È morto a 90 anni. È stato il primo ciclista e uno dei tre nella storia a vincere tutte le cosiddette Classiche monumento: tre volte la Parigi-Roubaix, due il Giro delle Fiandre, una la Milano-Sanremo, il Lombardia e la Liegi-Bastogne-Liegi, oltre a due Mondiali. Lingua tagliente, autoritario, sceglieva da solo tutti i compagni. «Il mio successo più bello? I soldi che ho guadagnato»
Si potrebbe cominciare dalla fine, da quel 22 agosto 1970. Rik van Looy aveva corso il Criterium di Valkenswaard, in Olanda. Aveva fatto la volata, ma per arrivare ottavo. Stava guidando la sua Mercedes, e sul sedile di fianco c’era sua moglie, bella come la prima volta che l’aveva vista, al caffè Ford di Herentals. «Tutto quello che ho fatto l'ho fatto impulsivamente. Se pensavo di vincere, vincevo. Ho smesso di correre così, d'istinto. L'ho detto a Nini in macchina, non mi ha creduto. Invece era la verità». Non ci furono corse di addio, cerimonie, picchetti d’onore. Il ciclismo perse una leggenda senza saperlo. «Avevo 37 anni. Ero stanco di correre contro mocciosi che, anche se li avessi presi tutti insieme, non sarebbero riusciti a fare neanche una frazione di quello che avevo fatto io. Eppure a volte, quando mi battevano, li sentivo dire: Oh, oggi abbiamo dato del filo da torcere a quel vecchio. Quei piccoli corridori pensavano di poter ridere di me. Questo non lo potevo sopportare. Ho smesso per la mancanza di rispetto». Chi era stato a Valkenswaard quel giorno seppe soltanto più tardi di aver assistito a una pagina di storia.
Altrimenti si potrebbe raccontare Rik van Looy cominciando dal principio. «Un giorno partecipai a una gara giovanile a Herentals. Ero senza speranza. Fui doppiato cinque volte. Giurai che non avrei mai più fatto una gara in bicicletta». Giurò il falso. Diventò il primo corridore di sempre a vincere tutte e cinque le classiche Monumento: tre volte la Parigi-Roubaix (1961, 1962, 1965), due volte il Giro delle Fiandre (1959, 1962), una volta la Milano-Sanremo (1958), il Lombardia (1959) e la Liegi-Bastogne-Liegi (1961), oltre a due Mondiali (1960 e 1961). L’unico al mondo capace di trionfare in tutte le corse di un giorno: più di Eddy Merckx, che la Parigi-Tours non la vinse mai. In tutto 367 successi, comprese nove tappe al Tour de France, dodici al Giro d’Italia e diciotto alla Vuelta, e senza contare i criterium, e le sei giorni in pista.
La schiettezza
Ma se gli chiedevi della sua vittoria più bella – domande banali che si fanno sempre a chi ne ha così tante da poter scegliere – veniva fuori il van Looy più autentico. Quello cinico, spietatamente sincero. «La Parigi-Roubaix e le maglie arcobaleno di campione del mondo sembrano grandiose, ma sono più orgoglioso dei soldi che ho guadagnato. Quando ero piccolo non ne avevamo. Persone come avvocati e direttori di banca non mi degnavano di uno sguardo. Dopo invece mi tenevano aperta la porta e mi chiedevano di andare nel loro ufficio per discutere di questo o quell'investimento. Dicevano grazie signor Van Looy, è meraviglioso signor Van Looy e si alzavano in piedi quando me ne andavo. Il conto in banca è stata la mia vittoria più bella». Te lo diceva sapendo che non ti sarebbe piaciuto, ma piacere agli altri non è mai stata una preoccupazione per lui.
Raccontare com’era diventato un campione adesso magari potrebbe sembrarci romantico, ma lui dell’inizio della sua storia ricordava soltanto povertà, dolore e fatica. Sua madre morì quando era molto piccolo, da lì ebbe carta bianca. «Spesso marinavo la scuola». Non è che non volesse studiare, è solo che non si guadagnava. Si creò un giro di giornali, ne consegnava anche 600 al giorno, su una bicicletta che pesava 25 chili. «Ci mettevo dalle sei del mattino a mezzogiorno, e visto che avevo già perso la mattina a scuola, a volte decidevo di saltare anche il pomeriggio». Quei pomeriggi furono l'introduzione di Van Looy alle corse. Aveva un vicino, Julien Vermeulen, che era un professionista nelle kermesse belghe, e andava alle sue gare con lui in macchina. Quando arrivavano lì, Rik prendeva le bici di scorta e faceva il giro del circuito al contrario. «Cercavo di fare quanti più giri possibile prima che finisse». Così allenò le sue cosce. La testa ce l’aveva già in dotazione. Tra i dilettanti ottenne 150 corse. E una delusione indimenticabile: due forature nella corsa su strada olimpica del 1952 a Helsinki. «Non avevamo l’ammiraglia, così dovetti guidare con una gomma a terra finché non arrivai ai box».
L’altro Rik
Aveva 19 anni quando passò professionista. In Belgio c’era già Rik Van Steenbergen, e van Looy diventò per tutti Rik II. Fu l’unica volta che accettò senza problemi di essere secondo. «Van Steenbergen viveva a venti chilometri da me, era il mio idolo quando ero giovane». Ma grazie alla sua lingua tagliente e al suo fascino da duro, accresciuto anche dalla presenza al suo fianco della biondissima Nini, «la Marilyn delle Fiandre», Van Looy diventò presto molto più popolare di Van Steenbergen.
Era un leader nato, e quando arrivava nelle squadre sceglieva personalmente tutti i compagni. Fu il primo a costruirsi quello che molti anni più tardi si chiamò treno, cioè un gruppo di gregari votati a portarlo nelle migliori condizioni possibili allo sprint, dove poi pensava lui a completare il lavoro. Autoritario, sapeva essere riconoscente con i compagni che correvano per lui. Che esaudivano tutti ma proprio tutti i suoi desideri. L’inglese Vin Denson ha raccontato che quando correvano per la Solo, un'azienda di margarina, «dovevi fare tutto quello che voleva, incluso andare a prendere le birre, per cui aveva una grande passione a metà gara. Dovevi rincorrere lunghe miglia per portare al grande uomo una bottiglia di Stella». Non era soltanto per le vittorie che lo chiamavano Imperatore.
Fu proprio uno dei suoi gregari a tradirlo. Il Belgio correva il Mondiale del 1963 in casa, a Ronse, e non c’erano discussioni sul fatto che van Looy avrebbe vinto la terza maglia iridata. Ma l’impensabile Benoni Beheyt rovinò il piano. Gli tirò la volata ma invece di rialzarsi tirò dritto e tagliò il traguardo per primo con la mano sulla schiena di van Looy. Apriti cielo. Van Looy diceva che lo aveva tirato indietro, Beheyt disse di averlo fatto per proteggerlo dalla transenne. Comunque non poté godersi la maglia iridata, da quel giorno van Looy gli rese la vita difficile e il resto della carriera impossibile. Nel 1965 un altro fiammingo, Eddy Merckx, apparve sulla scena e spinse van Looy verso l’uscita. «Per batterlo, avrei dovuto nascere diversi anni dopo». Ma nella storia sono uno di fianco all’altro.
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