La «bianca», la cocaina, ormai nel capoluogo lombardo la smerciano tutti. Così chi spaccia è «costretto» a cambiare business, virando su un prodotto meno remunerativo e più richiesto come la marijuana. Gli atti dell'inchiesta «Royale» ricostruiscono come si è trasformata una delle maggiori piazze di spaccio d'Italia
- Da un’inchiesta della Dda di Milano su traffico e spaccio di droga emerge uno spaccato interessante sul mercato della cocaina a Milano in tempi di Covid: l’abbondanza dell’offerta è tale che non sarebbe più remunerativa.
- A pensarla così sono due indagati in quest’indagine, che si erano buttati sulla produzione e traffico di marijuana in Spagna per trovare un prodotto con maggiore richiesta, come emerge da un’ordinanza di custodia cautelare che ha portato oggi all’arresto di otto persone.
- Nel paese iberico la polizia ha scoperto una grossa piantagione e sequestrato 7.875 piante, per un valore di mercato di 20 milioni di euro.
A Milano la cocaina non gira a fiumi solo nelle feste di Alberto Genovese, l'imprenditore finito in carcere con l'accusa di stupro e diventato famoso per i party organizzati sulla sua terrazza Sentimento, in pieno centro e molto vicino a piazza Duomo, dove la «bianca» veniva servita agli ospiti su piatti di portata, come fosse finger food o un aperitivo. Ce ne sarebbe talmente tanta, ormai, anche in periferia e nella prima cintura urbana, che si rischierebbe addirittura di non riuscire a venderla. Meglio buttarsi su altre sostanze stupefacenti, come la marijuana, che avrebbero un miglior rendimento, soprattutto se a a «filiera corta», per usare un gergo tanto di moda adesso.
Questo curioso spaccato del mercato della droga milanese – decisamente spiazzante e lontano dal senso comune delle cose – emerge dalle intercettazioni contenute in un'ordinanza di custodia cautelare relativa agli ultimi sviluppi dell'inchiesta «Royale» della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo lombardo (che coordina il Gico della Guardia di finanza e la Polizia locale), guidata dal procuratore aggiunto Alessandra Dolci, grazie alla quale sono state arrestate otto persone di nazionalità italiana e albanese.
Non si tratta, quindi, di uno studio approfondito, ma di riflessioni empiriche, o meglio di marketing spicciolo basato sui riscontri giornalieri di mercato di alcuni dei protagonisti di questa vicenda. Non per questo motivo meno interessante, però, e meritevole di un serio approfondimento da parte degli investigatori e degli analisti per comprendere le macro dinamiche di una delle maggiori piazze di spaccio d'Italia, da sempre considerata la più lucrosa per il business della cocaina che permette guadagni incredibili alle organizzazioni criminali, ‘ndrangheta in primis.
In una conversazione captata in Spagna nell'auto di uno degli indagati nel giugno del 2020, quando Milano iniziava a rialzarsi dopo la prima ondata della pandemia da Covid-19, due dei protagonisti di questa storia si lasciano andare a una serie di considerazioni piuttosto interessanti e contro intuitive. «A Milano anche se hai la bianca (la cocaina, ndr), ce l'hanno tutti. Non si vende facilmente. Perché ce l'hanno gli altri... Noi abbiamo tenuto la bianca in casa per mesi», dice uno all'altro, proseguendo: «Io ho ordinato sempre tanto ed è rimasta in casa, perché? Perché ce l'hanno tutti! È una cosa che non va così tanto come questa (la marijuana, ndr). Quando vendevo io la bianca con P. si vendeva, perché a noi appena ci arrivava la cedevamo direttamente perché non ce n'era tanta in giro, non trafficavano tutti, invece adesso anche le donne lo fanno. Lo fanno tutti, gli italiani sono una razza che non ha paura. Anche se finiscono in carcere, loro fanno (spacciano, ndr) droga lo stesso».
L’eccessiva offerta rispetto alla domanda di cocaina sulla piazza di Milano, commenta il gip di Milano nell'ordinanza, era divenuta tale che lo stesso loro stabile acquirente aveva momentaneamente cessato di trafficare in tale tipologia di stupefacente «E. prendeva otto (chilogrammi, ndr) a settimana! Otto a settimana! Perché c'era lavoro. Invece adesso gli dai la bianca e ti dice «non la voglio, non ho dove portarla». Otto a settimana la comprava con i soldi in mano giuro sulla testa dei miei figli! Avevo due punti di guadagno (2mila euro al chilo, ndr), sono 16mila a settimana. Come non si fanno i soldi? Si fanno eccome. Tu puoi dire: non c'è più in Italia perché lo fanno tutti. Fanno tutti droga».
Questa constatazione, scrive il gip, aveva spinto i due indagati a diversificare la loro attività, prevedendo di inserirsi nel mercato della marijuana del tipo Amnesia e hashish tipo Kritical, anche se il margine di guadagno sarebbe stato inferiore rispetto a quello che la cocaina garantiva un tempo. Per tale ragione, avevano pianificato e stavano realizzando grosse coltivazioni nel territorio spagnolo, geograficamente e logisticamente vicino all’Italia, che sono state oggetto di sequestro in collaborazione con la Brigata regional della polizia spagnola. La piantagione di cannabis più imponente era nascosta in una zona boschiva dell'area naturale di Noguera Ribagorzana. Ma ce n'era altra indoor. Sono state sequestrate 7.875 piante per un peso complessivo di quasi 5,8 tonnellate e un valore di mercato di 20 milioni di euro.
© Riproduzione riservata