Secondo quanto si legge nel documento al fine di garantire una fornitura maggiore di gas alle aziende gasivore a prezzi calmierati, sarà possibile effettuare nuove estrazioni in mare. Un provvedimento che va in senso opposto alle battaglie di Meloni di qualche anno fa
- La deroga, che sarà inserita sotto forma di emendamento al decreto Aiuti ter, apre all’estrazione di gas nel Mar Adriatico, anche a partire dalle 9 miglia dalla costa.
- Il governo guidato dalla presidente Meloni interviene in una materia che era stata oggetto di referendum nel 2016 e lo fa in un modo discordante rispetto alle indicazioni di voto date dalla stessa leader di Fratelli d’Italia ai propri elettori in quella consultazione.
- A conti fatti le risorse basterebbero a coprire due anni, senza contare che una volta terminate queste risorse non ce ne sarebbero altre disponibili.
Tra le misure approvate ieri 4 novembre 2022 dal Consiglio dei ministri c’è anche lo schema “sblocca trivelle” proposto dal ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin.
Cosa dice il provvedimento
Secondo quanto si legge nel documento al fine di garantire una fornitura maggiore di gas alle aziende gasivore a prezzi calmierati, sarà possibile effettuare nuove estrazioni in mare.
La deroga, che sarà inserita sotto forma di emendamento al decreto Aiuti ter, apre all’estrazione di gas nel Mar Adriatico, anche a partire dalle 9 miglia dalla costa.
In particolare, il testo incide sul comma 17 dell’articolo 6 del decreto legislativo 152 del 2006, secondo il quale è preclusa la ricerca di nuovi giacimenti di gas nelle aree marine protette e nelle 12 miglia che separano queste aree dalla costa.
Il limite passa, dunque, a 9 e la deroga è valida solo per i siti caratterizzati da elevato potenziale minerario («limitatamente ai siti aventi un potenziale minerario di gas per un quantitativo di riserva certa superiore a una soglia di 500 milioni di metri cubi mc»).
Il referendum del 2016
Il governo guidato dalla presidente Meloni interviene in una materia che era stata oggetto di referendum nel 2016 e lo fa in un modo discordante rispetto alle indicazioni di voto date dalla stessa leader di Fratelli d’Italia ai propri elettori in quella consultazione.
Il quesito referendario chiedeva ai cittadini se volessero, al momento della scadenza delle concessioni, che le estrazioni fossero fermate anche di fronte alla presenza di gas nei giacimenti entro le 12 miglia. Non essendo stato raggiunto il quorum, all’epoca, la consultazione si era conclusa con un nulla di fatto. Ma durante la campagna elettorale Giorgia Meloni aveva invitato i propri elettori a votare “Sì” e criticato duramente l’allora presidente del Consiglio, Matteo Renzi.
Oggi, a soli sei anni di distanza, la leader di FdI non solo si pone in disaccordo col fermare nuove ricerche entro le 12 miglia, ma riduce anche questo limite a nove miglia.
Aspettative e realtà
Il cambio di rotta avviene nel contesto della crisi energetica, con la ratio dichiarata di ampliare le scorte di gas. Come Fratin stesso ha sostenuto, riferendosi allo sblocca trivelle, «si stima una quantità di 15 miliardi di metri cubi sfruttabili nell’arco di 10 anni».
Tuttavia, nelle scorse settimane l’obiettivo prefissato dal governo era quello di raddoppiare la fornitura di gas attraverso le trivellazioni. Il ministro delle imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, in un'intervista a Repubblica aveva detto: «Si può ripartire raddoppiando la produzione dagli attuali pozzi e poi con le trivellazioni nell’Adriatico centrale al largo delle coste». E la stessa Giorgia Meloni nel suo discorso programmatico sosteneva che «i nostri mari hanno giacimenti di gas che abbiamo il dovere di sfruttare a pieno». Uno scopo, quello di raddoppiare la produzione di gas con le trivelle, difficilmente raggiungibile almeno stando alle stime del Mite, secondo cui le riserve di gas definite “certe” – ovvero quelle che possono essere prodotte commercialmente con una probabilità superiore al 90 per cento –sono 39,8 miliardi di metri cubi, di cui solo 17 presenti offshore.
Accanto a queste ci sono quelle “probabili” – che possono essere estratte con una probabilità maggiore del 50 per cento – e sono altri 44,5 miliardi di metri cubi di gas. Infine, altre risorse pari a circa 26,7 miliardi di metri cubi e che si stima possano essere recuperate con una possibilità molto inferiore al 50 per cento. Se si fa la somma si arriva a 110 miliardi di metri cubi.
Per un pugno di gas
Questi dati vengono citati anche in un post su Facebook dell’ex ministro dell’ambiente, Sergio Costa. L’attuale vicepresidente della Camera in quota M5s ha sollevato perplessità in merito alla questione e scritto: «Se anche estraessimo tutto il gas dai pozzi italiani copriremmo il fabbisogno nazionale di circa due anni, poi staremo da capo a dodici, ma con un territorio distrutto. Non è una mia opinione, sono dati certificati dai documenti del ministero ex Transizione ecologica». Ricorda, dunque, tutto l’ammontare delle risorse – i 110 miliardi citati poco fa – e conclude chiarendo che «il consumo medio nazionale è di 76 miliardi di metri cubi l’anno». A conti fatti le risorse basterebbero a coprire due anni, senza contare che una volta terminate queste risorse non ce ne sarebbero altre disponibili.
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