I naufragi si susseguono, sono oltre cento le vittime accertate in 24 ore. Sei vittime al largo di Lampedusa e il dramma della morte del piccolo Joseph di sei mesi, salvato troppo tardi. Sulle coste di Khums altri 74 morti, e l’accertamento di altri 20 da parte di Medici senza frontiere sempre sulle coste libiche
L’emergenza migranti non si ferma, sono oltre 150 le persone in mare a sud di Lampedusa, tra di loro anche tre neonati. L’allarme lo lancia Alarm Phone, il numero di emergenza auto-organizzato per migranti in difficoltà nel mar Mediterraneo:
«Dopo molte ore senza contatto con la barca con circa 70 persone a bordo, questa mattina siamo riusciti a ricollegarci. Adesso sono vicini a Lampedusa e dicono che una nave vicino a loro si è appena allontanata».
Ieri pomeriggio la telefonata da persone in fuga dalla Libia. «Molte persone hanno problemi di salute e necessitano soccorso immediato. Le autorità sono informate. Interverranno o lasceranno le persone annegare anche questa volta?». Sono in preda al panico. «Dicono che due persone abbiano perso conoscenza e che la situazione a bordo stia peggiorando. Esortiamo le autorità italiane ad accelerare i soccorsi: ogni minuto conta».
Un’ora prima l’allarme di un altro gommone: 89 persone. Anche loro al largo dell’isola siciliana: «è ora di finire i giochi politici ed evitare un’altra tragedia. Salvateli ORA!». Rischia di affondare.
Alla fine di questa settimana non si conteranno più i naufraghi, mentre il tragico contatore del Mediterraneo segna altri cento morti.
Sono state sei mercoledì le vittime, nonostante Open Arms alla fine del lunghissimo giorno abbia salvato la vita a duecento persone. Non ce l’ha fatta neanche il piccolo Joseph, raccolto dalle onde in gravi condizioni. Si è spento a sera, nonostante il personale medico a bordo della nave avesse chiesto un trasbordo urgente. L’elicottero della guardia costiera è arrivato troppo tardi.
Lo stato ha bloccato tutte le navi delle Ong, l'unica attualmente attiva nel Mediterraneo centrale è quella di Open Arms.
La Ong spagnola ha deciso di pubblicare il video di dolore della madre che ha perso suo figlio tra le onde. Poco dopo salvato inutilmente.
L’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini, che ha fatto della chiusura dei porti il suo vanto e attualmente indagato per sequestro di migranti per aver impedito loro di sbarcare in più occasioni, ha commentato in tv dicendo che il problema è dei barconi che partono.
Open Arms nella foga dei salvataggi in un primo momento aveva detto che la piccola vittima era una bimba, rettificando a breve già mercoledì. A parte la svista, l’ex ministro non ha fatto alcun riferimento alle torture che i migranti subiscono in Libia, paese di passaggio da cui scappano e dove, secondo Salvini, dovrebbero restare.
La strage di Kuhms
Mentre giovedì si piangeva il piccolo Joseph, un devastante naufragio ha causato la morte di altri 74 migranti al largo di Khums, in Libia. La notizia è stata riferita da personale dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim).
L’imbarcazione trasportava oltre 120 persone, tra cui donne e bambini. Quarantasette sopravvissuti sono stati portati a riva dalla Guardia Costiera libica e da pescatori, 31 corpi sono stati recuperati. Proseguono le ricerche delle vittime.
«La perdita di vite umane nel Mediterraneo è una manifestazione dell'incapacità degli stati di intraprendere un'azione decisiva per dispiegare un sistema di ricerca e soccorso quanto mai necessario in quella che è la rotta più mortale del mondo», ha detto Federico Soda, capo missione dell'Oim Libia.
«Migliaia di persone vulnerabili continuano pagare il prezzo dell'inazione, sia in mare sia sulla terraferma».
L’associazione ha ricordato le condizioni in cui migliaia di persone si trovano bloccate nel paese prima di riuscire a intraprendere i viaggi con cui rischiano la morte.
«Il peggioramento delle condizioni umanitarie dei migranti detenuti in centri sovraffollati, i diffusi arresti arbitrari e la detenzione, le estorsioni e gli abusi sono allarmanti». Per loro è necessario che la comunità internazionale si decida a prendersi la responsabilità di prestare soccorso a chi fugge: «In assenza di ogni sicurezza per i migranti riportati nel Paese, la zona di ricerca e soccorso libica deve essere ridefinita per consentire agli attori internazionali di condurre operazioni di salvataggio».
Lo stesso giorno, Medici senza frontiere ha certificato la morte di almeno altri venti naufraghi a Sorman. Sono sopravvissute solo tre donne, assistite dai pescatori libici.
Medici senza frontiere chiede di prestare soccorso.
La ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, rispondendo a Fabio Fazio a Che tempo che fa domenica scorsa ha detto che le navi delle Ong sono state fermate perché «avevano aspetti tecnici che potevano costituire un pericolo anche se avessero prestato soccorso in mare a chi ne avesse avuto bisogno». E in mare a dare aiuto è rimasta solo Open Arms.
Non sono numeri
L’Oim ha fatto il tetro conto. Quest'anno sono almeno 900 le persone che sono annegate nel Mediterraneo nel tentativo di raggiungere le coste europee, alcune a causa di ritardi nei soccorsi. Più di 11.000 altri migranti sono stati riportati in Libia, in un paese dove possono rischiare di subire violazioni dei diritti umani, detenzione, abusi, tratta e sfruttamento, come documentato dalle Nazioni Unite.
Dall'inizio di ottobre circa 1.900 migranti sono stati intercettati in mare e riportati in Libia mentre almeno 780 dei migranti arrivati in Italia nello stesso periodo provengono dalle coste libiche.
Il peggioramento delle condizioni umanitarie dei migranti detenuti in centri sovraffollati, i diffusi arresti arbitrari e la detenzione, le estorsioni e gli abusi sono allarmanti. In assenza di ogni sicurezza per i migranti riportati nel paese, la zona di ricerca e soccorso libica deve essere ridefinita per consentire agli attori internazionali di condurre operazioni di salvataggio.
L'Oim sostiene che la Libia non è un porto sicuro e ha chiesto ancora alla comunità internazionale e all'Unione europea di intraprendere azioni urgenti e concrete affinché i migranti non vengano più riportati in questo paese.
«Le continue restrizioni al lavoro delle Ong – dice l’associazione – devono essere immediatamente rimosse e i loro interventi devono essere riconosciuti quali attività che rispondono all’imperativo umanitario di salvare vite umane».
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