- Antonio Vaccarino è morto per arresto cardiaco nell’ospedale di Catanzaro dove era stato trasferito dopo che si erano aggravate le sue condizioni di salute dopo aver contratto il coronavirus.
- Era in carcere dall’aprile 2019, da tempo i suoi avvocati chiedevano la revoca della detenzione in carcere i domiciliari, richieste sempre respinte.
- Nel 2003, conoscendo bene la famiglia Messina Denaro, offre un contributo per la cattura di Matteo Messina Denaro. Il Sisde accetta e inizia la corrispondenza. Vaccarino si firma Svetonio, il boss Alessio.
Antonio Vaccarino è morto per arresto cardiaco nell’ospedale di Catanzaro dove era stato trasferito dopo che si erano aggravate le sue condizioni di salute dopo aver contratto il coronavirus. Vaccarino è l’uomo dei misteri, capace di intessere una fitta rete di comunicazioni con il latitante Matteo Messina Denaro, di rappresentare per i servizi segreti un utile collaboratore ai fini della cattura del boss di cosa nostra, ma ritenuto anche un favoreggiatore dei clan. Vaccarino era un personaggio, insomma, dai mille volti, condannato per traffico internazionale di stupefacenti negli anni novanta, assolto dall’accusa di collusione con la mafia, ma nuovamente invischiato in un’inchiesta per favoreggiamento che lo aveva visto condannato in primo grado a sei anni. Era in carcere dall’aprile 2019, da tempo i suoi avvocati chiedevano la revoca della detenzione in carcere i domiciliari, richieste sempre respinte. Un mese fa la richiesta era stata finalmente accolta, ma le condizioni di salute erano peggiorate, Vaccarino era finito in terapia intensiva colpito dalla polmonite interstiziale bilaterale.
Le lettere di Svetonio
Nel 2003 al governo del paese c’è Silvio Berlusconi, al ministero dell’Interno Beppe Pisanu. Il braccio destro del presidente del Consiglio, Marcello Dell’Utri, è sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa mentre il mafioso Vittorio Mangano, stalliere ospite nella villa di Arcore negli anni Ottanta, viene dipinto come una brava persona. Tuttavia magistratura e forze dell’ordine sono alla caccia dei boss stragisti.
All’epoca decine di mafiosi sono latitanti, tra questi anche il capo assoluto Bernardo Provenzano, poi arrestato nel 2006, durante le elezioni. Nella lunga lista c’è, ovviamente, Matteo Messina Denaro. Per catturarlo si muovono persino i vertici dei servizi segreti, il generale Mario Mori e i suoi collaboratori, tra gli altri Giuseppe De Donno.
Mori e De Donno, successivamente, saranno coinvolti nel processo sulla trattativa tra lo stato e la mafia stragista: in primo grado Mori è stato condannato a dodici anni di carcere, a otto anni De Donno per i rapporti intrattenuti con il sindaco mafioso Vito Ciancimino, quando entrambi erano al Ros, il raggruppamento operativo speciale dei carabinieri.
Mori nel 2003 è il numero uno del Sisde, il servizio segreto civile, dove lavora anche De Donno come capo della segreteria operativa. Quell’anno al Sisde arriva una lettera firmata da Antonino Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano, il paese trapanese dei Messina Denaro. Vaccarino, di professione insegnante, si rende disponibile a collaborare per indagini contro la criminalità organizzata. Vaccarino non è uno qualunque, è stato processato e assolto per mafia, ma condannato per traffico internazionale di stupefacenti. In particolare, conoscendo bene la famiglia Messina Denaro, è pronto a dare un contributo per la cattura. Il Sisde accetta e inizia la corrispondenza. Vaccarino si firma Svetonio, il boss Alessio. Domani ha raccontato il giallo Vaccarino in uno speciale dedicato alla latitanza di Matteo Messina Denaro.
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