È «l’ospedaletto». In questa sezione, distaccata dal corpo centrale, si è suicidato Balde nel 2021. Nell’indagine, archiviata, i pm hanno rilevato numerose violazioni. Ora il governo vuole riaprirlo
Dodici locali, ognuno di 28 metri quadri scarsi perché cinque sono occupati dal bagno, senza finestre. Questo è il famigerato «ospedaletto», una sezione del centro di permanenza temporanea per migranti di Torino più simile a una cella per via del piccolo cortile circondato da muri e sbarre sul soffitto.
È qui che il giovane migrante Moussa Balde si è tolto la vita, dopo 10 giorni di isolamento, il 22 maggio 2021. Come lui, le persone recluse in questa cella sono state costrette per giorni, e in alcuni casi per svariati mesi, a dormire nella stessa stanza del bagno, senza finestre, e a mangiare in solitudine, senza accedere alla mensa.
Le carte della procura di Torino, ottenute da Domani, rivelano come le persone detenute in isolamento in questo luogo hanno subito trattamenti degradanti che violano i diritti costituzionali e la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.
La valutazione dei pubblici ministeri, emersa nel corso del processo per la morte di Balde, si accompagna alla richiesta di archiviazione delle accuse di sequestro di persona nei confronti del dirigente dell’ufficio Immigrazione, responsabile della sorveglianza del centro, e dei due funzionari che hanno rinchiuso Balde nell’ospedaletto.
Il sorvegliante accusato di averlo abbandonato rinchiuso senza osservazione è stato prosciolto. Secondo i pm, che hanno rinviato a giudizio la direttrice della struttura e il responsabile sanitario per l’accusa di omicidio colposo di Balde, gli uomini della polizia hanno agito seguendo una prassi consolidata e nella convinzione che quella prassi fosse legittima, «seppure priva di qualsiasi supporto legale»: in mancanza di spazi adatti in cui isolare le persone recluse nel cpr, l’ospedaletto era infatti diventato il luogo dove i funzionari trasferivano i soggetti considerati a rischio per motivi sanitari e di ordine pubblico.
Lo stesso Balde era stato trasferito lì per «un’ipotesi di psoriasi», ma nel bagno di quella cella è morto impiccandosi con un lenzuolo.
Una prigione non ufficiale
Diversi sopralluoghi, come quelli effettuati dalla commissione del Senato nel 2014 e dal Garante nazionale nel 2018, avevano portato a definire l’ospedaletto un luogo di grave afflizione per le persone detenute, si legge negli atti. La procura ha stabilito che in questo luogo si è verificata «una condizione di isolamento e di restrizione della libertà di movimento esorbitante rispetto a quella prevista».
Il poco spazio a disposizione dei detenuti e le caratteristiche delle celle rendono le condizioni di vita all’interno dell’ospedaletto «evidentemente più degradanti» rispetto a quelle degli altri spazi abitati del cpr. L’ospedaletto era un vero buco nero: un caso unico in Italia, sostiene la procura. Nei cpr infatti «non sono previste, e quindi non sono presenti, celle di isolamento, neppure per ragioni sanitarie», è scritto nella nota del ministero dell’Interno dell’ottobre 2021 agli atti dell’inchiesta.
Anche se il decreto per la regolamentazione dei cpr e dei centri di accoglienza stabilisce che l’isolamento può essere previsto «per ragioni strettamente sanitarie» e sempre sotto sorveglianza medica, la reclusione nell’ospedaletto è stata per anni adottata come soluzione impropria a situazioni di varia natura.
Ciò sarebbe avvenuto in mancanza di altre strutture adeguate dove collocare in isolamento le persone recluse. Venivano portate lì persone in attesa di essere trasferite in ospedale, chi doveva essere isolato per evitare la trasmissione di malattie infettive, persone con problemi psichiatrici, persone transessuali, e anche coloro che i sorveglianti ritenevano necessario allontanare dagli altri detenuti per evitare scontri fisici.
Sistema infernale
La questura, emerge dalle carte, ha ammesso che l’ospedaletto è stato utilizzato a lungo su espressa disposizione degli ispettori di vigilanza anche per motivi di ordine pubblico, in assenza di una procedura che definisse la durata della permanenza del recluso al suo interno.
In alcuni casi, l’isolamento sarebbe avvenuto su richiesta degli stessi trattenuti, per timore di subire attacchi personali nei locali comuni del cpr. Di questa prassi illecita sarebbero stati a conoscenza tutti gli organi che avrebbero dovuto vigilare.
Quando poi il trasferimento nei locali dell’ospedaletto è avvenuto per motivi sanitari, ciò si è verificato senza che il medico responsabile del centro offrisse la sua necessaria valutazione, e senza sorveglianza. Contrariamente a quanto previsto, infatti, nella cella il recluso non poteva essere tenuto sotto osservazione, perché all’interno di una stanza chiusa. Questi locali si trovano inoltre a decine di metri di distanza dall’infermeria dove operava il personale sanitario. A questo proposito la procura sostiene «che Balde, che del resto non presentava alcuna patologia che consigliasse l’isolamento, non avrebbe avuto modo di suicidarsi se fosse rimasto sotto osservazione».
La mancata assistenza sanitaria nel cpr di Torino è un problema ampio: le indagini hanno rilevato che il cpr non ha adottato alcuna forma di prevenzione nei confronti del suicidio di Balde, ma nemmeno ha saputo rispondere in maniera efficace agli obblighi di cura nei confronti di tutti gli altri detenuti, compresi coloro che presentavano segnali di disagio psichico.
Un’ulteriore violazione dei loro diritti. In questa situazione, il dirigente dell’ufficio Immigrazione a capo della sorveglianza del centro e i due funzionari che hanno chiuso illegalmente Balde nell’ospedaletto avrebbero agito in linea con le direttive stabilite dalla questura, mai sanzionate, nonostante le drammatiche conseguenze messe in luce dalle indagini.
A marzo 2023 lo stesso ministero dell’Interno ha sostenuto in una nota che nei cpr l’isolamento può avvenire anche per motivi di ordine pubblico, «con interpretazione – a parere dei pm – non conforme con la ratio normativa». In pratica la morte di Moussa Balde sarebbe il frutto di un fraintendimento della legge.
Il cpr di Torino è chiuso da marzo 2023, dopo l’ultima rivolta dei reclusi. Nonostante le anomalie riscontrate, il centro è nell’elenco, rivelato da Domani alcune settimane fa, delle strutture che il governo avrebbe intenzione di rimettere in funzione. Tuttavia, dice Marco Grimaldi, deputato di Alleanza verdi e sinistra, «i lavori di ristrutturazione sono fermi e quegli spazi non sono affatto idonei a ospitare detenuti per così lunghi periodi di tempo».
© Riproduzione riservata