- Calogero Antonio, detto Antonello, Montante parla. Lo fa nel corso del processo d’appello che lo vede imputato per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione.
- L’ex vicepresidente di Confindustria con delega alla legalità ha parlato per quattro udienze, ma più che smontare pezzo a pezzo l’impianto accusatorio, ha rilanciato la solita litania contro inquirenti e giornalisti, i pochi che di lui si sono occupati, sostenendo la fantasiosa tesi del complotto ai suoi danni.
- Messaggi obliqui, mezze frasi, schizzi di fango senza entrare mai nel merito delle accuse.
Calogero Antonio, detto Antonello, Montante parla. Lo fa nel corso del processo d’appello che lo vede imputato per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione. L’ex vicepresidente di Confindustria con delega alla legalità ha parlato per quattro udienze, ma più che smontare pezzo a pezzo l’impianto accusatorio, ha rilanciato la solita litania contro inquirenti e giornalisti, i pochi che di lui si sono occupati, sostenendo la fantasiosa tesi del complotto ai suoi danni. Messaggi obliqui, mezze frasi, schizzi di fango senza entrare mai nel merito delle accuse.
La replica del questore
Il verbo di Montante ferisce chi, in questi anni, ha indagato su di lui e sul sistema di protezioni, dossieraggio, relazioni che aveva messo in piedi. Il questore di Caltanissetta, Emanuele Ricifari, non si è trattenuto e ha affidato ai social la sua replica contro le farneticazioni dell’imputato eccellente. «Tentativo (ormai fallito) di avvelenare pozzi di un’inchiesta minuziosa. Da già condannato a 14 anni e mezzo in abbreviato, dopo aver annunciato rivelazioni storiche, rivela una realtà di chiacchiere consunte e messaggi, deboli, trasversali. A difesa: il nulla cosmico».
Il questore parla per difendere le istituzioni e gli uomini che le rappresentano, quelli che, in questi anni, non hanno creduto alla favola bella del campione della legalità, idolatrato da tanti. «La prova provata che l’indagine è stata minuziosa e che la raccolta di prove è a prova di bomba. Questo è fumo colorato senza arrosti», dice il questore. Montante, però, non arretra e si lancia in proditori attacchi contro cronisti e inquirenti. Ne ha per tutti. Per il questore Ricifari: «Sorprendente che il questore di Caltanissetta, che dovrebbe mantenere un contegno istituzionale, si abbandoni e condivida sui social esternazioni di stile calcistico di giornalisti faziosi e di parte (non rendendosi neppure conto di quanto le stesse risultino offensive per la corte) anticipando gli esisti di una sentenza di conferma (dallo stesso evidentemente auspicata)».
Contro i giornalisti
I giornalisti faziosi sono l’altro capitolo. Uno è Mario Barresi, rigoroso cronista della Sicilia, che ha raccontato il processo, ma poi c’è chi ha osato, negli anni, descrivere ogni tassello dell’ingranaggio di potere del sistema Montante. Frasi già pronunciate e per le quali il fu campione di legalità è imputato per calunnia e diffamazione. In aula, infatti, Montante ha sparlato di Attilio Bolzoni e del fratello Pietro. Attilio Bolzoni (collaboratore di questo giornale, ndr) è il cronista che da oltre tre decenni racconta la Sicilia, dalle stragi degli anni ’80 alla mafia degli affari.
Bolzoni ha avuto l’ardire di firmare, nel 2015, uno dei suoi tanti scoop svelando l’esistenza di un’indagine per mafia a carico di Montante che all’epoca era considerato, campione e depositario della legalità sull’isola e non solo. Depositario di legalità e regista di governi regionali, scalate politiche e imprenditoriali. Gli articoli e la denuncia pubblica non sono graditi e così parte la controffensiva di Montante, già cavaliere della Repubblica che su Bolzoni ha mosso la macchina del fango, ha azionato il ventilatore per sporcare una carriera adamantina. Il tentativo è abortito con la procura che ha inviato a Montante un avviso di conclusione delle indagini per diffamazione aggravata proprio ai danni del giornalista.
Durante il processo d’appello per associazione a delinquere, Montante usa la sua difesa, risultata carente e arrendevole, e la trasforma in una messa in stato d’accusa di chi ha osato occuparsi della sua storia. Dall’altare dove lo avevano collocato ministri, generali, magistrati, Montante è presto precipitato nella polvere. Il suo sistema teneva insieme decine di uomini dello stato, compresi giornalisti, a disposizione dell’imprenditore, ex vicepresidente di Confindustria con delega alla legalità.
In un altro procedimento è coinvolto per associazione a delinquere insieme all’ex presidente regionale Rosario Crocetta. Un sistema che lo stesso Montante, nel 2016, mentre è intercettato racconta così: «Non conoscono il nostro sistema di architettura perfetto. Ricordatelo, è l’architettura di come si agisce dentro la politica, dentro certe istituzioni». Bolzoni che ha contribuito a smontare questa architettura raccontandola, oggi è vittima della campagna calunniosa. Montante, in quattro udienze, ha parlato solo un’ora dei capi di imputazione, il resto del tempo lo ha impiegato per infamare Alfonso Cicero, principale teste di accusa, e i nemici di sempre.
Ingiurie e fandonie
«Non è giusto sporcare la reputazione delle persone», dice Attilio Bolzoni in aula. Il giornalista è stato richiamato dalla presidente e ha chiesto scusa. Il suo è lo sfogo sacrosanto di chi ha dovuto riascoltare insulti e dicerie. Montante ne ha anche per il presidente della commissione antimafia Nicola Morra che si è presentato a Caltanissetta per fare sentire la presenza delle istituzioni al fianco di chi ha mandato a processo il sistema di relazioni e favori targato Montante. «La fiducia e il rispetto che Montante e i suoi difensori nutrono per la corte nissena, fanno ritenere che eventuali intenti intimidatori che fossero stati coltivati dall’onorevole Morra con il suo intervento altamente mediatizzato e con le sue valutazioni, sarebbero respinti al mittente, pur non potendosi non evidenziare un atteggiamento del parlamentare non proprio in linea con la sua istituzionale posizione di imparzialità», dice l’avvocato Carlo Taormina che difende l’ex presidente di Confindustria.
La sentenza d’appello è attesa nelle prossime settimane, «giustizia sarà fatta» annuncia Montante, ma a dare il senso di queste udienze è il procuratore generale Giuseppe Lombardo. Ignora le secchiate di fango ed esaurisce il suo intervento in pochi quesiti: «Visto che non s’è entrato nei campi di imputazione mi limito a due domande».
Quello che si è visto, in questi giorni, sembra l’anticipazione del finale. La corte fa parlare l’imputato all’infinito, lui usa buona parte del suo tempo per seminare fandonie e ingiurie così gli atti del processo non vengono neanche messi in discussione, prove granitiche che Montante tenta inutilmente a nascondere sotto una colata di fango.
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