- Non c’erano giornalisti, perché sono stati tenuti indebitamente a distanza. Gli alleati polacchi di Meloni in questo sono maestri: al confine bielorusso hanno spacciato come legge i respingimenti illegali di migranti e hanno vietato l’accesso ai media. Ma coi fatti di Catania non c’è modello che tenga: la vergogna adesso è tutta italiana.
- È cominciata con la nave Humanity 1. Ai naufraghi sopravvissuti è stato negato un porto sicuro. È stato solo consentito l’attracco nella città siciliana, per poi operare una selezione dei sopravvissuti. Senza tener conto dei diritti fondamentali, tra i quali c’è quello di asilo: l’iter per chiedere protezione è stato semplicemente e scientemente dimenticato, dal governo Meloni. Vale il suo arbitrio. Ad alcuni sopravvissuti è stato detto di scendere, ad altri di restare in nave.
- Poi al capitano della nave è stato ordinato di andar via. Non lo può fare: è illegale. E infatti Humanity 1 ha deciso di restare. Intanto, ha attraccato la Geo Barents. Altra nave, altra selezione. Intanto dall’Ungheria Orbán twittava: «Grazie Giorgia!». E la stampa continuava a esser tenuta a distanza, come testimoniato da cronisti come Sergio Scandura. Sollecitata da Domani, la federazione europea dei giornalisti (Efj) ha preso in carico il problema e lo ha denunciato al Consiglio d’Europa.
Non c’erano giornalisti, perché sono stati tenuti indebitamente a distanza. Gli alleati polacchi di Giorgia Meloni in questo sono maestri: al confine bielorusso hanno spacciato come legge i respingimenti illegali di migranti e hanno vietato l’accesso ai media. Ma coi fatti di Catania non c’è modello che tenga: la vergogna adesso è tutta italiana. È cominciata con la nave Humanity 1.
Ai naufraghi sopravvissuti è stato negato un porto sicuro. È stato solo consentito l’attracco nella città siciliana, per poi operare una selezione dei sopravvissuti. Selezione per età, per genere, per sommarie visite mediche, senza psicologi, senza traduttori, senza controlli di polizia. Senza tener conto dei diritti fondamentali, tra i quali c’è quello di asilo: l’iter per chiedere protezione è stato semplicemente e scientemente dimenticato, dal governo Meloni. Vale il suo arbitrio. Ad alcuni sopravvissuti è stato detto di scendere, ad altri di restare in nave.
Tra chi si è visto negato il diritto a scendere, c’è chi si è sentito male per il colpo e ha rischiato la vita. Poi al capitano della nave è stato ordinato – dalle autorità italiane – di andar via da Catania. Cosa che il capitano non può fare: è illegale. E infatti Humanity 1 ha deciso di restare. Intanto, domenica pomeriggio, ha attraccato la Geo Barents. Altra nave, altro carico di bambini, ragazzini, gente che fugge da torture, e altra selezione all’ingresso. Mentre tutto questo si svolgeva in Italia, dall’Ungheria il premier Viktor Orbán twittava entusiasta: «Grazie Giorgia!».
Nonostante i diritti
Sabato sera la nave Humanity 1 ha ricevuto una comunicazione dalle autorità italiane, «ma diversamente da quel che accade di norma, non ci dicevano che ci è stato assegnato un porto sicuro. La guardia costiera ci diceva solo di venire al porto di Catania», ha riferito SOS Humanity.
Il mancato riferimento al safe place non è un caso. Il decreto a firma Matteo Piantedosi (Interni), Matteo Salvini (Infrastrutture) e Guido Crosetto (Difesa) mostra una certa conoscenza del diritto, anche se poi decide di piegarlo a modo suo. Le convenzioni internazionali vengono citate tutte, e pure le principali norme europee. Dunque Piantedosi, che del resto è uomo d’apparato, sa benissimo che cosa prevede il diritto del mare. Il comandante di una nave che abbia portato in salvo uno o più naufraghi ha l’obbligo di farli sbarcare nel primo porto sicuro a disposizione.
Un porto che possa definirsi «sicuro» deve garantire l’esercizio dei diritti fondamentali, tutti: non solo i bisogni primari – cibo, cure mediche – ma anche il diritto di asilo. Ma il governo Meloni ha deciso di riscrivere le regole a modo suo, per decreto, «illegale» secondo Humanity, e che comunque non può scavalcare norme di rango superiore.
Selezione all’ingresso
Una volta arrivati a Catania, con i 179 naufraghi salvati tra il 22 e il 24 ottobre, «il nostro capitano e il nostro capo missione sono stati interrogati dalla polizia per circa quattro ore», riferisce, sempre da Humanity, Wasil Schauseil. «Poi hanno cominciato lo sbarco, iniziando dalle tre donne e dal neonato, poi una famiglia, poi i minori non accompagnati. Per i restanti, è stato chiesto al nostro medico di bordo di selezionare chi era in una “condizione di salute precaria”. Tutti, ha risposto lei. Dunque una infermiera della croce rossa e due donne dal ministero della Salute sono salite a bordo». La testimonianza si allaccia bene con la versione del Viminale: «Si fa sapere che da Humanity 1 sono stati fatti scendere tutti i migranti che versavano in condizioni emergenziali (nuclei familiari, donne e minori) e in precarie condizioni sanitarie accertate dall’Ufficio di sanità marittima, aerea e di frontiera. Sono scesi complessivamente 144 migranti, di cui 102 minori, 100 non accompagnati».
Nelle valutazioni su chi fosse vulnerabile, o «in condizioni emergenziali» per dirla con Piantedosi, sono stati esclusi fattori non da poco: come riportano da Humanity, «durante il sommario e rapido esame medico di sabato notte, quando 35 sopravvissuti sono stati considerati “in salute” dalle autorità italiane, non c’era né un traduttore per verificarne le condizioni mentali e psicologiche, né c’è stata una valutazione psicologica».
Tra i naufraghi ci sono reduci da violenze e torture in Libia, persone traumatizzate.
Respingimenti
La polizia ha interrogato capitano e capo missione, sul molo c’erano le auto delle forze dell’ordine, eppure nessuno a bordo ha considerato tra i «criteri di vulnerabilità» il diritto di asilo. Uno dei ragazzi che non erano stati selezionati per scendere è «collassato e si è ripreso dopo un lungo massaggio cardiaco, siamo stati io e l’onorevole Soumahoro a chiamare l’ambulanza perché sul posto non ce n’erano», testimonia il deputato Pd Antonio Nicita.
I 144 migranti scesi sono stati trasferiti in centri di accoglienza, ai 35 non scelti e alla nave Humanity è stato ordinato di lasciare il porto. Ma Joachim, il capitano, si è rifiutato: «Ho l’obbligo di completare il soccorso dei naufraghi sbarcando tutte le persone nel porto di Catania come porto sicuro. Non posso lasciare il porto prima». Intanto alle 16:30 è arrivata al porto di Catania la Geo Barents di Medici senza frontiere, con 572 naufraghi a bordo, e la storia si è ripetuta. «A bordo ci sono donne incinte, bambini, persone che hanno subìto ripetute violenze in Libia, e hanno bisogno di sbarcare in un posto sicuro», come riportato da Candida Lobes di Msf.
Alle 21:07 Msf riferiva la conclusione delle operazioni a bordo da parte delle autorità italiane con 357 persone fatte sbarcare e 215 trattenute a bordo.
Intanto la stampa continuava a esser tenuta a distanza, come testimoniato da cronisti come Sergio Scandura. Sollecitata da Domani, la federazione europea dei giornalisti (Efj) ha preso in carico il problema e lo ha denunciato al Consiglio d’Europa.
Ricardo Gutiérrez, il segretario generale di Efj, nota che casi simili si sono verificati in Grecia, Polonia e Ungheria e la giurisprudenza ha sempre «confermato il principio della libertà di accesso per i giornalisti, soprattutto in caso di intervento delle forze dell’ordine. Ciò che sta accadendo in Italia non mi pare normale».
© Riproduzione riservata