- Nel Centro di permanenza per i rimpatri di Gradisca d’Isonzo, comune di seimila anime vicino Gorizia, negli ultimi due anni sono morte quattro persone.
- «All’interno le condizioni delle persone sono peggio di quelle degli animali in gabbia allo zoo», racconta l’ex senatrice Paola Nugnes
- Ora le storie di questa umanità fragile e sofferente, raccolte dalle ex parlamentari Nugnes e Sarli, sono ora all’esame dei magistrati.
Bahssin (il nome è di fantasia ma la sua storia è tragicamente vera) ha appena 19 anni, ed è arrivato in Italia dal Marocco quando non aveva ancora raggiunto la maggiore età, da minore straniero non accompagnato.
Secondo quanto prevede la normativa italiana, è stato da subito accolto presso una struttura Sai/ex Sprar, dove ha svolto un ottimo percorso di integrazione linguistica, lavorativa e scolastica. Quando nel 2021 ha compiuto 18 anni, però, ha dovuto lasciare il Centro. Ed è iniziata la sua odissea.
Vita ai margini
Il giovane marocchino è finito a vivere in strada, senza alcuna possibilità di rinnovare il proprio permesso di soggiorno. Così, quando è stato fermato dalla polizia per un semplice controllo dei documenti, è stato immediatamente trasferito in un Centri di permanenza per i rimpatri dove ha trascorso mesi in una cella.
Senza aver commesso alcun reato Basshin è entrato in un girone infernale. Recluso a Gradisca d’Isonzo, seimila anime in provincia di Gorizia. Una condizione che all’inizio il giovane uomo ha fatto fatica ad accettare, tanto che ha cercato di impiccarsi.
Quando la scorsa estate le allora parlamentari Paola Nugnes (ex M5s) e Doriana Sarli (M5s) hanno raccolto l’invito dell’associazione LasciateCientrare e hanno visitato il Cpr di Gradisca, hanno trovato Basshin in una cella di isolamento, «assolutamente deperito, in sciopero della fame, tremante e con ben visibili lesioni autoimposte». Ma per il giudice di pace che aveva convalidato la permanenza nel Centro, era «idoneo al trattenimento».
«Quando siamo entrate lì dentro il 17 giugno scorso ci hanno accolto sbarre altissime e pareti di vetro, in un clima di militarizzazione costante», dice l’ex senatrice Nugnes. «Siamo riuscite, con non poche difficoltà, a incontrare nel giro di otto ore tutte le 86 persone detenute. Molte di queste avevano legami con il nostro territorio. C’era un cittadino serbo che ci ha mostrato i certificati di nascita dei figli nati in Italia; un cittadino pakistano, ora rimpatriato, aveva con sé decine di fotografie scattate insieme alla moglie e i figli, anche questi nati in Italia. Un cittadino tunisino, invece, aveva sposato una donna italiana che, qualche giorno dopo la nostra visita ci ha contattato attraverso Facebook per chiederci di aiutarla a rivedere suo marito».
Diritti violati
Le storie di questa umanità fragile e sofferente, raccolte dalle ex parlamentari, sono ora all’esame dei magistrati. Tra tutte quella che colpisce di più è il calvario di un uomo che è passato attraverso tre ospedali psichiatrici giudiziari – Modena, Bologna, Torino – per poi arrivare al Centro di permanenza per il rimpatrio di Gradisca D'Isonzo.
Qui, nella cella di isolamento dove è stato recluso, l’uomo soffre di allucinazioni e pensa di dormire accanto alla mamma. Si muove in punta di piedi all’interno dei sedici metri quadrati che gli sono concessi. Mangia con le mani per non far rumore con le posate di plastica usa e getta.
Eppure, lo psichiatra del Centro l’ha definito in una perizia «idoneo al trattenimento». E questo nonostante un tentativo di suicidio, i disturbi specifici di personalità e le psicosi legate all’assunzione di psicofarmaci, a cui si devono aggiungere patologie come l’epatite B e l’obesità.
Secondo i legali Stella Arena, Carmine Malinconico, Martina Stefanile e Gianluca Vitale, si tratta di casi in cui appare evidente la lesione di importanti diritti sanciti dalla nostra Costituzione e dalle norme internazionali. Per questo, assieme a Nugnes e Sarli, hanno presentato un esposto alla procura della Repubblica di Napoli indirizzato a quella di Gorizia, «in cui la compiuta esposizione dei fatti osservati e l’individuazione di diverse ipotesi di reato su cui sarà compito della Procura indagare, si pone come un atto di doveroso senso civico, istituzionale e di giustizia».
Il parlamento sa
Prima dei magistrati, erano stati il parlamento e l’allora ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, a essere informati delle condizioni di sofferenza degli stranieri detenuti nel Cpr di Gradisca.
Due interrogazioni, una presentata da Sarli insieme ad altre ex deputate del gruppo Manifesta e di Forza Italia in commissione Affari costituzionali alla Camera e una in Senato da Nugnes e dalla senatrice, Virginia La Mura (M5s), erano state presentate al ministero dell’Interno.
Si chiedeva alla ministra «quali iniziative urgenti intenda mettere in atto per garantire l’effettiva attuazione dello schema di capitolato d’appalto da parte dell’ente gestore del Cpr di Gradisca d’Isonzo». Le interrogazioni non hanno mai ricevuto risposta.
Ombre sui gestori
Tra i fatti riscontrati e ora all’attenzione degli inquirenti vi sono, si legge nella denuncia, «una situazione igienico sanitaria preoccupante, letti senza materassi, latrine in condizioni indegne».
Quanto basta ad accusare di irregolarità la cooperativa che nell’agosto del 2019 si è aggiudicata una gara d’appalto da quasi 5 milioni di euro l’anno: la onlus Edeco, che poi ha cambiato denominazione in Ekene nel marzo del 2021.
Come ha svelato il rapporto “Buchi neri. La detenzione senza reato nei Centri di permanenza per i rimpatri”, curato dai legali Federica Borlizzi e Gennaro Santoro per la Cild, la Coalizione italiana libertà e diritti civili: «Edeco è una cooperativa sociale padovana nata, con altro nome, nel 2011 e che, nel corso degli ultimi 10 anni, ha spesso modificato denominazione, già oggetto di interrogazioni parlamentari e di procedimenti giudiziari collegati alla gestione nel settore dell’accoglienza». Ciò non ha impedito alla coop di vincere l’appalto milionario per la gestione del Cpr, bandito dal ministero dell’interno.
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