- «In alternativa alla scrittura continuerei a scrivere in altra maniera: è un vizio». Il suo nome si trova nella prima pagina di Repubblica sotto quello della testata.
- Nella sua lunga carriera ha visto e raccontato gli scandali della repubblica, Sifar, Enimont, Tangentopoli: «Un giornale con una linea senza uno scoop è noioso».
- Con lui alla guida alcune tra le più importanti inchieste scritte in Italia. Strenuo oppositore di Berlusconi, «non credente nelle religioni» ma amico di papa Francesco e negli ultimi anni dedito alla filosofia.
Gianni Minoli ha detto di lui che «i suoi editoriali sono per molti potenti la prima lettura del mattino». È morto a 98 anni Eugenio Scalfari, il fondatore dell’Espresso e di Repubblica, di cui è stato anche direttore fino al 1996. Da allora ha continuato a scrivere come editorialista raccontando tutti i passaggi della storia italiana, prevedendo gli sviluppi della politica e facendo comunque discutere.
Nato a Civitavecchia nel 1924, ricordava di essere venuto al mondo il giorno delle elezioni che avevano portato al delitto di Giacomo Matteotti, il deputato rapito e assassinato dai fascisti. Già giornalista, nel 1955 aveva deciso di creare, con Arrigo Benedetti, la rivista L'Espresso.
Deputato per il Partito socialista italiano (1968-72), nel 1976 ha fondato il quotidiano La Repubblica di cui è stato direttore. Vicepresidente del gruppo editoriale L'Espresso, negli anni è stato insignito di prestigiose onorificenze, come quella di cavaliere di Gran Croce della Repubblica italiana (1996) e di chevalier de la Légion d'honneur (1999).
La vita
Laureatosi in giurisprudenza, Scalfari ha iniziato la sua carriera giornalistica nel 1950 come collaboratore del Mondo di Mario Pannunzio e dell’Europeo di Arrigo Benedetti. Nel 1955 ha partecipato con il gruppo degli "Amici del mondo" alla fondazione del Partito radicale, di cui ha ricoperto la carica di vicesegretario nazionale (1958-63).
Dopo aver diretto L'Espresso (1963-68), è stato alla direzione del quotidiano La Repubblica fino al 1996, restandone poi direttore onorario e raffinato editorialista. Il suo nome si trova ancora nella prima pagina del quotidiano sotto quello della testata. Nella sua lunga carriera ha visto e raccontato gli scandali della repubblica, da Sifar a Enimont, fino a Tangentopoli.
L’Espresso e Repubblica
Prolifico autore di saggi, ha raccontato la nascita delle sue testate in La sera andavamo in via Veneto: «La mattina del 22 settembre del 1955 ci trovammo per la prima volta io ed altri nove colleghi all’indirizzo di via Po, prima sede dell’Espresso trent’anni fa. Dire che quella mattina, in quei pochi metri quadrati di spazio ci fossa animazione è dire assai poco: eravamo agitati, emozionati, felici, impauriti allo stesso tempo. Sembrava di partecipare al varo di una nave, della quale però nessuno – neppure Benedetti ed io che pure ne avevamo discusso e ci avevamo studiato sopra per lunghi mesi – conosceva con esattezza forma, dimensioni e strutture».
Diventerà uno dei più importanti settimanali in Italia, a partire dal titolo storico “Capitale corrotta, nazione infetta” per l’articolo firmato da Manlio Cancogni, una copertina che ha segnato il 1955 e la storia del giornalismo. Celebri le rubriche e le inchieste di Camilla Cederna, la stessa giornalista che scrisse il libro che ha portato alle dimissioni del presidente della Repubblica, Sergio Leone, o la rubrica di Umberto Eco “La bustina di Minerva” pubblicata sull’ultima pagina del settimanale dagli anni Ottanta fino alla sua morte, nel 2016.
Il 13 gennaio 1976 è la volta della Repubblica. «A tenere a battesimo il nuovo giornale c’erano, intorno a quella rotativa semiartigiana, Giorgio Mondadori e Mario Formenton» e «Gianfranco Alessandrini e Lio Rubini» ha raccontato Scalfari. Con una redazione di 40 giornalisti come Giorgio Bocca, Natalia Aspesi, Enzo Forcella, Corrado Augias, Miriam Mafai, Barbara Spinelli e molti altri che diventeranno tra le firme più lette del giornalismo italiano.
La tiratura iniziale era di 100mila copie e sono state vendute tutte. Nella nota di presentazione scriveva: «Questo giornale è un po’ diverso dagli altri: è un giornale di informazione il quale, anziché ostentare un’illusoria neutralità politica, dichiara esplicitamente di avere fatto una scelta di campo. È fatto da uomini che appartengono al vasto arco della sinistra italiana».
Scalfari, che nella sua lunga carriera ha coltivato da ateo – anzi da «non credente nelle religioni» come specificava - anche l’amicizia con papa Francesco, ha raccontato da vicino ogni passaggio cruciale della vita della nazione. Ha avuto modo di intervistare il segretario del Partito Comunista Enrico Berlinguer: «Lui chiedeva di rivedere il testo». Ed è sempre di Scalfari quella che è considerata l’ultima intervista ad Aldo Moro, il segretario della Dc rapito e ucciso dalle Brigate rosse, pubblicata postuma.
Berlusconi, Salvini e Renzi
Dagli anni Novanta ha portato avanti una lunga battaglia contro Silvio Berlusconi: «Sono stato amico intimo di Berlusconi quando non faceva politica».
Scalfari, nonostante le alterne vicende editoriali, non ha mai smesso di scrivere su Repubblica. Nel 1987 Carlo De Benedetti (ora editore di Domani) è diventato editore dell’Espresso e di Repubblica attraverso la Cir, acquisendo una partecipazione rilevante nella Arnoldo Mondadori Editore e, attraverso di essa, nel gruppo. Dopo il distacco da Mondadori nel 1998 è nato il gruppo editoriale l’Espresso che includeva entrambe le testate, finché nel 2016 si è fuso con il Itedi, diventando Gedi di Agnelli-Elkann a cui si è aggiunto nel 2022 il recente passaggio dell’Espresso all’imprenditore campano Danilo Iervolino.
Ancora nel 2019, Scalfari ha dimostrato la sua lungimiranza politica preconizzando la futura alleanza tra Matteo Salvini, Luigi Di Maio e Matteo Renzi che poi si verificherà nel governo di larghe intese presieduto da Mario Draghi.
Tra i suoi ultimi articoli pubblicati su Repubblica, un editoriale sulla guerra in Ucraina: «L’Europa ha una ferita nel cuore, si chiama Russia, che ha a sua volta un'altra ferita ancora più grande, si chiama Ucraina».
Negli ultimi anni si è dedicato alla filosofia: «Hai vissuto una vita piena se hai potuto realizzare te stesso al meglio delle tue capacità ed hai conosciuto amore e dolore accettando i tuoi limiti. Naturalmente questa vita piena è tutt'altro che facile e semplice. Perché anche l'esistenza più ricca non può aggirare la presenza incombente della morte».
Scalfari ha raccontato il suo percorso umano e professionale in un’autobiografia e infine in un romanzo firmato da Antonio Gnoli e Francesco Merlo: Gran Hotel Scalfari. Confessioni libertine su un secolo di carta (2019). «In alternativa alla scrittura – diceva al collega Gianni Minoli –, continuerei a scrivere in altra maniera: è un vizio». La sua linea editoriale travalicava la teoria: «Un giornale che ha una linea senza uno scoop è noioso».
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