottolineando che l’iter amministrativo seguito dal comune di Iglesias per il via libera alla costruzione di nuovi impianti non ha rispettato le leggi e le norme vigenti.
Altra azienda che sta traendo profitto dalla guerra e che guarda con interesse al nuovo regolamento europeo per il supporto alla produzione di munizioni (Asap) è la Simmel difesa, visitata ad aprile anche dal Commissario Ue per il mercato interno, Thierry Breton.
La Simmel punta ad ampliare la produzione per sostenere lo sforzo bellico dell’Ucraina, ma anche per rispondere al numero crescente di richieste arrivate nell’ultimo anno. L’Asap è stato pensato come strumento di supporto all’esercito di Kiev, ma tutto ciò che viene prodotto con i fondi europei potrà essere esportato anche altrove: il teso del regolamento infatti non prevede particolari limitazioni in merito.
Armi e armamenti pagati con soldi pubblici dell’Ue e stanziati con l’idea di difendere la democrazia rischiano quindi di finire nelle mani di paesi non classificabili come democratici secondo un copione già ben noto. Come dimostra la vendita di missili e siluri all’Arabia da parte dell’Italia.
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